Le Città della provincia
ACQUARO
Il
fidanzamento. L'antica richiesta di
fidanzamento ad Acquaro avveniva attraverso u zuccu, un grosso pezzo di
legno che il ragazzo lasciava, in piena notte, davanti all'uscio dell'abitazione
della ragazza prescelta. Se i familiari della giovane entravano il ceppo in
casa, la risposta era affermativa, altrimenti l'innamorato non corrisposto
veniva spubblicato in piazza. La madre della ragazza, infatti, scendeva in
strada e cominciava a urlare perché fosse udita da tutti: "Cu lu mise lu
zuccu a la porta, cu lu mise lu pote cacciare ca non aiu fijja da maritare"
(chi ha messo il ciocco davanti alla porta, chi l'ha messo lo può togliere,
perché non ho figlie da maritare). Se, invece, il giovane era accettato, dopo
una quindicina di giorni veniva invitato a casa insieme ai genitori per
conoscere la famiglia della ragazza e portare i doni di fidanzamento. Oltre
all'anello e alla catenina d'oro, anche un fazzoletto con messaggio ricamato:
"Quandu lu suduru t'asciuchi cu stu maccaturi stringialu o piattu e ricordati
di mia" (quando il sudore ti asciughi con questo fazzoletto stringilo al
petto e ricordati di me).
Il
malocchio.
Gli
acquaresi, come la maggior parte dei calabresi, credevano che il malocchio fosse
causato da uno sguardo carico d'invidia, di malignità e di ammirazione. Per
difendersi ci si recava da anziane donne del paese. I familiari di chi aveva
ricevuto la magheria preparavano un piatto, dell'olio, acqua e sale, una croce,
una lumera e, se l'adocchiato era assente, un suo indumento. Mentre una persona
teneva la lumera all'altezza dell'ammaliato, chi procedeva a scacciare il
malocchio versava nell'acqua tre gocce di olio, accompagnando il gesto con una
recita sommessa di riti magici e preghiere. Se le gocce di olio si allargavano
fino a diventare un'unica macchia il malocchio non era stato tolto, se al
contrario rimanevano integre e non si univano l'operazione era riuscita. Le
antiche formule "scaccia malocchio" erano custodite gelosamente e venivano
tramandate solo in determinati giorni dell'anno.
ARENA
Il patrono
dimenticato. Secondo
la tradizione il Santo patrono di Arena è San Nicola di Bari, ricordato il 6
dicembre. A differenza della maggior parte dei paesi calabresi, ad Arena, però,
non si festeggia la ricorrenza.
SAN
PIETRO
SPINA.
S.
Pietro Spina o Spanò nacque intorno al 1050, ma non si sa con esattezza dove:
alcuni affermano a Reggio, altri ad Arena, altri ancora, a Ciano, in provincia
di Vibo Valentia, nella diocesi di Mileto, dove, peraltro, fondò un'abbazia. In
seguito ottenne in dote il territorio di Ciano, per aver liberato dalla lebbra
il gran conte di Arena. Su questo Santo non è stata tramandata nessun'altra
notizia. La sua festa veniva celebrata il 5 giugno.
BRIATICO
Le grotte delle
fate. Lungo la valle
del Murria vi sono grotte eremitiche medievali, alcunee delle quali denominate
"Grotte delle fate".
Corajisima,
la sorella di Carnevale.
La mattina di Pasqua si vedrà davanti ad una porta una piccola arcaica bambolina
di pezza appesa e ciondolante. E' il fantoccio di Corajisima (Quaresima)
sorella di Carnevale ed è costituita da una bambola di stoffa, vestita di bianco
e di nero, con in mano un fuso e una rocca, con un limone sotto il vestito, con
sette penne di gallina conficcate. E' un calendario simbolico per tutto il
periodo quaresimale. Scandisce il tempo di astinenza ed ogni domenica di
Quaresima si estirpa una penna. L'ultima viene tirata proprio a Pasqua!
Le
Forme di Ercole. Secondo
le fonti nel tratto di mare di fronte a Briatico vi erano delle isole dette
Forme di Ercole o anche Ithacensae in cui fin dall’antichità veniva
praticata la pesca del tonno. Gli antichi lodavano i tonni pescati in questo
tratto di mare per la loro straordinaria grandezza e per la qualità delle
carni.
Un curioso episodio. Proprio al centro di Briatico si trova l’imponente palazzo Bisogni (disabitato e ormai quasi diruto). Fino a qualche tempo fa gli abitanti evitavano di passare nelle vicinanze dell’edificio a causa di alcuni strani rumori che di notte provenivano dall’interno (si sentiva per esempio un misterioso russare). In tutto il paese si vociferava sull’esistenza di uno spettro anomalo, sempre addormentato negli orari di lavoro… Dopo qualche tempo, un coraggioso briaticese si è introdotto nel palazzo scoprendo che i rumori erano causati da una coppia di barbagianni che lì avevano fatto il nido.
BROGNATURO
Santuario
della “Madonna della Consolazione”. La
tradizione popolare racconta che nel 1721 un muratore, mentre lavorava nella
detta chiesa per riparare una parete pericolante, vide staccarsi l’intonaco,
sotto cui apparve una bella immagine, dipinto su tela, raffigurante la Vergina
SS.ma col Bambino. Sconvolto dall’apparizione, non pienamente convinto, credendo
di ritrovarsi dinnanzi ad una suggestione, prima colpisce col martello
l’immagine, quindi la ricopre con calce. Ma i colpi lasciavano lievi segni sulla
pittura e la calce ricadeva come sospinta da mano invisibile. A quel punto
l’operaio comincia a gridare per richiamare l’attenzione ed alle grida accorrono
molte persone. In un baleno si sparge la notizia per il paese e tutti vanno a
vedere, a pregare, dinnazi alla sacra immagine. Vi andò anche uno storpio, da
tutti conosciuto, perché si aggirava per le case a chiedere l’elemosina; questo
doveva diventare strumento inconsapevole per confermare a tutti il fenomeno
straordinario. Infatti, appena fu davanti all’immagine, invocò la Vergine Santa,
e subito riacquistò la salute. A tale prodigio tutti furono pervasi di gioia e
ringraziarono la Vergine, mentre qualcuno esclamava: “Sii sempre nostra
Consolazione e pace”. Da tale invocazione aveva origine il nuovo titolo
mariano: “Madonna della Consolazione”. Ben 62 anni dopo, e cioè il 5 febbraio
del 1783, un tremendo terremoto doveva sconvolgere tutta la Calabria. Da 90 anni
non si verificava alcun terremoto in Calabria. L’estate del 1782 era stata
caratterizzata da grande calore e siccità straordinaria. Quel 5 febbraio era
sorto radioso e nulla faceva presupporre l’avvicinarsi di un pericolo. Alle ore
12.30, annunziato da uno spaventevole rombo sotterraneo, avveniva l’immane
cataclisma. Il suolo si agitava in tutti i sensi, causando stragi e rovine. La
maggior parte delle case e degli edifici crollava facendo vittime, schiacciate
dalla caduta di questi; altre vittime erano inghiottite dalle fenditure che si
aprivano ai loro piedi nel terreno; altre trovavano la morte nelle fiamme che si
sprigionavano dal terreno stesso. Nel medesimo giorno, alla sera, avveniva una
seconda scossa. Di scosse se ne contarono 949 fino al mese di marzo dell’anno
successivo. Il terremoto distrusse un centinaio di città e paesi, provocando bel
30000 morti, e più 20000 decessi per le epidemie seguite al terremoto. In
Brognaturo non vi furono vittime, ma solo danni alle cose. Altre calamità
naturali che dovevano affliggere queste nostre zone furono le alluvioni del 1855
e del 1935. le acque dell’Ancinale invasero tutte le zone circostanti,
strappando alberi, abbattendo casolari e trascinando nella morte animali e
persone. I Brognaturesi, chiesero aiuto alla Vergine della Consolazione e non
ebbero né danni né morti. L’alluvione del 1935 fu più violenta e disastrosa. In
seguito alle pioggie, il fiume Uncinale ingrossatosi, straripò, invadendo e
rovesciando nel paese masse di acque a di fango. Anche questa volta Brognaturo
potè sperimentare la protezione della Madonna della Consolazione. Considerata la
speciale protezione della Madonna, constatato l’afflusso dei fedeli che devoti
accorrono costantemente nella chiesa di Brognaturo, il 5 settembre 1964
l’arcivescovo Mons. Armando Fares imponeve alla sacra immagine la corona d’oro.
