Le Città della provincia
                                                                                                                          
ACQUARO 

Il 
fidanzamento. L'antica richiesta di 
fidanzamento ad Acquaro avveniva attraverso u zuccu, un grosso pezzo di 
legno che il ragazzo lasciava, in piena notte, davanti all'uscio dell'abitazione 
della ragazza prescelta. Se i familiari della giovane entravano il ceppo in 
casa, la risposta era affermativa, altrimenti l'innamorato non corrisposto 
veniva spubblicato in piazza. La madre della ragazza, infatti, scendeva in 
strada e cominciava a urlare perché fosse udita da tutti: "Cu lu mise lu 
zuccu a la porta, cu lu mise lu pote cacciare ca non aiu fijja da maritare" 
(chi ha messo il ciocco davanti alla porta, chi l'ha messo lo può togliere, 
perché non ho figlie da maritare). Se, invece, il giovane era accettato, dopo 
una quindicina di giorni veniva invitato a casa insieme ai genitori per 
conoscere la famiglia della ragazza e portare i doni di fidanzamento. Oltre 
all'anello e alla catenina d'oro, anche un fazzoletto con messaggio ricamato: 
"Quandu lu suduru t'asciuchi cu stu maccaturi stringialu o piattu e ricordati 
di mia" (quando il sudore ti asciughi con questo fazzoletto stringilo al 
petto e ricordati di me).
Il 
malocchio. 
Gli 
acquaresi, come la maggior parte dei calabresi, credevano che il malocchio fosse 
causato da uno sguardo carico d'invidia, di malignità e di ammirazione. Per 
difendersi ci si recava da anziane donne del paese. I familiari di chi aveva 
ricevuto la magheria preparavano un piatto, dell'olio, acqua e sale, una croce, 
una lumera e, se l'adocchiato era assente, un suo indumento. Mentre una persona 
teneva la lumera all'altezza dell'ammaliato, chi procedeva a scacciare il 
malocchio versava nell'acqua tre gocce di olio, accompagnando il gesto con una 
recita sommessa di riti magici e preghiere. Se le gocce di olio si allargavano 
fino a diventare un'unica macchia il malocchio non era stato tolto, se al 
contrario rimanevano integre e non si univano l'operazione era riuscita. Le 
antiche formule "scaccia malocchio" erano custodite gelosamente e venivano 
tramandate solo in determinati giorni dell'anno.
ARENA 

Il patrono 
dimenticato. Secondo 
la tradizione il Santo patrono di Arena è San Nicola di Bari, ricordato il 6 
dicembre. A differenza della maggior parte dei paesi calabresi, ad Arena, però, 
non si festeggia la ricorrenza.
SAN 
PIETRO 
SPINA. 
S. 
Pietro Spina o Spanò nacque intorno al 1050, ma non si sa con esattezza dove: 
alcuni affermano a Reggio, altri ad Arena, altri ancora, a Ciano, in provincia 
di Vibo Valentia, nella diocesi di Mileto, dove, peraltro, fondò un'abbazia. In 
seguito ottenne in dote il territorio di Ciano, per aver liberato dalla lebbra 
il gran conte di Arena. Su questo Santo non è stata tramandata nessun'altra 
notizia. La sua festa veniva celebrata il 5 giugno.
 BRIATICO
  BRIATICO  
Le grotte delle 
fate. Lungo la valle 
del Murria vi sono grotte eremitiche medievali, alcunee delle quali denominate 
"Grotte delle fate".
Corajisima, 
la sorella di Carnevale. 
La mattina di Pasqua si vedrà davanti ad una porta una piccola arcaica bambolina 
di pezza appesa e ciondolante. E' il fantoccio di Corajisima (Quaresima) 
sorella di Carnevale ed è costituita da una bambola di stoffa, vestita di bianco 
e di nero, con in mano un fuso e una rocca, con un limone sotto il vestito, con 
sette penne di gallina conficcate. E' un calendario simbolico per tutto il 
periodo quaresimale. Scandisce il tempo di astinenza ed ogni domenica di 
Quaresima si estirpa una penna. L'ultima viene tirata proprio a Pasqua! 
Le 
Forme di Ercole. Secondo 
le fonti nel tratto di mare di fronte a Briatico vi erano delle isole dette 
Forme di Ercole o anche Ithacensae in cui fin dall’antichità veniva 
praticata la pesca del tonno. Gli antichi lodavano i tonni pescati in questo 
tratto di mare per la loro straordinaria grandezza e per la qualità delle 
carni.
Un curioso episodio. Proprio al centro di Briatico si trova l’imponente palazzo Bisogni (disabitato e ormai quasi diruto). Fino a qualche tempo fa gli abitanti evitavano di passare nelle vicinanze dell’edificio a causa di alcuni strani rumori che di notte provenivano dall’interno (si sentiva per esempio un misterioso russare). In tutto il paese si vociferava sull’esistenza di uno spettro anomalo, sempre addormentato negli orari di lavoro… Dopo qualche tempo, un coraggioso briaticese si è introdotto nel palazzo scoprendo che i rumori erano causati da una coppia di barbagianni che lì avevano fatto il nido.
 BROGNATURO
     BROGNATURO    
Santuario 
della “Madonna della Consolazione”. La 
tradizione popolare racconta che nel 1721 un muratore, mentre lavorava nella 
detta chiesa per riparare una parete pericolante, vide staccarsi l’intonaco, 
sotto cui apparve una bella immagine, dipinto su tela, raffigurante la Vergina 
SS.ma col Bambino. Sconvolto dall’apparizione, non pienamente convinto, credendo 
di ritrovarsi dinnanzi ad una suggestione, prima colpisce col martello 
l’immagine, quindi la ricopre con calce. Ma i colpi lasciavano lievi segni sulla 
pittura e la calce ricadeva come sospinta da mano invisibile. A quel punto 
l’operaio comincia a gridare per richiamare l’attenzione ed alle grida accorrono 
molte persone. In un baleno si sparge la notizia per il paese e tutti vanno a 
vedere, a pregare, dinnazi alla sacra immagine. Vi andò anche uno storpio, da 
tutti conosciuto, perché si aggirava per le case a chiedere l’elemosina; questo 
doveva diventare strumento inconsapevole per confermare a tutti il fenomeno 
straordinario. Infatti, appena fu davanti all’immagine, invocò la Vergine Santa, 
e subito riacquistò la salute. A tale prodigio tutti furono pervasi di gioia e 
ringraziarono la Vergine, mentre qualcuno esclamava: “Sii sempre nostra 
Consolazione e pace”. Da tale invocazione aveva origine il nuovo titolo 
mariano: “Madonna della Consolazione”. Ben 62 anni dopo, e cioè il 5 febbraio 
del 1783, un tremendo terremoto doveva sconvolgere tutta la Calabria. Da 90 anni 
non si verificava alcun terremoto in Calabria. L’estate del 1782 era stata 
caratterizzata da grande calore e siccità straordinaria. Quel 5 febbraio era 
sorto radioso e nulla faceva presupporre l’avvicinarsi di un pericolo. Alle ore 
12.30, annunziato da uno spaventevole rombo sotterraneo, avveniva l’immane 
cataclisma. Il suolo si agitava in tutti i sensi, causando stragi e rovine. La 
maggior parte delle case e degli edifici crollava facendo vittime, schiacciate 
dalla caduta di questi; altre vittime erano inghiottite dalle fenditure che si 
aprivano ai loro piedi nel terreno; altre trovavano la morte nelle fiamme che si 
sprigionavano dal terreno stesso. Nel medesimo giorno, alla sera, avveniva una 
seconda scossa. Di scosse se ne contarono 949 fino al mese di marzo dell’anno 
successivo. Il terremoto distrusse un centinaio di città e paesi, provocando bel 
30000 morti, e più 20000 decessi per le epidemie seguite al terremoto. In 
Brognaturo non vi furono vittime, ma solo danni alle cose. Altre calamità 
naturali che dovevano affliggere queste nostre zone furono le alluvioni del 1855 
e del 1935. le acque dell’Ancinale invasero tutte le zone circostanti, 
strappando alberi, abbattendo casolari e trascinando nella morte animali e 
persone. I Brognaturesi, chiesero aiuto alla Vergine della Consolazione e non 
ebbero né danni né morti. L’alluvione del 1935 fu più violenta e disastrosa. In 
seguito alle pioggie, il fiume Uncinale ingrossatosi, straripò, invadendo e 
rovesciando nel paese masse di acque a di fango. Anche questa volta Brognaturo 
potè sperimentare la protezione della Madonna della Consolazione. Considerata la 
speciale protezione della Madonna, constatato l’afflusso dei fedeli che devoti 
accorrono costantemente nella chiesa di Brognaturo, il 5 settembre 1964 
l’arcivescovo Mons. Armando Fares imponeve alla sacra immagine la corona d’oro. 
Ed il 7 ottobre 1993 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace Mons. Antonio 
Cantisani proclamava la chiesa parrocchiale di Brognaturo Santuario Mariano 
dedicato alla Madonna della Consolazione.
                                                            
CAPISTRANO   

Il quadro 
della Madonna del Lume di Favelloni. C'è una 
leggenda legata alla costruzione della chiesa della Madonna del Lume a 
Favelloni. Sembra che il quadro sia stato visto in mare da alcuni pescatori che, 
naturalmente appena ritornati in paese raccontarono dell'accaduto a tutti gli 
abitanti. la notizia si sparse presto tra le varie comunità della zona e ognuno 
si adoperò per cercare di prenderlo e portarlo all'asciutto. Ma quando qualcuno 
si avvicinava il quadro si allontanava. Soltanto alcuni abitanti di Favelloni 
riuscirono a ripescarlo. Questo fu consideraro un presagio: la Madonna voleva 
essere condotta proprio a Favelloni. Una volta tolto dall'acqua il quadro venne 
portato in paese su un carretto trainato da un asino. Durante il tragitto 
l'asinello si fermò e non ci fu verso di farlo proseguire. Gli abitanti 
pensarono che quello fosse il luogo scelto dalla Madonna del Lume per costruire 
la chiesa.
                                                                              CESSANITI    
Le 
bocche del diavolo. Alla 
periferia del paese, proprio al confine con Vibo Valentia c'è una zona a cui la 
tradizione popolare ha dato il nome di vucche du diavulu o vucche du 
'mpernu (bocche del diavolo o bocche dell'inferno) perché nel terreno, 
accanto alle radici di giganteschi ulivi secolari, ci sono delle grandi cavità 
dalla forma circolare quasi perfetta, profonde più di quaranta metri. Secondo la 
gente del posto da questi fori uscirebbe il respiro del diavolo che dorme 
sottoterra. Per alcuni le bocche nasconderebbero i fajetteji (piccoli folletti 
vestiti di rosso), altri pensano, invece, che possano essere la dimora della 
malvagia Lamia, una figura mostruosa che si nutre di sangue umano. In 
paese si tramanda ancora la credenza secondo la quale le bocche del diavolo 
avrebbero inghiottito Cozzojeroni, uno dei primi insediamenti urbani del 
territorio di Cessaniti. Da questo avvenimento (cessau, cessato di esistere) 
deriverebbe il nome del paese. Questa interpretazione etimologica, però, non 
trova alcun riscontro nella toponomastica locale.
DASA’  
Calamità 
che colpirono il territorio di Dasà. Nel corso 
dei secoli furono tanti gli eventi catastrofici che seminarono morte e 
distruzione nel territorio di Dasà. Soltanto la peste del 1656 risparmiò la 
gente del luogo che attribuì l'eccezionalità dell'evento alla protezione della 
Madonna della Consolazione. Tre anni più tardi, nel 1659, il terremoto distrusse 
molte case del paese e provocò ingenti danni alla chiesa Matrice e a quella di 
San Giovanni e dell'Annunziata. Nel 1743 il terremoto ritornò a seminare il 
terrore provocando vittime e crolli. Fu il turno, nel 1764, della carestia che 
provocò la morte per fame, anche, di molti giovani. Nel 1778 ci fu, invece, una 
epidemia non meglio specificata che uccise diversi bambini. Un nuovo terremoto 
si registrò nel febbraio del 1783 questo fu annotato tra i più distruttivi di 
tutti i tempi. A Dasà persero la vita cinquantatre persone. Parte della facciata 
della chiesa della Consolazione cadde a seguito del terremoto del 12 ottobre 
1791. Due inondazioni avvennero più tardi, nel 1855. Le acque del torrente 
Petriano strariparono distruggendo tutto quello che trovavano sul loro cammino. 
L'ultimo evento sismico di un certo rilievo, infine, si verificò nel settembre 
del 1905. 
 Devozione 
alla Madonna. La 
fede dei cittadini di Dasà è rivolta alla Madonna della Consolazione. La 
devozione dei dasaesi nei confronti della loro Padrona risale presumibilmente 
verso la fine del 1400, tenendo presente che la chiesa dove c’è la sacra statua 
è stata edificata nel 1483. E’ di questo periodo, appunto, una leggenda che 
racconta di un’incursione di briganti i quali devastarono l’abitato della 
piccola località di Bracciara compresa la chiesa. Tra i ruderi di quel 
saccheggio rimase l’altare con la statua lignea raffigurante appunto la Madonna 
della Consolazione. Si racconta anche che i paesi vicini, Dasà, Acquaro e Arena 
subirono più o meno lo stesso saccheggio; i loro abitanti, in procinto di 
edificare una nuova chiesa, rivendicarono il possesso della statua che venne 
prelevata con una carro trainato da buoi ma che, dopo appena qualche centinaia 
di metri si fermarono senza più volere continuare proprio alle porte di Dasà, 
nel luogo dove oggi sorge la chiesa che conserva la statua. Da allora e per 
volere del marchese Caracciolo di Arena la tradizionale "Affrontata" (si chiama 
così il rito religioso) è arrivata ai nostri giorni. E’ una processione, che si 
svolge una volta l’anno, il martedì di Galilea e coinvolge non solo i dasaei, ma 
anche i cittadini di Arena, di Aquaro e di tutti gli altri paesi limitrofi. La 
cerimonia religiosa consiste nel mettere all’asta le stanghe che sorreggono il 
piedistallo dove poggia la statua; a farsi largo sono soprattutto quelle persone 
che ritengono di avere rivevuto una grazia particolare dalla Madonna; tra i più 
facoltosi e devoti pare siano gli emigranti che pur vivendo in terre lontane 
hanno conservato per la protettrice del loro paese una grande fede.
 Devozione 
alla Madonna. La 
fede dei cittadini di Dasà è rivolta alla Madonna della Consolazione. La 
devozione dei dasaesi nei confronti della loro Padrona risale presumibilmente 
verso la fine del 1400, tenendo presente che la chiesa dove c’è la sacra statua 
è stata edificata nel 1483. E’ di questo periodo, appunto, una leggenda che 
racconta di un’incursione di briganti i quali devastarono l’abitato della 
piccola località di Bracciara compresa la chiesa. Tra i ruderi di quel 
saccheggio rimase l’altare con la statua lignea raffigurante appunto la Madonna 
della Consolazione. Si racconta anche che i paesi vicini, Dasà, Acquaro e Arena 
subirono più o meno lo stesso saccheggio; i loro abitanti, in procinto di 
edificare una nuova chiesa, rivendicarono il possesso della statua che venne 
prelevata con una carro trainato da buoi ma che, dopo appena qualche centinaia 
di metri si fermarono senza più volere continuare proprio alle porte di Dasà, 
nel luogo dove oggi sorge la chiesa che conserva la statua. Da allora e per 
volere del marchese Caracciolo di Arena la tradizionale "Affrontata" (si chiama 
così il rito religioso) è arrivata ai nostri giorni. E’ una processione, che si 
svolge una volta l’anno, il martedì di Galilea e coinvolge non solo i dasaei, ma 
anche i cittadini di Arena, di Aquaro e di tutti gli altri paesi limitrofi. La 
cerimonia religiosa consiste nel mettere all’asta le stanghe che sorreggono il 
piedistallo dove poggia la statua; a farsi largo sono soprattutto quelle persone 
che ritengono di avere rivevuto una grazia particolare dalla Madonna; tra i più 
facoltosi e devoti pare siano gli emigranti che pur vivendo in terre lontane 
hanno conservato per la protettrice del loro paese una grande fede.
 