Ed il 7 ottobre 1993 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace Mons. Antonio
Cantisani proclamava la chiesa parrocchiale di Brognaturo Santuario Mariano
dedicato alla Madonna della Consolazione.
CAPISTRANO
Il quadro
della Madonna del Lume di Favelloni. C'è una
leggenda legata alla costruzione della chiesa della Madonna del Lume a
Favelloni. Sembra che il quadro sia stato visto in mare da alcuni pescatori che,
naturalmente appena ritornati in paese raccontarono dell'accaduto a tutti gli
abitanti. la notizia si sparse presto tra le varie comunità della zona e ognuno
si adoperò per cercare di prenderlo e portarlo all'asciutto. Ma quando qualcuno
si avvicinava il quadro si allontanava. Soltanto alcuni abitanti di Favelloni
riuscirono a ripescarlo. Questo fu consideraro un presagio: la Madonna voleva
essere condotta proprio a Favelloni. Una volta tolto dall'acqua il quadro venne
portato in paese su un carretto trainato da un asino. Durante il tragitto
l'asinello si fermò e non ci fu verso di farlo proseguire. Gli abitanti
pensarono che quello fosse il luogo scelto dalla Madonna del Lume per costruire
la chiesa.
CESSANITI
Le
bocche del diavolo. Alla
periferia del paese, proprio al confine con Vibo Valentia c'è una zona a cui la
tradizione popolare ha dato il nome di vucche du diavulu o vucche du
'mpernu (bocche del diavolo o bocche dell'inferno) perché nel terreno,
accanto alle radici di giganteschi ulivi secolari, ci sono delle grandi cavità
dalla forma circolare quasi perfetta, profonde più di quaranta metri. Secondo la
gente del posto da questi fori uscirebbe il respiro del diavolo che dorme
sottoterra. Per alcuni le bocche nasconderebbero i fajetteji (piccoli folletti
vestiti di rosso), altri pensano, invece, che possano essere la dimora della
malvagia Lamia, una figura mostruosa che si nutre di sangue umano. In
paese si tramanda ancora la credenza secondo la quale le bocche del diavolo
avrebbero inghiottito Cozzojeroni, uno dei primi insediamenti urbani del
territorio di Cessaniti. Da questo avvenimento (cessau, cessato di esistere)
deriverebbe il nome del paese. Questa interpretazione etimologica, però, non
trova alcun riscontro nella toponomastica locale.
DASA’
Calamità
che colpirono il territorio di Dasà. Nel corso
dei secoli furono tanti gli eventi catastrofici che seminarono morte e
distruzione nel territorio di Dasà. Soltanto la peste del 1656 risparmiò la
gente del luogo che attribuì l'eccezionalità dell'evento alla protezione della
Madonna della Consolazione. Tre anni più tardi, nel 1659, il terremoto distrusse
molte case del paese e provocò ingenti danni alla chiesa Matrice e a quella di
San Giovanni e dell'Annunziata. Nel 1743 il terremoto ritornò a seminare il
terrore provocando vittime e crolli. Fu il turno, nel 1764, della carestia che
provocò la morte per fame, anche, di molti giovani. Nel 1778 ci fu, invece, una
epidemia non meglio specificata che uccise diversi bambini. Un nuovo terremoto
si registrò nel febbraio del 1783 questo fu annotato tra i più distruttivi di
tutti i tempi. A Dasà persero la vita cinquantatre persone. Parte della facciata
della chiesa della Consolazione cadde a seguito del terremoto del 12 ottobre
1791. Due inondazioni avvennero più tardi, nel 1855. Le acque del torrente
Petriano strariparono distruggendo tutto quello che trovavano sul loro cammino.
L'ultimo evento sismico di un certo rilievo, infine, si verificò nel settembre
del 1905.
Devozione
alla Madonna. La
fede dei cittadini di Dasà è rivolta alla Madonna della Consolazione. La
devozione dei dasaesi nei confronti della loro Padrona risale presumibilmente
verso la fine del 1400, tenendo presente che la chiesa dove c’è la sacra statua
è stata edificata nel 1483. E’ di questo periodo, appunto, una leggenda che
racconta di un’incursione di briganti i quali devastarono l’abitato della
piccola località di Bracciara compresa la chiesa. Tra i ruderi di quel
saccheggio rimase l’altare con la statua lignea raffigurante appunto la Madonna
della Consolazione. Si racconta anche che i paesi vicini, Dasà, Acquaro e Arena
subirono più o meno lo stesso saccheggio; i loro abitanti, in procinto di
edificare una nuova chiesa, rivendicarono il possesso della statua che venne
prelevata con una carro trainato da buoi ma che, dopo appena qualche centinaia
di metri si fermarono senza più volere continuare proprio alle porte di Dasà,
nel luogo dove oggi sorge la chiesa che conserva la statua. Da allora e per
volere del marchese Caracciolo di Arena la tradizionale "Affrontata" (si chiama
così il rito religioso) è arrivata ai nostri giorni. E’ una processione, che si
svolge una volta l’anno, il martedì di Galilea e coinvolge non solo i dasaei, ma
anche i cittadini di Arena, di Aquaro e di tutti gli altri paesi limitrofi. La
cerimonia religiosa consiste nel mettere all’asta le stanghe che sorreggono il
piedistallo dove poggia la statua; a farsi largo sono soprattutto quelle persone
che ritengono di avere rivevuto una grazia particolare dalla Madonna; tra i più
facoltosi e devoti pare siano gli emigranti che pur vivendo in terre lontane
hanno conservato per la protettrice del loro paese una grande fede.
La
Madonna versa lacrime di sangue.
E’
stata riportata la notizia che, in questo paese, vi sia l’immagine di una
Madonnina che ha versato lacrime di
sangue.
DINAMI
Le catene
sciolte dalla Madonna. Si narra
che a Dinami alcuni uomini schiavizzati dai saraceni riuscirono a liberarsi
dalle catene grazie all'intervento della Vergine. La stessa frase incisa sul
frontespizio del santuario corrobora la leggenda: solve vincla reis
(sciogli le catene ai rei).
DRAPIA
Alla
ricerca della woodwardia radicans. Una
rarissima specie di felce dal nome impronunziabile (woodwardia radicans,
appartenente alla famiglia delle Blechnaceae), che costituisce uno dei relitti
più antichi della flora mediterranea, cresce nel Vallone di Torre Ruffa. La
pianta non ha proprietà curative o farmacologiche, ma le imponenti dimensioni la
rendono uno splendido esemplare ornamentale.
FABRIZIA
FILADELFIA
La fontana
della “Ficazzara”. Nella piazza
principale del paese sorge una fontana a tre bocche. Si chiama “a funtana da
Ficazzara”. La leggenda vuole che dalle tre figure sgorghino: l’acqua
dell’Amore, quella dell’Odio e quella dell’Oblio. Facilissimo, quindi, amare,
odiare o dimenticare attingendo ad esse… ma bisogna fare attenzione a non confondersi e sbagliare!
Il
telaio magico. Secondo
una leggenda, nel borgo di Montesoro, parte del territorio di Filadelfia, vi era
una donna che possedeva un telaio magico e tutti i manufatti che tesseva avevano
la caratteristica di non consumersi mai.
La
caverna del drago. La
tradizione vuole che in un altro borgo fuori dall’abitato di Filadelfia vi fosse
una grotta in cui si credeva che vivesse un drago. Le fonti raccontano che
questa caverna fosse larga quattro passi e lunga circa duemila e all’interno
fosse finemente scolpita con delle raffigurazioni e vi sgorgasse una fonte di
acqua purissima.