La 
Madonna  versa lacrime di sangue. 
E’ 
stata riportata la notizia che, in questo paese, vi sia l’immagine di una 
Madonnina  che ha versato lacrime di 
sangue.
                                                                                        
DINAMI      

Le catene 
sciolte dalla Madonna. Si narra 
che a Dinami alcuni uomini schiavizzati dai saraceni riuscirono a liberarsi 
dalle catene grazie all'intervento della Vergine. La stessa frase incisa sul 
frontespizio del santuario corrobora la leggenda: solve vincla reis 
(sciogli le catene ai rei).
DRAPIA        
Alla 
ricerca della woodwardia radicans. Una 
rarissima specie di felce dal nome impronunziabile (woodwardia radicans, 
appartenente alla famiglia delle Blechnaceae), che costituisce uno dei relitti 
più antichi della flora mediterranea, cresce nel Vallone di Torre Ruffa. La 
pianta non ha proprietà curative o farmacologiche, ma le imponenti dimensioni la 
rendono uno splendido esemplare ornamentale.
FABRIZIA 

FILADELFIA 
 
La fontana 
della “Ficazzara”. Nella piazza 
principale del paese sorge una fontana a tre bocche. Si chiama “a funtana da 
Ficazzara”. La leggenda vuole che dalle tre figure sgorghino: l’acqua 
dell’Amore, quella dell’Odio e quella dell’Oblio. Facilissimo, quindi, amare, 
odiare o dimenticare attingendo ad esse… ma bisogna fare attenzione a non  confondersi e sbagliare!
Il 
telaio magico. Secondo 
una leggenda, nel borgo di Montesoro, parte del territorio di Filadelfia, vi era 
una donna che possedeva un telaio magico e tutti i manufatti che tesseva avevano 
la caratteristica di non consumersi mai.
La 
caverna del drago. La 
tradizione vuole che in un altro borgo fuori dall’abitato di Filadelfia vi fosse 
una grotta in cui si credeva che vivesse un drago. Le fonti raccontano che 
questa caverna fosse larga quattro passi e lunga circa duemila e all’interno 
fosse finemente scolpita con delle raffigurazioni e vi sgorgasse una fonte di 
acqua purissima.
FILANDARI 

Il prodigio 
di Santa Marina.  Nel 1950 il 
vescovo di Mileto ordinò che durante la processione per la festa di Santa Marina 
i soldi delle offerte non venissero attaccati agli abiti della statua ma, 
piuttosto, a uno stendardo a parte. In questo modo si voleva creare una netta 
distinzione tra il sacro e il profano. La popolazione, legata alle tradizioni, 
si ribellò a questa decisione. Di conseguenza il vescovo sequestrò la statua 
della Santa. I fedeli, allora, si riunirono una notte a pregare davanti alla 
chiesa di Santa Marina. Si racconta che mentre invocavano l'aiuto della Beata le 
porte della chiesa si siano aperte e che le luci interne si accesero. In seguito 
a quel prodigio il vescovo decise di restituire la statua ai filandaresi. 
FILOGASO        
Sant'Agata. 
Gli 
abitanti di Filogaso sono molto devoti a Sant'Agata che difende dalle calamità 
naturali, in particolare dal terremoto che in passato ha danneggiato gravemente 
il paese. Inoltre la Santa catanese protegge le donne dai mali al seno, in 
quanto durante il martirio le fu strappata una mammella.
 FRANCAVILLA 
ANGITOLA
    FRANCAVILLA 
ANGITOLA      
La 
grotta del drago. Sotto 
il paese c'è un lungo tunnel che un tempo lo univa alla cittadina di Filadelfia. 
L'antro d'accesso a questo cunicolo sotterraneo è sempre stato chiamato dai 
francavillesi "grotta del drago", probabilmente a causa dell'irrazionale paura 
che il luogo incuteva. Un alone di mistero ha sempre caratterizzato il tunnel 
che pare fu visitato da un giovane ufficiale di truppa regolare nel 1803. Egli 
dopo averlo percorso interamente, ritornò indietro affermando che dalla parte 
opposta non vi fosse alcuna via d'uscita. In seguito si fecero altre escursioni, 
ma nessuna in tempi recenti. Attualmente la "grotta" è coperta da vegetazione a 
crescita spontanea.
La 
chioccia e i suoi pulcini d'oro. In 
paese si racconta da tempo immemorabile la leggenda della chioccia e dei 
puricini d'ouru. Pare che nella zona del Drago, al primo ponticello, dove ancora 
resistono i segni di una grotta dentro la quale scorre una vena d'acqua 
purissima di cui si sente nitidamente il rumore, "viva" una gallina dalle uova 
d'oro con i suoi pulcini naturalmente tutti dello stesso prezioso metallo. Si 
racconta che essa appaia soltanto di notte. Molti hanno cercato di "avvistarla" 
ma pare che ancora nessuno ci sia mai riuscito.
San Foca 
e i saraceni. Una 
leggenda racconta che durante l’invasione dei Saraceni San Foca si offrì di 
salvare gli abitanti di Francavilla Angitola ricorrendo all’inganno. Andò sulla 
spiaggia dove erano sbarcati gli infedeli e fingendosi un traditore disse che li 
avrebbe accompagnati attraverso la via più agevole fino alla Rocca. Il santo 
condusse gli invasori attraverso dei boschi impenetrabili e lì li abbandonò in 
balia dei lupi. Da allora ogni anno a Francavilla, nella festa del santo 
patrono, si ringrazia San Foca riempiendo la città di fiori.
L’uomo 
che parla ai cavalli. Il 
paese è stato recentemente alla ribalta delle cronache per il fatto che 
proprio qui, lo psicologo Vincenzo Viscone, è riuscito ad entrare in 
comunicazione con un cavallo attraverso l'uso del sistema binario.
FRANCICA 

Anna Maria Edwige 
Pittarelli. Nel 1485 nacque da una 
nobile famiglia di Monteleone trasferitasi a Francica, Anna Maria Edwige 
Pittarelli fondatrice dell’Accademia degli Imperfetti. Secoli dopo venne 
ritrovato un manoscritto a firma della Pittarelli in cui vi erano 161 sonetti, 
61 madrigali, 2 canzoni, 11 elegie e alcuni epigrammi scritti in latino. Si ebbe 
un caso letterario circa l’autenticità del manoscritto; infatti per alcuni il 
linguaggio non sembrava cinquecentesco e per altri sembrava impossibile 
l’esistenza di una poetessa calabrese nel XVI secolo. Sulla questione prese 
posizione Benedetto Croce che difese l’autenticità del manoscritto.
 
GEROCARNE 

L'antica 
croce di Gerocarne. Nella 
chiesa arcipretale di Santa Maia de Latinis è stata ritrovata e custodita per 
molti anni una croce astile dall'anima di legno e le lamine di rame, risalente 
al XV secolo. Misura 48 cm per 39 e ha le estremità trilobate. Da una parte 
presenta, in posizione centrale, il Crocifisso fiancheggiato dalle figure della 
Madonna e di San Giovanni Evangelista, ai piedi Maria Maddalena e in alto 
l'Angelo. Dall'altra parte è invece raffigurato un Cristo Pantocrator seduto in 
trono con un libro nella mano sinistra e la mano destra benedicente. Alle 
estremità ci sono il toro alato (simbolo di San Luca) il leone alato (San 
Marco), l'aquila (San Giovanni) e l'uomo alato (San Matteo). La lamina che 
ricopre i bordi riproduce il motivo di una vite stilizzata con grappoli a tre 
acini che gira a zig-zag su tutta la croce. Attualmente si trova nel museo di 
Reggio Calabria. 
IONADI 

La 
Fata dei campi. 
A Ionadi, che secondo la tradizione significa “campo di viole”, una leggenda 
vuole che vi sia una 
Fata che protegge i campi e tutti coloro che si 
trovano in difficoltà durante i lavori agricoli. La Fata dei campi salva dai 
morsi dei serpenti, aiuta coloro che si perdono nei boschi e protegge i 
raccolti. 
JOPPOLO 

La storia 
della croce d'argento. Fino al 
1984 tra gli arredi della chiesa della Madonna della Romania spiccava una croce 
d'argento comunemente usata durante le cerimonie religiose. L'oggetto sacro fu 
poi mandato per restauro a Firenze dove alcuni esperti si accorsero che si 
trattava di un preziosissimo cimelio del valore di svariate centinaia di 
milioni. Sembra, infatti, che ne esistano soltanto tre esemplari in tutta 
Italia. Attualmente la croce è custodita nel museo di Cosenza.
 