FILANDARI
Il prodigio
di Santa Marina. Nel 1950 il
vescovo di Mileto ordinò che durante la processione per la festa di Santa Marina
i soldi delle offerte non venissero attaccati agli abiti della statua ma,
piuttosto, a uno stendardo a parte. In questo modo si voleva creare una netta
distinzione tra il sacro e il profano. La popolazione, legata alle tradizioni,
si ribellò a questa decisione. Di conseguenza il vescovo sequestrò la statua
della Santa. I fedeli, allora, si riunirono una notte a pregare davanti alla
chiesa di Santa Marina. Si racconta che mentre invocavano l'aiuto della Beata le
porte della chiesa si siano aperte e che le luci interne si accesero. In seguito
a quel prodigio il vescovo decise di restituire la statua ai filandaresi.
FILOGASO
Sant'Agata.
Gli
abitanti di Filogaso sono molto devoti a Sant'Agata che difende dalle calamità
naturali, in particolare dal terremoto che in passato ha danneggiato gravemente
il paese. Inoltre la Santa catanese protegge le donne dai mali al seno, in
quanto durante il martirio le fu strappata una mammella.
FRANCAVILLA
ANGITOLA
La
grotta del drago. Sotto
il paese c'è un lungo tunnel che un tempo lo univa alla cittadina di Filadelfia.
L'antro d'accesso a questo cunicolo sotterraneo è sempre stato chiamato dai
francavillesi "grotta del drago", probabilmente a causa dell'irrazionale paura
che il luogo incuteva. Un alone di mistero ha sempre caratterizzato il tunnel
che pare fu visitato da un giovane ufficiale di truppa regolare nel 1803. Egli
dopo averlo percorso interamente, ritornò indietro affermando che dalla parte
opposta non vi fosse alcuna via d'uscita. In seguito si fecero altre escursioni,
ma nessuna in tempi recenti. Attualmente la "grotta" è coperta da vegetazione a
crescita spontanea.
La
chioccia e i suoi pulcini d'oro. In
paese si racconta da tempo immemorabile la leggenda della chioccia e dei
puricini d'ouru. Pare che nella zona del Drago, al primo ponticello, dove ancora
resistono i segni di una grotta dentro la quale scorre una vena d'acqua
purissima di cui si sente nitidamente il rumore, "viva" una gallina dalle uova
d'oro con i suoi pulcini naturalmente tutti dello stesso prezioso metallo. Si
racconta che essa appaia soltanto di notte. Molti hanno cercato di "avvistarla"
ma pare che ancora nessuno ci sia mai riuscito.
San Foca
e i saraceni. Una
leggenda racconta che durante l’invasione dei Saraceni San Foca si offrì di
salvare gli abitanti di Francavilla Angitola ricorrendo all’inganno. Andò sulla
spiaggia dove erano sbarcati gli infedeli e fingendosi un traditore disse che li
avrebbe accompagnati attraverso la via più agevole fino alla Rocca. Il santo
condusse gli invasori attraverso dei boschi impenetrabili e lì li abbandonò in
balia dei lupi. Da allora ogni anno a Francavilla, nella festa del santo
patrono, si ringrazia San Foca riempiendo la città di fiori.
L’uomo
che parla ai cavalli. Il
paese è stato recentemente alla ribalta delle cronache per il fatto che
proprio qui, lo psicologo Vincenzo Viscone, è riuscito ad entrare in
comunicazione con un cavallo attraverso l'uso del sistema binario.
FRANCICA
Anna Maria Edwige
Pittarelli. Nel 1485 nacque da una
nobile famiglia di Monteleone trasferitasi a Francica, Anna Maria Edwige
Pittarelli fondatrice dell’Accademia degli Imperfetti. Secoli dopo venne
ritrovato un manoscritto a firma della Pittarelli in cui vi erano 161 sonetti,
61 madrigali, 2 canzoni, 11 elegie e alcuni epigrammi scritti in latino. Si ebbe
un caso letterario circa l’autenticità del manoscritto; infatti per alcuni il
linguaggio non sembrava cinquecentesco e per altri sembrava impossibile
l’esistenza di una poetessa calabrese nel XVI secolo. Sulla questione prese
posizione Benedetto Croce che difese l’autenticità del manoscritto.
GEROCARNE
L'antica
croce di Gerocarne. Nella
chiesa arcipretale di Santa Maia de Latinis è stata ritrovata e custodita per
molti anni una croce astile dall'anima di legno e le lamine di rame, risalente
al XV secolo. Misura 48 cm per 39 e ha le estremità trilobate. Da una parte
presenta, in posizione centrale, il Crocifisso fiancheggiato dalle figure della
Madonna e di San Giovanni Evangelista, ai piedi Maria Maddalena e in alto
l'Angelo. Dall'altra parte è invece raffigurato un Cristo Pantocrator seduto in
trono con un libro nella mano sinistra e la mano destra benedicente. Alle
estremità ci sono il toro alato (simbolo di San Luca) il leone alato (San
Marco), l'aquila (San Giovanni) e l'uomo alato (San Matteo). La lamina che
ricopre i bordi riproduce il motivo di una vite stilizzata con grappoli a tre
acini che gira a zig-zag su tutta la croce. Attualmente si trova nel museo di
Reggio Calabria.
IONADI
La
Fata dei campi.
A Ionadi, che secondo la tradizione significa “campo di viole”, una leggenda
vuole che vi sia una
Fata che protegge i campi e tutti coloro che si
trovano in difficoltà durante i lavori agricoli. La Fata dei campi salva dai
morsi dei serpenti, aiuta coloro che si perdono nei boschi e protegge i
raccolti.
JOPPOLO
La storia
della croce d'argento. Fino al
1984 tra gli arredi della chiesa della Madonna della Romania spiccava una croce
d'argento comunemente usata durante le cerimonie religiose. L'oggetto sacro fu
poi mandato per restauro a Firenze dove alcuni esperti si accorsero che si
trattava di un preziosissimo cimelio del valore di svariate centinaia di
milioni. Sembra, infatti, che ne esistano soltanto tre esemplari in tutta
Italia. Attualmente la croce è custodita nel museo di Cosenza.
L'orma
di San Gennaro. L'ipotesi potrebbe urtare i napoletani puro sangue, ma
secondo la tradizione locale San Gennaro avrebbe natali joppolesi. A suffragare
la teoria popolare un martirologio antichissimo in cui risultava che il patrono
di Napoli fosse calabrese e un documento che attestava la nascita del Santo a
Calafatoni (odierna Caroniti) esibito al vescovo di Nicotera, Centoflereno, dal
collega di Pozzuoli nel 1650 (tale dichiarazione sarebbe andata durante il
terremoto del 5 febbraio del 1783). Oggi sulla strada che collega Joppolo a
Caroniti una piccola edicola votiva, vicino a cui sarebbe impressa l'orma del
Santo.
L’origine joppolese di San Gennaro
(un libro a sostegno della tesi). Il clamore suscitato dalla stampa e un servizio
televisivo di una rete locale con relativa intervista a don Bruno Sodaro, autore
della pubblicazione Santi e beati di Calabria (Virgiglio editore, Rosarno, 1996)
in merito alla “recente” scoperta delle origini calabresi di San Gennaro, ci
induce a ritornare su questo argomento già oggetto di un articolo pubblicato su
“La Città del Sole” del mese di maggio 1995 a pag. 16. L’autore del volume, che
per la biografia su San Gennaro si è avvalso delle nostre fonti, pur avendoci
doverosamente citati nel testo, non ha fatto alcuna menzione nel corso della sua
intervista televisiva. Tuttavia, mettendo da parte ogni legittima primogenitura
della ricerca per la quale non ci dogliamo né proviamo alcun risentimento verso
alcuno, plaudiamo all’iniziativa e all’amor patrio di don Bruno Sodaro per aver
contribuito a diffondere la nostra tesi (che, in verità, non è poi tutta nostra
come dimostreremo in seguito) sulle origini calabresi di San Gennaro e per aver
fatto in modo che la stessa giungesse a conoscenza, attraverso la stampa, fino a
Napoli e anche all’estero. Della nascita di questo santo martire in Calabria ci
siamo già occupati fin dal 1987 con un articolo pubblicato suo numero 10/12 di
“Calabria Letteraria” e abbiamo ritenuto opportuno proporlo con altre notizie
più aggiornate nel n° 5 di “La Città del Sole” nel maggio dello scorso anno, al
fine di una maggiore divulgazione. Negli stessi articoli ci riallacciavamo alle
fonti riportate dal prof. Raffaele Corso, noto studioso di etnografia e folclore
nicoterese, che nel 1958 si era occupato della “vexata quaestio” sulla rivista
“Calabria Letteraria” Premettiamo che non siamo d’accordo nel ritenere la
notizia diffusa a seguito del lavoro di don Bruno Sodaro “una bufala” - come
l’ha definita un cronista del giornale radio regionale nel notiziario del
mattino del 15 novembre - perché se lo stesso giornalista avesse letto i nostri
articoli e quello di Raffaele Corso avrebbe commentato diversamente la notizia.