 L'orma 
di San Gennaro. L'ipotesi potrebbe urtare i napoletani puro sangue, ma 
secondo la tradizione locale San Gennaro avrebbe natali joppolesi. A suffragare 
la teoria popolare un martirologio antichissimo in cui risultava che il patrono 
di Napoli fosse calabrese e un documento che attestava la nascita del Santo a 
Calafatoni (odierna Caroniti) esibito al vescovo di Nicotera, Centoflereno, dal 
collega di Pozzuoli nel 1650 (tale dichiarazione sarebbe andata durante il 
terremoto del 5 febbraio del 1783). Oggi sulla strada che collega Joppolo a 
Caroniti una piccola edicola votiva, vicino a cui sarebbe impressa l'orma del 
Santo.
L'orma 
di San Gennaro. L'ipotesi potrebbe urtare i napoletani puro sangue, ma 
secondo la tradizione locale San Gennaro avrebbe natali joppolesi. A suffragare 
la teoria popolare un martirologio antichissimo in cui risultava che il patrono 
di Napoli fosse calabrese e un documento che attestava la nascita del Santo a 
Calafatoni (odierna Caroniti) esibito al vescovo di Nicotera, Centoflereno, dal 
collega di Pozzuoli nel 1650 (tale dichiarazione sarebbe andata durante il 
terremoto del 5 febbraio del 1783). Oggi sulla strada che collega Joppolo a 
Caroniti una piccola edicola votiva, vicino a cui sarebbe impressa l'orma del 
Santo. 
 L’origine joppolese di San Gennaro 
(un libro a sostegno della tesi). Il clamore suscitato dalla stampa e un servizio 
televisivo di una rete locale con relativa intervista a don Bruno Sodaro, autore 
della pubblicazione Santi e beati di Calabria (Virgiglio editore, Rosarno, 1996) 
in merito alla “recente” scoperta delle origini calabresi di San Gennaro, ci 
induce a ritornare su questo argomento già oggetto di un articolo pubblicato su 
“La Città del Sole” del mese di maggio 1995 a pag. 16. L’autore del volume, che 
per la biografia su San Gennaro si è avvalso delle nostre fonti, pur avendoci 
doverosamente citati nel testo, non ha fatto alcuna menzione nel corso della sua 
intervista televisiva. Tuttavia, mettendo da parte ogni legittima primogenitura 
della ricerca per la quale non ci dogliamo né proviamo alcun risentimento verso 
alcuno, plaudiamo all’iniziativa e all’amor patrio di don Bruno Sodaro per aver 
contribuito a diffondere la nostra tesi (che, in verità, non è poi tutta nostra 
come dimostreremo in seguito) sulle origini calabresi di San Gennaro e per aver 
fatto in modo che la stessa giungesse a conoscenza, attraverso la stampa, fino a 
Napoli e anche all’estero. Della nascita di questo santo martire in Calabria ci 
siamo già occupati fin dal 1987 con un articolo pubblicato suo numero 10/12 di 
“Calabria Letteraria” e abbiamo ritenuto opportuno proporlo con altre notizie 
più aggiornate nel n° 5 di “La Città del Sole” nel maggio dello scorso anno, al 
fine di una maggiore divulgazione. Negli stessi articoli ci riallacciavamo alle 
fonti riportate dal prof. Raffaele Corso, noto studioso di etnografia e folclore 
nicoterese, che nel 1958 si era occupato della “vexata quaestio” sulla rivista 
“Calabria Letteraria” Premettiamo che non siamo d’accordo nel ritenere la 
notizia diffusa a seguito del lavoro di don Bruno Sodaro “una bufala” - come 
l’ha definita un cronista del giornale radio regionale nel notiziario del 
mattino del 15 novembre - perché se lo stesso giornalista avesse letto i nostri 
articoli e quello di Raffaele Corso avrebbe commentato diversamente la notizia. 
Senza dubbio, il metodo storiografico esige che, fino a quando le ricerche 
condotte non sono supportate da documenti e riscontri obiettivi, bisogna usare 
cautela prima di arrivare a certe conclusioni o ad emettere certi giudizi. La 
tesi della nascita di San Gennaro e della sua fanciullezza trascorsa a Caroniti 
di Ioppolo è sostenuta non solo dalla leggenda e dalla tradizione popolare 
riportata da Raffaele Corso ma anche da Tommaso Aceti nel suo commento all’opera 
di Gabriele Barrio, De Antiquitate ed situ Calabriae, nonché da una Memoria del 
canonico di Nicotera Luigi Sorace, vissuto nei primi anni dell’Ottocento. In 
base alla tradizione popolare Raffaele Corso scrive: “A soccorrere l’assunto, 
per loro indiscutibile, di tali tradizioni, gli umili pastori del Poro, compresi 
di raggiante orgoglio, additano al passeggero gli avanzi della casetta, ove il 
santo avrebbe avuto i natali; il boschetto di vetusti e pur floridi alberi di 
ulivo ove egli sarebbe vissuto in semplicità; la rupe donde sarebbe apparso 
durante un’incursione di saraceni sulla costa per mettere in fuga i pirati”. E 
aggiunge: “Gli avanzi, che consistono in una muraglia di pietra calvina, lunga 
tre metri e alta uno, si osservano sul clivo detto Pirro, donde il mare e il 
monte si scoprono allo sguardo in tutta la loro stupenda imponenza... Una 
nicchia, nell’angolo interno al riparo dei venti, serve ad accogliere i voti e 
qualche lampada, che, di quando in quando, i montanari curano di accendere, 
quasi a rischiarare la solitudine del luogo e lo squallore dei ruderi e dei 
sassi coperti di cespugli.” Si dice che, probabilmente, quella muraglia, più che 
un rudere della casa, siano, invece, i resti della chiesa di Calafatoni, la 
quale comunemente soleva chiamarsi “casa della nascita di San Gennaro”. Si 
afferma, inoltre, che, nel 1808, un contadino, nel cavari pietra presso il sito 
dell’antico villaggio per costruire un pagliaio per i buoi, fra le pietr ne 
scavò unq di poco più di un palmo quadro, rotta in due pezzi, con l’iscrizione 
della diruta chiesetta che sarebbe sorta sulle mura dell’abitazione del Santo. 
Tommaso Aceti, nel 1737, scrive che San Gennaro nacque a Calositone (che 
significa bella pianta) o Calafatoni, sperduto villaggio, oggi scomparso del 
comune di Ioppolo. E aggiunge: “In questo luogo, come perdura costante 
tradizione presso gli abitanti di Nicotera, nacque San Gennaro Martire, Vescovo 
di Benevento.” Né a questo punto abbiamo ritenuto debba essere tralasciato il 
documento che il vescovo di Pozzuoli mostrò al vescovo di Nicotera 
Centoflorenio, che nel 1650 passava per Pozzuoli, vale a dire un Cronicon 
antichissimo lì conservato, dal quale appariva chiaro che S. Gennaro era nato a 
Calositano. Ma anche un vescovo greco che passava per la Calabria mostrava un 
antichissimo Martirologio scritto in greco, dal quale si evinceva che S. Gennaro 
era Calabro, come dal MS Martire. Che anzi il Magistrato di Nicotera, nei 
salvacondotti che si sogliono dare agli abitanti che partono, o agli stranieri 
di passaggio, si serve di questa formula: “Per Grazia e Dio e intercessione di 
S. Gennaro, Vescovo e Martire, nostro Concittadino” L’altra notizia - riportata 
pure da Raffaele Corso - è quella appresa dalle Memorie del canonico Luigi 
Sorace il quale racconta che monsignor D. Luca Antonio Resta, nominato, nel 
1578, vescovo di Nicotera, “volle portarsi di persona a visitare i villaggi di 
Calafatoni in punto d’estinguersi, e di Caroniti sorgente, ed ancora senza 
chiesa... Andato, pertanto, sulla faccia del luogo, ritrovò in Calafatoni solo 
25 case senza abitanti fissi, perché erano tutti pastori di pecore e tutti 
avevano ritrovata più comoda situazione di Caroniti per gli esercizi spirituali, 
come situato in luogo più largo ed ameno, ma che, per non aver chiesa, erano 
obbligati nei dì festivi a discendere a Calafatoni per ascoltar messa. Il 
vescovo, però, veduto tale inconveniete, ed inteso da don Giannettino, che era 
cappellano e rettore della chiesa di Calafatoni, che in detta chiesa da molto 
tempo non conservavansi più né specie eucaristiche, né olei sacri, per essere 
ridotta quasi rurale per difetto degli abitanti emigrati, e che non vi risiedeva 
parroco per difetto di rendita, ma solo veniva da Preitoni nei dì festivi a 
celebrare; come pure avendo inteso dall’istesso che quella chiesa era stata 
eretta sotto il titolo di San Gennaro, appunto perché essa era il locale dove 
San Gennaro era nato, giacché era la casa di sua abitazione, siccome egli 
testifica per averlo udito dagli antichi, ordinò, il vescovo, che dette 
abitazioni di Calafatoni si riunissero a quelle di Caroniti poco distanti, e che 
ivi si fabbricasse una chiesa che consacrarsi sotto lo stesso titolo, ed una 
casa per il parroco, assegnando l’istesso Don Giannettino per parroco con la 
previsione di salme quattro di grano da pagarsi dagli abitanti di Caroniti, con 
la condizione che dal punto medesimo risiedessero in Calafatoni, e che poi si 
conservasse ben tenuta come rurale in memoria e venerazione del Santo, che iviv 
avea sortito la nascita, massime per la frequenza dei divoti, che andava sin là 
ad offrir voti e a raccomandarsi al Santo, come sul suolo sin là ad offrir voti, a raccomandarsi al Santo, come sul suolo proprio del suo nascimento.” A 
sostegno della sua tesi, Raffaele Corso scrive, inoltre, che parecchie bolle 
vescovili di cui la più antica di quelle sopravvissute alle rovine del terremoto 
del 1783 porta la data del 30 settembre 1578 “consacrano tale tradizione”. Anzi, 
la predetta bolla - aggiunge Raffaele Corso - in favore del parroco Giannettino 
comincia con e seguenti parole: “Annuente domino nostro Jesu Christo , ac. B. 
Januario Episcopo et Maryre, quem Calaphitonenses meruerunt habere colonum”. Non 
sappiamo però se R. Corso abbia preso direttamente visione di tali documenti, 
perché, in caso affermativo, queste bolle vescovili costituirebbero delle prove 
importanti della nascita di San Gennaro a Caroniti. Non dimentichiamo che questi 
stessi villaggi del Poro, in epoche antichissime, hanno visto passare e 
soggiornare altri santi e beati e sono stati anche dimora di molti eremiti. Il 
Vibonese - come ce ne danno conferma gli storici H. M. Laurent - A. Guillou, 
padre Francesco Russo nella sua Storia della Chiesa in Calabria e don Nicola 
Ferrante nel suo volume Santi italogreci - era pieno di monasteri come quelli di 
S. Onofrio del Caos, S. Teodoro di Nicotera, S. Angelo di Briatico, S. Giorgio a 
Drapia, S. Maria a Pizzoni e S. Ruba aVibo. Per affermare ancora la “santità” di 
questi luoghi riferiamo che, secondo quanto ci ha assicurato recentemente il 
prof. Domenico Minuto, noto studioso del periodo bizantino, e anche in base a 
quanto riporta Nicola Ferrante nella sua predetta opera, “nei pressi di 
Nicotera” sbarcò, intorno al 941, la famigli di San Sabam proveniente da 
Collesano, in Sicilia, dove il territorio era stato incendiato dagli Arabi. 
Essa, prima di dirigersi verso la regione monastica del Mercurios, trovò 
ospitalità presso la famiglia dei Caroniti che si era a suo tempo rifugiata in 
queste contrade proveniente dal villaggio siciliano di Caronia, donde poi il 
nome all’attuale frazione di Ioppolo. Pertanto, spetta ora agli studiosi di 
storia religiosa che volessero proseguire questa affascinante ricerca 
frequentare di più gli archivi pubblici e, nel caso specifico, quelli vescovili 
o l’Archivio Segreto Vaticano per reperire maggiore documentazione sulle origini 
calabresi di San Gennaro. E, allora, sotto a chi tocca, il terreno è quanto mai 
vasto e inesplorato.
 L’origine joppolese di San Gennaro 
(un libro a sostegno della tesi). Il clamore suscitato dalla stampa e un servizio 
televisivo di una rete locale con relativa intervista a don Bruno Sodaro, autore 
della pubblicazione Santi e beati di Calabria (Virgiglio editore, Rosarno, 1996) 
in merito alla “recente” scoperta delle origini calabresi di San Gennaro, ci 
induce a ritornare su questo argomento già oggetto di un articolo pubblicato su 
“La Città del Sole” del mese di maggio 1995 a pag. 16. L’autore del volume, che 
per la biografia su San Gennaro si è avvalso delle nostre fonti, pur avendoci 
doverosamente citati nel testo, non ha fatto alcuna menzione nel corso della sua 
intervista televisiva. Tuttavia, mettendo da parte ogni legittima primogenitura 
della ricerca per la quale non ci dogliamo né proviamo alcun risentimento verso 
alcuno, plaudiamo all’iniziativa e all’amor patrio di don Bruno Sodaro per aver 
contribuito a diffondere la nostra tesi (che, in verità, non è poi tutta nostra 
come dimostreremo in seguito) sulle origini calabresi di San Gennaro e per aver 
fatto in modo che la stessa giungesse a conoscenza, attraverso la stampa, fino a 
Napoli e anche all’estero. Della nascita di questo santo martire in Calabria ci 
siamo già occupati fin dal 1987 con un articolo pubblicato suo numero 10/12 di 
“Calabria Letteraria” e abbiamo ritenuto opportuno proporlo con altre notizie 
più aggiornate nel n° 5 di “La Città del Sole” nel maggio dello scorso anno, al 
fine di una maggiore divulgazione. Negli stessi articoli ci riallacciavamo alle 
fonti riportate dal prof. Raffaele Corso, noto studioso di etnografia e folclore 
nicoterese, che nel 1958 si era occupato della “vexata quaestio” sulla rivista 
“Calabria Letteraria” Premettiamo che non siamo d’accordo nel ritenere la 
notizia diffusa a seguito del lavoro di don Bruno Sodaro “una bufala” - come 
l’ha definita un cronista del giornale radio regionale nel notiziario del 
mattino del 15 novembre - perché se lo stesso giornalista avesse letto i nostri 
articoli e quello di Raffaele Corso avrebbe commentato diversamente la notizia. 
Senza dubbio, il metodo storiografico esige che, fino a quando le ricerche 
condotte non sono supportate da documenti e riscontri obiettivi, bisogna usare 
cautela prima di arrivare a certe conclusioni o ad emettere certi giudizi. La 
tesi della nascita di San Gennaro e della sua fanciullezza trascorsa a Caroniti 
di Ioppolo è sostenuta non solo dalla leggenda e dalla tradizione popolare 
riportata da Raffaele Corso ma anche da Tommaso Aceti nel suo commento all’opera 
di Gabriele Barrio, De Antiquitate ed situ Calabriae, nonché da una Memoria del 
canonico di Nicotera Luigi Sorace, vissuto nei primi anni dell’Ottocento. In 
base alla tradizione popolare Raffaele Corso scrive: “A soccorrere l’assunto, 
per loro indiscutibile, di tali tradizioni, gli umili pastori del Poro, compresi 
di raggiante orgoglio, additano al passeggero gli avanzi della casetta, ove il 
santo avrebbe avuto i natali; il boschetto di vetusti e pur floridi alberi di 
ulivo ove egli sarebbe vissuto in semplicità; la rupe donde sarebbe apparso 
durante un’incursione di saraceni sulla costa per mettere in fuga i pirati”. E 
aggiunge: “Gli avanzi, che consistono in una muraglia di pietra calvina, lunga 
tre metri e alta uno, si osservano sul clivo detto Pirro, donde il mare e il 
monte si scoprono allo sguardo in tutta la loro stupenda imponenza... Una 
nicchia, nell’angolo interno al riparo dei venti, serve ad accogliere i voti e 
qualche lampada, che, di quando in quando, i montanari curano di accendere, 
quasi a rischiarare la solitudine del luogo e lo squallore dei ruderi e dei 
sassi coperti di cespugli.” Si dice che, probabilmente, quella muraglia, più che 
un rudere della casa, siano, invece, i resti della chiesa di Calafatoni, la 
quale comunemente soleva chiamarsi “casa della nascita di San Gennaro”. Si 
afferma, inoltre, che, nel 1808, un contadino, nel cavari pietra presso il sito 
dell’antico villaggio per costruire un pagliaio per i buoi, fra le pietr ne 
scavò unq di poco più di un palmo quadro, rotta in due pezzi, con l’iscrizione 
della diruta chiesetta che sarebbe sorta sulle mura dell’abitazione del Santo. 
Tommaso Aceti, nel 1737, scrive che San Gennaro nacque a Calositone (che 
significa bella pianta) o Calafatoni, sperduto villaggio, oggi scomparso del 
comune di Ioppolo. E aggiunge: “In questo luogo, come perdura costante 
tradizione presso gli abitanti di Nicotera, nacque San Gennaro Martire, Vescovo 
di Benevento.” Né a questo punto abbiamo ritenuto debba essere tralasciato il 
documento che il vescovo di Pozzuoli mostrò al vescovo di Nicotera 
Centoflorenio, che nel 1650 passava per Pozzuoli, vale a dire un Cronicon 
antichissimo lì conservato, dal quale appariva chiaro che S. Gennaro era nato a 
Calositano. Ma anche un vescovo greco che passava per la Calabria mostrava un 
antichissimo Martirologio scritto in greco, dal quale si evinceva che S. Gennaro 
era Calabro, come dal MS Martire. Che anzi il Magistrato di Nicotera, nei 
salvacondotti che si sogliono dare agli abitanti che partono, o agli stranieri 
di passaggio, si serve di questa formula: “Per Grazia e Dio e intercessione di 
S. Gennaro, Vescovo e Martire, nostro Concittadino” L’altra notizia - riportata 
pure da Raffaele Corso - è quella appresa dalle Memorie del canonico Luigi 
Sorace il quale racconta che monsignor D. Luca Antonio Resta, nominato, nel 
1578, vescovo di Nicotera, “volle portarsi di persona a visitare i villaggi di 
Calafatoni in punto d’estinguersi, e di Caroniti sorgente, ed ancora senza 
chiesa... Andato, pertanto, sulla faccia del luogo, ritrovò in Calafatoni solo 
25 case senza abitanti fissi, perché erano tutti pastori di pecore e tutti 
avevano ritrovata più comoda situazione di Caroniti per gli esercizi spirituali, 
come situato in luogo più largo ed ameno, ma che, per non aver chiesa, erano 
obbligati nei dì festivi a discendere a Calafatoni per ascoltar messa. Il 
vescovo, però, veduto tale inconveniete, ed inteso da don Giannettino, che era 
cappellano e rettore della chiesa di Calafatoni, che in detta chiesa da molto 
tempo non conservavansi più né specie eucaristiche, né olei sacri, per essere 
ridotta quasi rurale per difetto degli abitanti emigrati, e che non vi risiedeva 
parroco per difetto di rendita, ma solo veniva da Preitoni nei dì festivi a 
celebrare; come pure avendo inteso dall’istesso che quella chiesa era stata 
eretta sotto il titolo di San Gennaro, appunto perché essa era il locale dove 
San Gennaro era nato, giacché era la casa di sua abitazione, siccome egli 
testifica per averlo udito dagli antichi, ordinò, il vescovo, che dette 
abitazioni di Calafatoni si riunissero a quelle di Caroniti poco distanti, e che 
ivi si fabbricasse una chiesa che consacrarsi sotto lo stesso titolo, ed una 
casa per il parroco, assegnando l’istesso Don Giannettino per parroco con la 
previsione di salme quattro di grano da pagarsi dagli abitanti di Caroniti, con 
la condizione che dal punto medesimo risiedessero in Calafatoni, e che poi si 
conservasse ben tenuta come rurale in memoria e venerazione del Santo, che iviv 
avea sortito la nascita, massime per la frequenza dei divoti, che andava sin là 
ad offrir voti e a raccomandarsi al Santo, come sul suolo sin là ad offrir voti, a raccomandarsi al Santo, come sul suolo proprio del suo nascimento.” A 
sostegno della sua tesi, Raffaele Corso scrive, inoltre, che parecchie bolle 
vescovili di cui la più antica di quelle sopravvissute alle rovine del terremoto 
del 1783 porta la data del 30 settembre 1578 “consacrano tale tradizione”. Anzi, 
la predetta bolla - aggiunge Raffaele Corso - in favore del parroco Giannettino 
comincia con e seguenti parole: “Annuente domino nostro Jesu Christo , ac. B. 
Januario Episcopo et Maryre, quem Calaphitonenses meruerunt habere colonum”. Non 
sappiamo però se R. Corso abbia preso direttamente visione di tali documenti, 
perché, in caso affermativo, queste bolle vescovili costituirebbero delle prove 
importanti della nascita di San Gennaro a Caroniti. Non dimentichiamo che questi 
stessi villaggi del Poro, in epoche antichissime, hanno visto passare e 
soggiornare altri santi e beati e sono stati anche dimora di molti eremiti. Il 
Vibonese - come ce ne danno conferma gli storici H. M. Laurent - A. Guillou, 
padre Francesco Russo nella sua Storia della Chiesa in Calabria e don Nicola 
Ferrante nel suo volume Santi italogreci - era pieno di monasteri come quelli di 
S. Onofrio del Caos, S. Teodoro di Nicotera, S. Angelo di Briatico, S. Giorgio a 
Drapia, S. Maria a Pizzoni e S. Ruba aVibo. Per affermare ancora la “santità” di 
questi luoghi riferiamo che, secondo quanto ci ha assicurato recentemente il 
prof. Domenico Minuto, noto studioso del periodo bizantino, e anche in base a 
quanto riporta Nicola Ferrante nella sua predetta opera, “nei pressi di 
Nicotera” sbarcò, intorno al 941, la famigli di San Sabam proveniente da 
Collesano, in Sicilia, dove il territorio era stato incendiato dagli Arabi. 
Essa, prima di dirigersi verso la regione monastica del Mercurios, trovò 
ospitalità presso la famiglia dei Caroniti che si era a suo tempo rifugiata in 
queste contrade proveniente dal villaggio siciliano di Caronia, donde poi il 
nome all’attuale frazione di Ioppolo. Pertanto, spetta ora agli studiosi di 
storia religiosa che volessero proseguire questa affascinante ricerca 
frequentare di più gli archivi pubblici e, nel caso specifico, quelli vescovili 
o l’Archivio Segreto Vaticano per reperire maggiore documentazione sulle origini 
calabresi di San Gennaro. E, allora, sotto a chi tocca, il terreno è quanto mai 
vasto e inesplorato. 
LIMBADI  