Senza dubbio, il metodo storiografico esige che, fino a quando le ricerche
condotte non sono supportate da documenti e riscontri obiettivi, bisogna usare
cautela prima di arrivare a certe conclusioni o ad emettere certi giudizi. La
tesi della nascita di San Gennaro e della sua fanciullezza trascorsa a Caroniti
di Ioppolo è sostenuta non solo dalla leggenda e dalla tradizione popolare
riportata da Raffaele Corso ma anche da Tommaso Aceti nel suo commento all’opera
di Gabriele Barrio, De Antiquitate ed situ Calabriae, nonché da una Memoria del
canonico di Nicotera Luigi Sorace, vissuto nei primi anni dell’Ottocento. In
base alla tradizione popolare Raffaele Corso scrive: “A soccorrere l’assunto,
per loro indiscutibile, di tali tradizioni, gli umili pastori del Poro, compresi
di raggiante orgoglio, additano al passeggero gli avanzi della casetta, ove il
santo avrebbe avuto i natali; il boschetto di vetusti e pur floridi alberi di
ulivo ove egli sarebbe vissuto in semplicità; la rupe donde sarebbe apparso
durante un’incursione di saraceni sulla costa per mettere in fuga i pirati”. E
aggiunge: “Gli avanzi, che consistono in una muraglia di pietra calvina, lunga
tre metri e alta uno, si osservano sul clivo detto Pirro, donde il mare e il
monte si scoprono allo sguardo in tutta la loro stupenda imponenza... Una
nicchia, nell’angolo interno al riparo dei venti, serve ad accogliere i voti e
qualche lampada, che, di quando in quando, i montanari curano di accendere,
quasi a rischiarare la solitudine del luogo e lo squallore dei ruderi e dei
sassi coperti di cespugli.” Si dice che, probabilmente, quella muraglia, più che
un rudere della casa, siano, invece, i resti della chiesa di Calafatoni, la
quale comunemente soleva chiamarsi “casa della nascita di San Gennaro”. Si
afferma, inoltre, che, nel 1808, un contadino, nel cavari pietra presso il sito
dell’antico villaggio per costruire un pagliaio per i buoi, fra le pietr ne
scavò unq di poco più di un palmo quadro, rotta in due pezzi, con l’iscrizione
della diruta chiesetta che sarebbe sorta sulle mura dell’abitazione del Santo.
Tommaso Aceti, nel 1737, scrive che San Gennaro nacque a Calositone (che
significa bella pianta) o Calafatoni, sperduto villaggio, oggi scomparso del
comune di Ioppolo. E aggiunge: “In questo luogo, come perdura costante
tradizione presso gli abitanti di Nicotera, nacque San Gennaro Martire, Vescovo
di Benevento.” Né a questo punto abbiamo ritenuto debba essere tralasciato il
documento che il vescovo di Pozzuoli mostrò al vescovo di Nicotera
Centoflorenio, che nel 1650 passava per Pozzuoli, vale a dire un Cronicon
antichissimo lì conservato, dal quale appariva chiaro che S. Gennaro era nato a
Calositano. Ma anche un vescovo greco che passava per la Calabria mostrava un
antichissimo Martirologio scritto in greco, dal quale si evinceva che S. Gennaro
era Calabro, come dal MS Martire. Che anzi il Magistrato di Nicotera, nei
salvacondotti che si sogliono dare agli abitanti che partono, o agli stranieri
di passaggio, si serve di questa formula: “Per Grazia e Dio e intercessione di
S. Gennaro, Vescovo e Martire, nostro Concittadino” L’altra notizia - riportata
pure da Raffaele Corso - è quella appresa dalle Memorie del canonico Luigi
Sorace il quale racconta che monsignor D. Luca Antonio Resta, nominato, nel
1578, vescovo di Nicotera, “volle portarsi di persona a visitare i villaggi di
Calafatoni in punto d’estinguersi, e di Caroniti sorgente, ed ancora senza
chiesa... Andato, pertanto, sulla faccia del luogo, ritrovò in Calafatoni solo
25 case senza abitanti fissi, perché erano tutti pastori di pecore e tutti
avevano ritrovata più comoda situazione di Caroniti per gli esercizi spirituali,
come situato in luogo più largo ed ameno, ma che, per non aver chiesa, erano
obbligati nei dì festivi a discendere a Calafatoni per ascoltar messa. Il
vescovo, però, veduto tale inconveniete, ed inteso da don Giannettino, che era
cappellano e rettore della chiesa di Calafatoni, che in detta chiesa da molto
tempo non conservavansi più né specie eucaristiche, né olei sacri, per essere
ridotta quasi rurale per difetto degli abitanti emigrati, e che non vi risiedeva
parroco per difetto di rendita, ma solo veniva da Preitoni nei dì festivi a
celebrare; come pure avendo inteso dall’istesso che quella chiesa era stata
eretta sotto il titolo di San Gennaro, appunto perché essa era il locale dove
San Gennaro era nato, giacché era la casa di sua abitazione, siccome egli
testifica per averlo udito dagli antichi, ordinò, il vescovo, che dette
abitazioni di Calafatoni si riunissero a quelle di Caroniti poco distanti, e che
ivi si fabbricasse una chiesa che consacrarsi sotto lo stesso titolo, ed una
casa per il parroco, assegnando l’istesso Don Giannettino per parroco con la
previsione di salme quattro di grano da pagarsi dagli abitanti di Caroniti, con
la condizione che dal punto medesimo risiedessero in Calafatoni, e che poi si
conservasse ben tenuta come rurale in memoria e venerazione del Santo, che iviv
avea sortito la nascita, massime per la frequenza dei divoti, che andava sin là
ad offrir voti e a raccomandarsi al Santo, come sul suolo sin là ad offrir voti, a raccomandarsi al Santo, come sul suolo proprio del suo nascimento.” A
sostegno della sua tesi, Raffaele Corso scrive, inoltre, che parecchie bolle
vescovili di cui la più antica di quelle sopravvissute alle rovine del terremoto
del 1783 porta la data del 30 settembre 1578 “consacrano tale tradizione”. Anzi,
la predetta bolla - aggiunge Raffaele Corso - in favore del parroco Giannettino
comincia con e seguenti parole: “Annuente domino nostro Jesu Christo , ac. B.
Januario Episcopo et Maryre, quem Calaphitonenses meruerunt habere colonum”. Non
sappiamo però se R. Corso abbia preso direttamente visione di tali documenti,
perché, in caso affermativo, queste bolle vescovili costituirebbero delle prove
importanti della nascita di San Gennaro a Caroniti. Non dimentichiamo che questi
stessi villaggi del Poro, in epoche antichissime, hanno visto passare e
soggiornare altri santi e beati e sono stati anche dimora di molti eremiti. Il
Vibonese - come ce ne danno conferma gli storici H. M. Laurent - A. Guillou,
padre Francesco Russo nella sua Storia della Chiesa in Calabria e don Nicola
Ferrante nel suo volume Santi italogreci - era pieno di monasteri come quelli di
S. Onofrio del Caos, S. Teodoro di Nicotera, S. Angelo di Briatico, S. Giorgio a
Drapia, S. Maria a Pizzoni e S. Ruba aVibo. Per affermare ancora la “santità” di
questi luoghi riferiamo che, secondo quanto ci ha assicurato recentemente il
prof. Domenico Minuto, noto studioso del periodo bizantino, e anche in base a
quanto riporta Nicola Ferrante nella sua predetta opera, “nei pressi di
Nicotera” sbarcò, intorno al 941, la famigli di San Sabam proveniente da
Collesano, in Sicilia, dove il territorio era stato incendiato dagli Arabi.