Il frate 
di Santa Croce. Ancora 
oggi gli anziani,limbadesi, raccontano una storia legata alla figura di un 
misterioso frate. Sembra che l'uomo, forse di Catania, si fosse stabilito sulla 
collina di Santa Croce. Qui costruì una semplice capanna nella quale, secondo la 
tradizione popolare, si verificavano eventi prodigiosi. Un giorno, un contadino 
decise di andare a chiedergli aiuto per la moglie gravemente malata. Quando 
arrivò dal frate, però, egli gli disse di ritornare nuovamente con una mucca. Il 
contadino fece come gli era stato ordinato ma commise l'errore di lamentarsi per 
l'estrema umiltà del luogo. Il frate, dunque, lo scacciò e l'uomo fu costretto a 
ritornare a casa abbandonando lì la sua mucca. Miracolosamente, però, il 
contadino trovò l'animale di fronte alla porta della sua abitazione.
MAIERATO   
 MILETO
   MILETO         
     
              Paravati 
(frazione di Mileto)
| NATUZZA 
      EVOLO E IL MISTERO DELLA SUA VITA. Una 
      donna semplice che ha donato, in piena umiltà, la sua vita a Dio. Un 
      percorso doloroso segnato dalle “stimmate”, costellato di fenomeni 
      straordinari ed eventi miracolosi, inspiegabili come la bilocazione. Un 
      cammino, il suo, coadiuvato dalla preghiera e dal completo abbandono alla 
      volontà Divina di cui ella è tramite e portavoce. La sua capacità di 
      vedere il suo stesso angelo custode e l’angelo custode di tutti gli 
      uomini, nonché i defunti, le ha permesso di comunicare, durante gli 
      incontri con credenti, non credenti, scettici e curiosi, una volontà 
      Suprema, un messaggio particolare e di vedere tutti come “anime” bisognose 
      d’aiuto e conforto, sia nel corpo che nello spirito. Milioni le persone 
      che l’hanno conosciuta, migliaia le testimonianze di guarigione e i 
      riconoscimenti dei suoi doni, sebbene gli scienziati e la Chiesa la 
      osservino ancora oggi da vicino. Ma ella risponde sempre: “Io 
      non faccio miracoli. I 
      miracoli li fa solo Dio. Pregate! | 
                              MONGIANA  
 
MONTEROSSO 
CALABRO 
 
                NARDO 
DI PACE     
 NICOTERA
   NICOTERA 
   
   
La 
Fortuna è donna o lucertola? Anche 
Nicotera ha conservate nelle sue leggende profonde reminiscenze della tradizione 
greca e romana. Si tramanda nei racconti popolari che l’uomo nascendo abbia come 
compagna la Fortuna dalle sembianze di une lucertola o di una donna assidua nel 
lavoro. Nessuno può sfuggire alla buona come alla cattiva sorte e per 
propiziarsi la Fortuna si usa, nell’atto di abitare una nuova casa o di iniziare 
una nuova attività, imbandire una tavola che poi gli uomini lasciano deserta per 
consentirle di assaggiare quei cibi. 
L’anima 
in punta di piedi. Si 
crede che quando un uomo muore la sua anima si stacca dal corpo e “in punta di 
piedi” deve attraversare il cosiddetto Pozzo di San Giacomo, passando in 
equilibrio su un filo sottilissimo. Se l’anima è gravata da colpe sprofonderà 
nell’abisso dell’inferno, altrimenti (reggendo il filo la mancanza del peso 
procurato dai peccati) godrà della felicità eterna raggiungendo il 
paradiso.
Le 
brocche per dissetare l’anima. Si 
crede che, nell’ora della morte, quando l’anima si stacca dal corpo, la casa in 
cui si svolge l’agonia è sconvolta da un “tremito” che può essere attenuato 
seguendo dei particolari rituali, per cui si ha cura di porre delle brocche di 
creta dette “bumboli” o “gozze” affinché l’anima si possa 
dissetare. 
Il 
rito della “magara”. Quando 
un uomo muore di morte violenta, bisogna scongiurare gli spiriti maligni per 
attenuare il loro potere e la loro presenza. Una strega, ovvero una “magara” 
deve recarsi, a mezzanotte, nelle strade deserte con un recipiente in cui ardono 
carboni e incenso benedetto e recitare delle formule magiche che possano dare 
pace all’anima dell’ucciso; questo rituale deve essere ripetuto per tre notti 
consecutive.
PARGHELIA  
Il 
fantasma di Olimpia la pazza. Secondo 
una leggenda, in località Vigna di Marasusa, nel territorio di Parghelia, nelle 
notti di luna piena, vaga  ancora 
oggi, nelle campagne, il fantasma di una popolana, chiamata Olimpia la pazza, 
che in vita subiva gli influssi nefasti del plenilunio. Un’infelice caso di 
licantropia che non dà pace all’anima dell’infelice donna neanche dopo la 
morte.
 PIZZO 
CALABRO
   PIZZO 
CALABRO    
       
 
PIZZONI  
POLIA 

La statua 
della Vergine di Loreto. Si 
racconta che alcuni ladruncoli tentarono di rubare la statua della Madonna di 
Loreto. Mentre trasportavano su un carro l'effigie la Vergine fece addormentare 
i ladri, così la statua poté essere recuperata. A testimonianza dell'evento ci 
sarebbe la traccia della ruota del carro, lasciata su una pietra, custodita 
nella chiesetta rupestre di Pedadace. 
La Croce miracolosa. Si tramanda che la Santissima Croce posta sull'altare di legno dell'omonima chiesa, sia stata realizzata con il legno proveniente dall'Orto degli Ulivi in Terra Santa. La leggenda vuole che questa croce fosse punto di riferimento per i viaggiatori che dal Tirreno si spostavano sullo Jonio, passando per Polia. Si racconta che un cieco avesse chiesto a un mercante di portagli un pezzo della Santissima Croce. Questi si dimenticò della richiesta e in alternativa portò al cieco un pezzetto di legno della sua barca. L'uomo, pur avvertendo che non si trattava del pezzo di legno della Santissima Croce, lo conservò con tale devozione che miracolosamente riacquistò la vista.
RICADI    (Capo 
Vaticano)
 (Capo 
Vaticano) 
Donna 
Canfora. Dalla 
bellissima spiaggia di Torre Ruffa ha origine il racconto popolare di Donna 
Canfora, nobile e ricca, molto bella, che amava 
vestire di azzurro e turchese, fu 
catturata dai Saraceni. Quando si trovò sulla nave dei Musulmani, dopo aver dato 
un saluto alla sua costa, alla terra natale e agli amici che agitavano le 
braccia sulla spiaggia in un gesto disperato, si gettò risolutamente in mare 
gridando: "Le donne di questa terra preferiscono la morte al disonore". Donna 
Canfora scomparve tra le onde, ma da allora le acque del mare diventarono in 
quel punto di un azzurro cangiante con le sfumature del colore del velo che la 
donna di Ricadi portava. Quando l'eco, che si genera dall'infrangersi dell'onda 
sulla battigia, si propaga nelle adiacenti campagne, i contadini raccontano ai 
loro figli la leggenda di Donna Canfora e dicono che quel fragore non è altro 
che l'accorato lamento con cui la bella donna rapita saluta ogni notte la sua 
casa e la sua terra natale.
La 
profetessa Manto. Proprio qui è 
nata la leggenda della profetessa Manto dalla quale prese il nome lo scoglio 
Mantineo. A lei i naviganti si rivolgevano prima di affrontare il mare. Dalla 
profetessa Manto deriva il nome del promontorio Vaticano, “luogo del vaticinio”, 
infatti “Mantevo” in gerco significa predire e in latino “vaticinare”. 
 