Essa, prima di dirigersi verso la regione monastica del Mercurios, trovò
ospitalità presso la famiglia dei Caroniti che si era a suo tempo rifugiata in
queste contrade proveniente dal villaggio siciliano di Caronia, donde poi il
nome all’attuale frazione di Ioppolo. Pertanto, spetta ora agli studiosi di
storia religiosa che volessero proseguire questa affascinante ricerca
frequentare di più gli archivi pubblici e, nel caso specifico, quelli vescovili
o l’Archivio Segreto Vaticano per reperire maggiore documentazione sulle origini
calabresi di San Gennaro. E, allora, sotto a chi tocca, il terreno è quanto mai
vasto e inesplorato.
LIMBADI
Il frate
di Santa Croce. Ancora
oggi gli anziani,limbadesi, raccontano una storia legata alla figura di un
misterioso frate. Sembra che l'uomo, forse di Catania, si fosse stabilito sulla
collina di Santa Croce. Qui costruì una semplice capanna nella quale, secondo la
tradizione popolare, si verificavano eventi prodigiosi. Un giorno, un contadino
decise di andare a chiedergli aiuto per la moglie gravemente malata. Quando
arrivò dal frate, però, egli gli disse di ritornare nuovamente con una mucca. Il
contadino fece come gli era stato ordinato ma commise l'errore di lamentarsi per
l'estrema umiltà del luogo. Il frate, dunque, lo scacciò e l'uomo fu costretto a
ritornare a casa abbandonando lì la sua mucca. Miracolosamente, però, il
contadino trovò l'animale di fronte alla porta della sua abitazione.
MAIERATO
MILETO
Paravati
(frazione di Mileto)
NATUZZA
EVOLO E IL MISTERO DELLA SUA VITA. Una
donna semplice che ha donato, in piena umiltà, la sua vita a Dio. Un
percorso doloroso segnato dalle “stimmate”, costellato di fenomeni
straordinari ed eventi miracolosi, inspiegabili come la bilocazione. Un
cammino, il suo, coadiuvato dalla preghiera e dal completo abbandono alla
volontà Divina di cui ella è tramite e portavoce. La sua capacità di
vedere il suo stesso angelo custode e l’angelo custode di tutti gli
uomini, nonché i defunti, le ha permesso di comunicare, durante gli
incontri con credenti, non credenti, scettici e curiosi, una volontà
Suprema, un messaggio particolare e di vedere tutti come “anime” bisognose
d’aiuto e conforto, sia nel corpo che nello spirito. Milioni le persone
che l’hanno conosciuta, migliaia le testimonianze di guarigione e i
riconoscimenti dei suoi doni, sebbene gli scienziati e la Chiesa la
osservino ancora oggi da vicino. Ma ella risponde sempre: “Io
non faccio miracoli. I
miracoli li fa solo Dio. Pregate! |
MONGIANA
MONTEROSSO
CALABRO
NARDO
DI PACE
NICOTERA
La
Fortuna è donna o lucertola? Anche
Nicotera ha conservate nelle sue leggende profonde reminiscenze della tradizione
greca e romana. Si tramanda nei racconti popolari che l’uomo nascendo abbia come
compagna la Fortuna dalle sembianze di une lucertola o di una donna assidua nel
lavoro. Nessuno può sfuggire alla buona come alla cattiva sorte e per
propiziarsi la Fortuna si usa, nell’atto di abitare una nuova casa o di iniziare
una nuova attività, imbandire una tavola che poi gli uomini lasciano deserta per
consentirle di assaggiare quei cibi.
L’anima
in punta di piedi. Si
crede che quando un uomo muore la sua anima si stacca dal corpo e “in punta di
piedi” deve attraversare il cosiddetto Pozzo di San Giacomo, passando in
equilibrio su un filo sottilissimo. Se l’anima è gravata da colpe sprofonderà
nell’abisso dell’inferno, altrimenti (reggendo il filo la mancanza del peso
procurato dai peccati) godrà della felicità eterna raggiungendo il
paradiso.
Le
brocche per dissetare l’anima. Si
crede che, nell’ora della morte, quando l’anima si stacca dal corpo, la casa in
cui si svolge l’agonia è sconvolta da un “tremito” che può essere attenuato
seguendo dei particolari rituali, per cui si ha cura di porre delle brocche di
creta dette “bumboli” o “gozze” affinché l’anima si possa
dissetare.
Il
rito della “magara”. Quando
un uomo muore di morte violenta, bisogna scongiurare gli spiriti maligni per
attenuare il loro potere e la loro presenza. Una strega, ovvero una “magara”
deve recarsi, a mezzanotte, nelle strade deserte con un recipiente in cui ardono
carboni e incenso benedetto e recitare delle formule magiche che possano dare
pace all’anima dell’ucciso; questo rituale deve essere ripetuto per tre notti
consecutive.
PARGHELIA
Il
fantasma di Olimpia la pazza. Secondo
una leggenda, in località Vigna di Marasusa, nel territorio di Parghelia, nelle
notti di luna piena, vaga ancora
oggi, nelle campagne, il fantasma di una popolana, chiamata Olimpia la pazza,
che in vita subiva gli influssi nefasti del plenilunio. Un’infelice caso di
licantropia che non dà pace all’anima dell’infelice donna neanche dopo la
morte.
PIZZO
CALABRO
PIZZONI
POLIA
La statua
della Vergine di Loreto. Si
racconta che alcuni ladruncoli tentarono di rubare la statua della Madonna di
Loreto. Mentre trasportavano su un carro l'effigie la Vergine fece addormentare
i ladri, così la statua poté essere recuperata. A testimonianza dell'evento ci
sarebbe la traccia della ruota del carro, lasciata su una pietra, custodita
nella chiesetta rupestre di Pedadace.
La Croce miracolosa. Si tramanda che la Santissima Croce posta sull'altare di legno dell'omonima chiesa, sia stata realizzata con il legno proveniente dall'Orto degli Ulivi in Terra Santa. La leggenda vuole che questa croce fosse punto di riferimento per i viaggiatori che dal Tirreno si spostavano sullo Jonio, passando per Polia. Si racconta che un cieco avesse chiesto a un mercante di portagli un pezzo della Santissima Croce. Questi si dimenticò della richiesta e in alternativa portò al cieco un pezzetto di legno della sua barca. L'uomo, pur avvertendo che non si trattava del pezzo di legno della Santissima Croce, lo conservò con tale devozione che miracolosamente riacquistò la vista.
RICADI (Capo
Vaticano)
Donna
Canfora. Dalla
bellissima spiaggia di Torre Ruffa ha origine il racconto popolare di Donna
Canfora, nobile e ricca, molto bella, che amava
vestire di azzurro e turchese, fu
catturata dai Saraceni. Quando si trovò sulla nave dei Musulmani, dopo aver dato
un saluto alla sua costa, alla terra natale e agli amici che agitavano le
braccia sulla spiaggia in un gesto disperato, si gettò risolutamente in mare
gridando: "Le donne di questa terra preferiscono la morte al disonore". Donna
Canfora scomparve tra le onde, ma da allora le acque del mare diventarono in
quel punto di un azzurro cangiante con le sfumature del colore del velo che la
donna di Ricadi portava. Quando l'eco, che si genera dall'infrangersi dell'onda
sulla battigia, si propaga nelle adiacenti campagne, i contadini raccontano ai
loro figli la leggenda di Donna Canfora e dicono che quel fragore non è altro
che l'accorato lamento con cui la bella donna rapita saluta ogni notte la sua
casa e la sua terra natale.
La
profetessa Manto. Proprio qui è
nata la leggenda della profetessa Manto dalla quale prese il nome lo scoglio
Mantineo. A lei i naviganti si rivolgevano prima di affrontare il mare. Dalla
profetessa Manto deriva il nome del promontorio Vaticano, “luogo del vaticinio”,
infatti “Mantevo” in gerco significa predire e in latino “vaticinare”.
ROMBIOLO
Il Monte
Poro. Rombiolo è
situato sull’altopiano del Monte Poro che è uno dei “Monti Santi”
della Calabria brasiliana, insieme al Monte Consolino di Stilo, il
Monte Moscio di Stalettì, l’Aspromonte e il Pollino. Questi
Monti furono definiti “sacri” da tempo immemorabile poiché da sempre, fra
leggenda e realtà, essi erano stati meta di ritiro per santi, eremiti e
taumaturghi.
SAN CALOGERO
La
miracolata. A San
Calogero si racconta una storia che ha connotati miracolosi. Sembra che, sul
finire degli anni Settanta, una donna, la signora Maria Maccarone, paralitica
dalla nascita sia riuscita d'improvviso a camminare grazie all'intercessione
della beata Paola Frassinetti. Il miracolo fu ufficializzato dal Vaticano che
promosse la beata a santa. Una lapide nella facciata principale della sua casa
natale ricorda l'accaduto.
SAN
COSTANTINO CALABRO
SAN
GREGORIO D’IPPONA
SAN NICOLA DA
CRISSA
SANT’ONOFRIO
Il
volto del Cristo sull’ulivo a Scarpaleggia.
(Dalla "Gazzetta del Sud" - 7 giugno 1987). Nel mese di aprile 1987 le
cronache dei giornali riportano un fatto straordinario, dai contorni
miracolistici: in una località del vibonese, presso Sant'Onofrio, su un ulivo
centenario, si sarebbe formata l'immagine del Cristo. La Chiesa, con la sua
millenaria prudenza non si pronuncia, ne può, d'altronde, sciogliere gli enigmi
che la fantasia popolare qualifica già come eventi reali e indubitabili. La zona
dell'apparizione si trasforma immediatamente: sul posto bancarelle, sbucate
improvvisamente, dove, si vende di tutto, supporti per colorare di scampagnata
una visita che doveva verificare e far luce su un mistero naturale o
soprannaturale: è la civiltà del consumismo che non arretra neppure di fronte a
fatti straordinari, anzi si serve di essi per riaffermarsi. E' un brano di una
introspezione comparata che riporta alla mente altri dubbi, altre storie di
uomini, ma che riesce a scavare all'interno di questa rinata e convulsa frenesia
religiosa e pagana insieme, coinvolgendo, in prima persona, lo stesso autore: il
mistero della fede e dell'ignoto conserva sempre il suo grande
richiamo.
SERRA SAN
BRUNO
La
possessione spiritica. Le
leggende di ogni regione d'Italia, seppure diverse tra loro, narrano spesso di
anime che, sepolte in terra non consacrata, oppure in luoghi non di culto, non
riescono a trovare la pace perpetua tanto ambita. E come reagiscono queste
anime? Vagando inquiete, apparendo in sogno a parenti ed amici, manifestandosi
durante sedute spiritiche... sempre con l'intenzione di poter far conoscere il
proprio desiderio. Crediamo però che si sia assistito ad un fatto clamoroso: il
23 giugno 1971 l'anima di un giovane morto venti anni fa si sarebbe
temporaneamente « reincarnata » nei corpo della sorella, indicando il luogo
(sconosciuto) ove il suo corpo era sepolto e chiedendo che fosse traslato al
cimitero del paese natio! Il fatto è avvenuto a Serra San Bruno, in provincia di
Catanzaro (oggi di Vibo Valentia). Se ne sono occupati anche i giornali locali, ma più come fatto di cronaca che altro,
tralasciando completamente di occuparsene dal punto di vista metapsichico. Già
altre volte, in sogno, il giovane — morto una ventina di anni fa — aveva
manifestato la propria inquietudine ai parenti, i quali avevano creduto di
risolvere la questione facendo celebrare delle Messe in suffragio dei defunto.
Ma il fenomeno continuava a manifestarsi, specialmente nella sorella del morto,
che tuttavia non arrivava a comprenderne le cause: e allora lo spirito, inquieto
ma non domito, prese una drastica decisione. Così a Serra San Bruno una donna,
una giovane massaia, conosciuta da tutti, onesta e laboriosa, ha avuto nel
proprio corpo, improvvisa e prepotente, l'anima del fratello morto venti anni
prima, che si è manifestata subito parlando con quella voce che i parenti
sbigottiti hanno riconosciuto per la voce del morto. Ha chiesto che
rintracciassero la sua tomba, e traslassero la salma dal luogo ove si trovava
sepolta, al cimitero di Serra San Bruno. — Cercatela, trovatela,
altrimenti non avrò mai pace! — gridava la donna con la voce di uomo e
come indemoniata si contorceva per terra tra atroci sofferenze. I familiari,
sbigottiti ed allibiti, non riuscivano a comprendere ed a spiegarsi la strana
situazione creatasi nella loro casa. E la voce del morto, per bocca della donna,
non dava tregua. Fu cosi che il marito della donna, coadiuvato da altri
familiari, si mise a girovagare senza troppa convinzione...per i cimiteri dei
paesi vicini, estendendo via via le ricerche fino a Savelli, nella Sila Grande,
a circa 150 Km. da Serra San Bruno. Là il poveretto diceva di essere sepolto, ma
nessuno sapeva niente della salma, nemmeno il custode del cimitero: si, forse,
c'era stata una salma corrispondente a tale nome, ma ora, dopo venti anni...
Sconsolati i parenti tornarono a casa: ma se quanto avevano fatto bastava a
mettere in pace le proprie incredule coscienze, non era sufficiente all'anima
del defunto, che intanto diventava sempre più autoritario e più sicuro di se
stesso. Infatti appena udito il racconto degli ultimi eventi, la donna fu presa
da una crisi ben più forte delle precedenti: con la solita voce del defunto
fornì indicazioni estremamente esatte, indicando un angolo quasi abbandonato del
cimitero di Savelli e l'esatta posizione di una tomba senza nome tra due vecchie
croci corrose dal tempo e dalle intemperie. Inutile dire che
tutti i particolari concordavano e i parenti — sempre più stupiti — poterono
accertare con un brivido che la salma era stata misteriosamente esumata e
traslala proprio... ove indicato! A questo punto non rimase che sbrigare le
formalità di legge per il trasferimento del corpo del defunto a Serra San Bruno:
e non appena la salma toccò la terra del cimitero tanto desiderato, l'anima
finalmente in pace, abbandonò il corpo della sorella. La donna tornò
immediatamente alla realtà, ma senza riuscire a ricordare alcun particolare dei
brutti momenti passati e della tenebrosa vicenda vissuta! “Io non ricordo niente, che
cosa devo dire?” (afferma la donna che, ovviamente, ha ripreso la propria
voce naturale e la propria tranquillità interiore) “Io non ne voglio sentir
parlare, lasciatemi in pace!” Come darle torto? Dell'incredibile ed
inspiegabile fatto si stanno occupando i teosofi, cercando una spiegazione che
avvalori alcune teorie della reincarnazione (anima potrebbe vivere successive
esistenze. trasmigrando — dopo morto il corpo — in altri esseri viventi). Si
dice anche — ma lo riportiamo a puro titolo di cronaca — che Serra San Bruno
fosse invaso dagli spiriti la notte della raggiunta pace eterna da parte della
sventurata anima; di certo c'è che Serra San Bruno è stata mèta di curiosi
venuti da ogni luogo per farsi raccontare lo strano episodio e per vedere da
vicino questa massaia, protagonista di uno dei casi più incredibili, e per ora
inspiegabili, del XX secolo!
L’olio e il
vino cambiano colore. Dopo il
terremoto del 1783 avvenne in paese un episodio inspiegabile. Quando l’evento
terribile del sisma fu terminato, venne notato che il vino e l’olio avevano
mutato colore e il loro sapore era diventato insipido, privo di gusto. Inoltre,
il grano ammassato nei granai, era diventato immangiabile per via di uno strano
sapore alcalino.
.
Due casi di
sepolti vivi salvati in extremis. Orazio
Rilliet, il medico soldato venuto in Calabria al seguito di Ferdinando II di
Borbone, nel 1852 autore della “Colonna mobile in Calabria”, raccolse a
Serra testimonianze di due salvataggi in extremis. Racconta che: “Una
giovinetta di 16 anni, Eloisa Basili, fu seppellita con un bambino che teneva in
braccio; rimase undici giorni sotto terra, non potendo liberarsi del cadavere
del bambino, che fu trovato in putrefazione quando vennero in suo aiuto. Da una
crepatura le arrivava l’aria ed una luce debole, che furono i soli sostegni
della sua esistenza. Da allora la giovinetta perdette ogni gaiezza, schivando la
gente e soprattutto i bambini. Morì a 25 anni. Un’altra donna, rimasta parecchi
giorni seppellita, fu restituita alla luce dopo pene infinite. Interrogata su
quello che aveva provato in quella lunga notte di tomba, e quali erano stati i
suoi pensieri, rispose semplicemente: - Aspettavo…”.
SAN
BRUNO.
Pur non essendo nato in
Calabria, San Bruno entra a pieno titolo a far parte della schiera dei santi
calabresi. Un'adozione e un senso di appartenenza che ha le sue solide basi
nell'opera del Santo nella regione, di cui la Certosa è autorevole
testimonianza. San Bruno nacque a Colonia, in Germania, intorno all'anno 1030.
Nulla si sa della sua famiglia. Bruno era un canonico della collegiata di san
Cuniberto a Colonia. Andò a studiare alla scuola del Duomo di Reims, in Francia,
dove, più tardi, divenne professore e caposcuola. Dal 1056 al 1076, il suo
titolo fu quello di scolastico. Uno dei suoi discepoli, un monaco benedettino di
Cluny, divenne Papa: il Beato Umberto II.
Durante il periodo in cui
fu a Reims, Bruno si associò alla contestazione contro la simonia
dell'arcivescovo Manasse di Gournay, un prelato che si era reso indegno a causa
della sua insaziabile avidità. Egli aveva nominato Bruno cancelliere
dell'arcivescovado nel 1075, al chiaro scopo di guadagnarlo alla sua causa.
Dimostrando, così, di non aver compreso il carattere e l'indole del futuro
fondatore dell'Ordine certosino. Comunque, infine, nell'anno 1080, Manasse fu
definitivamente deposto. Fino a questo momento, Bruno era rimasto
all'opposizione e, nel 1076, aveva rinunciato ai suoi incarichi alla scuola del
Duomo. Manasse lo aveva duramente perseguitato tanto da costringerlo a trovare
rifugio presso il conte Ebal de Roucy. Si sarebbe voluto che Bruno fosse
il successore di Manasse. Ma il desiderio di una vita contemplativa spinse Bruno
e sei suoi compagni presso il vescovo di Grenoble, che condusse i sette
pellegrini alla condizione desiderata: nel deserto di Certosa. Il primo
monastero fu fondato nel 1084 nel Delfinato, una regione a sud-ovest della
Savoia, in una zona montagnosa chiamata "Certosa".
Ma sei anni dopo, Bruno fu
chiamato a Roma da Papa Urbano II. Il Santo obbedì alla chiamata, ma non si
sentì mai a suo agio nell'ambiente romano. Accadde poi, che Urbano II dovette
fuggire da Roma perché l'imperatore tedesco Enrico IV e l'antipapa Guiberto,
noto con il nome di Clemente III, avevano invaso i territori pontifici. Il Papa
si trasferì nell'Italia meridionale e, con lui, Bruno, che fu eletto arcivescovo
dai canonici di Reggio Calabria. Egli rifiutò e la mitra, chiese ed ottenne
il permesso di ritirarsi in solitudine nei territori normanni, conquistati dal
Conte Ruggero D'Altavilla. Il conte, però, fece anche altro. Offrì a Bruno un
terreno ad oltre ottocento metri di altitudine, nell'altopiano delle Serre,
nella Calabria centro meridionale. Qui, in località denominata Torre, Bruno
fondò l'eremo di Santa Maria, mentre in località Santo Stefano del Bosco - dove
sorge la Certosa - fondò, probabilmente, un monastero detto appunto di S.
Stefano. Quando incominciarono i lavori, Bruno fece in modo che gli operai
si stabilissero con le loro abitazioni a distanza dai monaci. Sorse così il
primo nucleo abitato del paese di Serra. Si era intorno all'anno 1094. Il
conte Ruggero, il benefattore, morì nel giugno del 1101. Pochi mesi dopo, il 6
ottobre dello stesso anno, moriva S. Bruno. Fu canonizzato nel 1514 da Leone X,
che concesse ai membri dell'Ordine certosino di celebrarne l'Ufficio il 6
ottobre.
Il
mistero della Certosa. Il
punto di maggiore richiamo di questa bella cittadina è la
Certosa, primo Convento Certosino in Italia e il secondo di
tutto l'Ordine, sita in un pittoresco bosco alla periferia di Serra San Bruno.
Si tratta di un vasto complesso fondato tra il 1090 e il 1101 da Brunone di
Colonia, fondatore dell'Ordine Certosino e della Grande Chartreuse vicino a
Grenoble, che, scandalizzato dalla corruzione del clero, si era ritirato nella
solitudine dei boschi calabresi. Oggi nella Certosa vivono pochi frati che è
possibile vedere ogni lunedì durante la loro passeggiata nei boschi,
assolutamente vietato è l'accesso alle donne, poiché la leggenda vuole che, se
una donna mette piede all’interno di quel luogo, la terra si metta a tremare.
Il laghetto dei miracoli. Poco distante dalla Certosa è la Chiesa di Santa Maria dell'Eremo (o del Bosco), edificata nella suggestiva conca boschiva in cui dimorò e morì San Brunone e rifatta a seguito dei danni arrecati dal terremoto del 1783 utilizzando elementi litici originari. Accanto si trova la Grotta di San Bruno, riproduzione della caverna in cui il Santo pregava e dormiva, e il laghetto dei Miracoli con al centro la statua di San Bruno inginocchiato. La tradizione vuole che qui si trovassero le spoglie del Santo e che, quando furono portate alla luce per essere traslate, vi sgorgò la sorgente che alimenta il laghetto.
Il
miracolo di San Brunone. Brunone
di Colonia aveva costruito la Certosa che venne più volte distrutta dal
terremoto. Dopo quello del 1783 si racconta che, per intercessione del Santo, la
facciata della chiesa resistette. I due pinnacoli laterali sulla rinascimentale
facciata della grande chiesa nel quadrilatero certosino ruotarono ma restarono
fermi sul baricentro, miracolosamente in perfetto equilibrio
La forza
degli umili. Si
tramanda che i proprietari di possenti buoi si recarono a Soverato per
trasportare in paese la statua della Madonna delle Grazie. Ogni tentativo di
sollevare l'opera, però, fu vano. Un tale Patoscia, che possedeva un paio di
giovenche, tra lo stupore dei compaesani, riuscì nell'intento. Ritornato a
Simbario, dispose la statua laddove era stato tracciato il perimetro della
chiesa da intitolare alla Madonna delle Grazie. Il giorno dopo le linee
perimetrali erano state spostate racchiudendo un'area più vasta. I muratori si
preoccuparono di risistemare il tutto. Ma il giorno seguente si ripeté la strana
situazione, da qui la decisione di costruire un edificio più grande.
SORIANELLO
SORIANO
CALABRO
La
miracolosa immagine di San Domenico.
Si tramanda
che il quadro di San Domenico custodito nella chiesa omonima abbia origine
celeste. Sarebbero state, infatti, la Madonna, Maria Maddalena e Santa Caterina
a portarlo a Soriano. Il 15 settembre del 1530, prima dell’aurora, a frate
Lorenzo, che stava accendendo le candele per preparare la chiesa alla recita del
mattutino, apparvero tre Signore di gran de bellezza e ammantate di luce che
venivano verso di lui. Una fra le tre, la più bella e la più luminosa, chiese a
chi fosse dedicata la chiesa. Il fraticello rispose che era consacrata a san
Domenico; la Signora chiese allora se ne avessero un’immagine e quando vide che
la sola posseduta dai frati era un grossolano dipinto, gli porse un quadro
chiedendogli di collocarlo sull’altare. In seguito si immaginò che le tre
Signore fossero la Vergine, Santa Caterina e Santa Maria Maddalena e da ogni
parte della Calabria, da allora, giunsero i fedeli a venerare l’immagine
miracolosa.
SPADOLA
Uno "zoo" molto
originale. E' un fatto veramente
curioso che a Spadola, spesso, il soprannome dato alle famiglie corrisponda al
nome di un animale. Ci sono dunque le famiglie di li piguli (civette), di li
quajii (quaglie), di li serpi (serpenti), di li jilini (felini), di li
gattarieji (gattini) e di li viperi (vipere).
La "pianella" del
Papa. Secondo il racconto gli
spadolesi sottrassero una pianella a Papa Callisto II per poi restituirla a
Giovanni Paolo II. Pare che fino al momento della restituzione della scarpa gli
abitanti siano man mano diminuiti di numero, come una sorta di punizione.
Gerard e
Ranvier. Circola la
storia di due ufficiali francesi morti a Spadola i cui corpi, in un primo tempo
seppelliti nella chiesa madre, sarebbero successivamente stati trasferiti nella
fossa comune del cimitero, quasi per riscattare gli ideali di libertà comuni a
tutta la popolazione. Da allora è rimasta la credenza che intorno alla chiesa si
aggiri l'ombra di "Gilardu" (trasformazione dialettale dal francese), la cui
anima si sarebbe incarnata in un altro corpo per ottenere la purificazione prima
di salire in cielo.
Gli auspici
dei santoni. Ogni anno
al termine della mietitura si usa innalzare sulle aie delle grandi croci di
legno su cui vengono posti dei giganteschi pupazzi di paglia che prendono il
nome di santoni. Durante la preparazione della festa di San Nicola si
compie un rito propiziatorio notturno in cui si da fuoco a questi pupazzi e dal
modo in cui ardono si traggono degli auspici sul raccolto futuro.
SPILINGA
STEFANACONI
TROPEA
SANTA
DOMENICA DA
TROPEA.
S. Domenica nacque a
Tropea sul finire del terzo secolo. I suoi genitori, Doroteo ed Arsenia, erano
greci di origine.In quel tempo il paganesimo manifestava il suo accanimento
ricco di furore contro la fede cristiana. L'imperatore di Roma era Diocleziano,
che, sull'esempio dei suoi predecessori infierì contro i cristiani per i quali
promulgò un editto di proscrizione e di morte. Domenica, dunque, insieme ai
genitori, fu accusata come nemica degli imperiali e trascinata, in catene, alla
presenza di Diocleziano, che si trovava in Campania, a Nola. Dopo tre giorni di
dura prigione, la Santa e i suoi genitori vennero introdotti alla presenza del
giudice, il quale, attraverso parole seducenti, prima, e minacce, poi, cercò di
convincere Domenica ad abiurare alla fede cristiana. Di fronte alla decisa
risposta negativa della Santa, il giudice ordinò che i tre vengano trascinati e
frustati attraverso le vie della città. Non ancora soddisfatto, fece separare
Domenica dai suoi genitori, i quali furono mandati in Mesopotamia. Rimasta sola,
Domenica fu inviata a Roma, al cospetto di Massimiano. Egli tentò di sedurla e,
di fronte all'inutilità dei suoi tentativi, fece chiudere Domenica in prigione,
ordinandone poi, la flagellazione. La Santa fu sottoposta ai più duri tormenti:
messa in una fornace ardente, ne uscì illesa, esposta ai lupi e ai leoni, riuscì
a domarli. Fin quando, dopo essere uscita vincitrice da tanti supplizi, ne fu
ordinata la decapitazione.
S. Domenica offrì il suo
capo alla spada il 6 luglio dell'anno 303. Il suo corpo fu portato a Tropea. In
breve il culto della Santa si estese in Occidente e in Oriente. Templi in suo
onore furono innalzati in Calabria, in Sicilia e anche in Campania. A Cassano
Ionio, Longobardi, Fiumefreddo, Aprigliano, per citarne solo
qualcuno. Alcuni miracoli si verificarono anche dopo moltissimo tempo dalla
sua morte e sono relativamente recenti. Il 5 luglio 1905, a Longobardi, mentre
il popolo era radunato nella chiesa a lei dedicata, un fulmine entrò con gran
fragore nella chiesa, provocando gravissimi danni. Nessuno dei fedeli, però,
riportò un pur lieve ferita. Un chierichetto disse di aver visto un'immagine
della Santa che respingeva il fulmine sollevando la mano destra.
VALLELONGA
Pellegrinaggio
della "Madonna di Monserrato". Il culto di
Maria SS. del Monserrato in Vallelonga non si può stabilire con esattezza
storica. Né si può dire se qualche notizia esistesse nell’archivio parrocchiale
che datava dal 1666, poiché sventuratamente andò completamente distrutto nel
1926 a causa di un incendio. Alcune notizie, anche se frammentarie, si
possono trovare negli atti, conservati a Mileto, della Santa Visita, avvenuta
nel 1500, dai quali risulta che il Vescovo del tempo trovò nella parrocchia di
Vallelonga un altare dedicato alla Madonna del Monserrato. Certo è però, prescindendo per un attimo
dell’esattezza documentale, che il culto che Vallelonga tributa alla sua Madonna
è remoto e molto diffuso: testimonianza di ciò sono i numerosi pellegrinaggi che
si svolgono durante i giorni della sua festa che ogni anno si celebra la II
domenica di luglio.
Il miracolo
della Madonna. Il 5
febbraio si suole commemorare il terremoto del 1783 che distrusse gran parte
della Calabria. Nel corso dei secoli è stato tramandato, fino ad arrivare ai
giorni nostri, il racconto della speciale protezione che la Madonna del
Monserrato fece nei confronti dei suoi devoti in quell’occasione. La leggenda narra che quel giorno, nella
valle (da qui il nome Vallelonga) dove si trovava il paese, si avvertì una forte
scossa di terremoto. Il popolo terrorizzato si riversò all’aperto, invocando ad
alta voce la Madonna di Monserrato, il cui Santuario era ubicato dove
attualmente si trova, sul monte dinanzi la valle. Gli abitanti si avviarono in
processione verso l’altipiano da dove si ammirava il panorama del paese quando,
improvvisamente, furono fermati da una seconda scossa più forte ed intensa della
prima. Il sottostante paese fu in un attimo ridotto in un cumulo di macerie, e
se la loro Madonna non li avesse chiamati in quel modo misterioso sarebbero
rimasti sepolti sotto le rovine delle loro case. Da allora in poi gli abitanti di Vallelonga
mantengono vivissima la devozione verso la Madonna e ogni anno, in occasione
della festa, le dedicano grandi festeggiamenti, riunendosi per molti giorni e
recitando la novena in suo onore.
VAZZANO
Francesco
Moscato, detto il “Bizzarro”. A
Vazzano nacque Francesco Moscato, detto “Bizzarro”, il più feroce e temuto fra i
briganti calabresi. Sulla sua figura nacquero molte leggende alimentate dalla
sua indole crudele e sanguinaria; si dice che camminasse attorniato da un branco
di cani selvatici che ubbidivano soltanto ai suoi ordini e ai quali dava da
mangiare le sue vittime. Bizzarro si unì con una donna, Nicolina Ricciardi di
Mileto, alla quale uccise a tradimento il marito. La sua crudeltà fu tale da
uccidere, senza motivo, il bambino avuto dalla sua donna e questo provocò la
vendetta di Nicolina che nottetempo lo uccise nel sonno e decapitatolo portò la
sua testa ai francesi del generale Manhès, riscotendo la taglia di mille
ducati.
ZACCANOPOLI
ZAMBRONE
ZUNGRI
Insediamenti
anacoretici.
Nel
territorio comunale sono state ritrovate vestigia d'insediamento di età romana e
tracce di insediamento di età romana e tracce di insediamenti anacoretici
medievali (nella Grotta di San Leo in contrada Fossa di Mesiano e in quella
degli Sbariati), con affreschi bizantineggianti, nonchè una città rupestre
risalente ai secc. XII-XIV di cui sono state esplorate circa novantadue
case-grotte, tra loro collegate.
Le
grotte di Zungri. Poco
fuori l'abitato di Zungri, si trova un grande complesso insediativo rupestre di
notevole interesse, unico nel suo genere in Calabria, la cui origine risale
molto probabilmente al periodo della prima colonizzazione bizantina della
regione. Il complesso è costituito da circa ottanta grotte scavate nel banco di
arenaria tipico della zona. Le case-grotte, alcune a due piani, sono a pianta
circolare e rettangolare e collegate tra loro da cunicoli.
Oltre
alle abitazioni sussistono degli ambienti adibiti alla conservazione di derrate
alimentari, strumenti per la spremitura dell'uva e dell'olio .