ROMBIOLO 

Il Monte 
Poro. Rombiolo è 
situato sull’altopiano del Monte Poro che è uno dei “Monti Santi” 
della Calabria brasiliana, insieme al Monte Consolino di Stilo, il 
Monte Moscio di Stalettì, l’Aspromonte e il Pollino. Questi 
Monti furono definiti “sacri” da tempo immemorabile poiché da sempre, fra 
leggenda e realtà, essi erano stati meta di ritiro per santi, eremiti e 
taumaturghi.
SAN CALOGERO 

La 
miracolata. A San 
Calogero si racconta una storia che ha connotati miracolosi. Sembra che, sul 
finire degli anni Settanta, una donna, la signora Maria Maccarone, paralitica 
dalla nascita sia riuscita d'improvviso a camminare grazie all'intercessione 
della beata Paola Frassinetti. Il miracolo fu ufficializzato dal Vaticano che 
promosse la beata a santa. Una lapide nella facciata principale della sua casa 
natale ricorda l'accaduto.
                                                                  
SAN 
COSTANTINO CALABRO    
SAN 
GREGORIO D’IPPONA     
SAN NICOLA DA 
CRISSA      
 
 SANT’ONOFRIO
    SANT’ONOFRIO 
    
 Il 
volto del Cristo sull’ulivo a Scarpaleggia. 
(Dalla "Gazzetta del Sud" - 7 giugno 1987). Nel mese di aprile 1987 le 
cronache dei giornali riportano un fatto straordinario, dai contorni 
miracolistici: in una località del vibonese, presso Sant'Onofrio, su un ulivo 
centenario, si sarebbe formata l'immagine del Cristo. La Chiesa, con la sua 
millenaria prudenza non si pronuncia, ne può, d'altronde, sciogliere gli enigmi 
che la fantasia popolare qualifica già come eventi reali e indubitabili. La zona 
dell'apparizione si trasforma immediatamente: sul posto bancarelle, sbucate 
improvvisamente, dove, si vende di tutto, supporti per colorare di scampagnata 
una visita che doveva verificare e far luce su un mistero naturale o 
soprannaturale: è la civiltà del consumismo che non arretra neppure di fronte a 
fatti straordinari, anzi si serve di essi per riaffermarsi. E' un brano di una 
introspezione comparata che riporta alla mente altri dubbi, altre storie di 
uomini, ma che riesce a scavare all'interno di questa rinata e convulsa frenesia 
religiosa e pagana insieme, coinvolgendo, in prima persona, lo stesso autore: il 
mistero della fede e dell'ignoto conserva sempre il suo grande 
richiamo.
 Il 
volto del Cristo sull’ulivo a Scarpaleggia. 
(Dalla "Gazzetta del Sud" - 7 giugno 1987). Nel mese di aprile 1987 le 
cronache dei giornali riportano un fatto straordinario, dai contorni 
miracolistici: in una località del vibonese, presso Sant'Onofrio, su un ulivo 
centenario, si sarebbe formata l'immagine del Cristo. La Chiesa, con la sua 
millenaria prudenza non si pronuncia, ne può, d'altronde, sciogliere gli enigmi 
che la fantasia popolare qualifica già come eventi reali e indubitabili. La zona 
dell'apparizione si trasforma immediatamente: sul posto bancarelle, sbucate 
improvvisamente, dove, si vende di tutto, supporti per colorare di scampagnata 
una visita che doveva verificare e far luce su un mistero naturale o 
soprannaturale: è la civiltà del consumismo che non arretra neppure di fronte a 
fatti straordinari, anzi si serve di essi per riaffermarsi. E' un brano di una 
introspezione comparata che riporta alla mente altri dubbi, altre storie di 
uomini, ma che riesce a scavare all'interno di questa rinata e convulsa frenesia 
religiosa e pagana insieme, coinvolgendo, in prima persona, lo stesso autore: il 
mistero della fede e dell'ignoto conserva sempre il suo grande 
richiamo.
 
 
 SERRA SAN 
BRUNO
   SERRA SAN 
BRUNO   
   
La 
possessione spiritica. Le 
leggende di ogni regione d'Italia, seppure diverse tra loro, narrano spesso di 
anime che, sepolte in terra non consacrata, oppure in luoghi non di culto, non 
riescono a trovare la pace perpetua tanto ambita. E come reagiscono queste 
anime? Vagando inquiete, apparendo in sogno a parenti ed amici, manifestandosi 
durante sedute spiritiche... sempre con l'intenzione di poter far conoscere il 
proprio desiderio. Crediamo però che si sia assistito ad un fatto clamoroso: il 
23 giugno 1971 l'anima di un giovane morto venti anni fa si sarebbe 
temporaneamente « reincarnata » nei corpo della sorella, indicando il luogo 
(sconosciuto) ove il suo corpo era sepolto e chiedendo che fosse traslato al 
cimitero del paese natio! Il fatto è avvenuto a Serra San Bruno, in provincia di 
Catanzaro (oggi di Vibo Valentia). Se ne sono occupati anche i giornali locali, ma più come fatto di cronaca che altro, 
tralasciando completamente di occuparsene dal punto di vista metapsichico. Già 
altre volte, in sogno, il giovane — morto una ventina di anni fa — aveva 
manifestato la propria inquietudine ai parenti, i quali avevano creduto di 
risolvere la questione facendo celebrare delle Messe in suffragio dei defunto. 
Ma il fenomeno continuava a manifestarsi, specialmente nella sorella del morto, 
che tuttavia non arrivava a comprenderne le cause: e allora lo spirito, inquieto 
ma non domito, prese una drastica decisione. Così a Serra San Bruno una donna, 
una giovane massaia, conosciuta da tutti, onesta e laboriosa, ha avuto nel 
proprio corpo, improvvisa e prepotente, l'anima del fratello morto venti anni 
prima, che si è manifestata subito parlando con quella voce che i parenti 
sbigottiti hanno riconosciuto per la voce del morto. Ha chiesto che 
rintracciassero la sua tomba, e traslassero la salma dal luogo ove si trovava 
sepolta, al cimitero di Serra San Bruno. — Cercatela, trovatela, 
altrimenti non avrò mai pace! — gridava la donna con la voce di uomo e 
come indemoniata si contorceva per terra tra atroci sofferenze. I familiari, 
sbigottiti ed allibiti, non riuscivano a comprendere ed a spiegarsi la strana 
situazione creatasi nella loro casa. E la voce del morto, per bocca della donna, 
non dava tregua. Fu cosi che il marito della donna, coadiuvato da altri 
familiari, si mise a girovagare senza troppa convinzione...per i cimiteri dei 
paesi vicini, estendendo via via le ricerche fino a Savelli, nella Sila Grande, 
a circa 150 Km. da Serra San Bruno. Là il poveretto diceva di essere sepolto, ma 
nessuno sapeva niente della salma, nemmeno il custode del cimitero: si, forse, 
c'era stata una salma corrispondente a tale nome, ma ora, dopo venti anni... 
Sconsolati i parenti tornarono a casa: ma se quanto avevano fatto bastava a 
mettere in pace le proprie incredule coscienze, non era sufficiente all'anima 
del defunto, che intanto diventava sempre più autoritario e più sicuro di se 
stesso. Infatti appena udito il racconto degli ultimi eventi, la donna fu presa 
da una crisi ben più forte delle precedenti: con la solita voce del defunto 
fornì indicazioni estremamente esatte, indicando un angolo quasi abbandonato del 
cimitero di Savelli e l'esatta posizione di una tomba senza nome tra due vecchie 
croci corrose dal tempo e dalle intemperie. Inutile dire che 
tutti i particolari concordavano e i parenti — sempre più stupiti — poterono 
accertare con un brivido che la salma era stata misteriosamente esumata e 
traslala proprio... ove indicato! A questo punto non rimase che sbrigare le 
formalità di legge per il trasferimento del corpo del defunto a Serra San Bruno: 
e non appena la salma toccò la terra del cimitero tanto desiderato, l'anima 
finalmente in pace, abbandonò il corpo della sorella. La donna tornò 
immediatamente alla realtà, ma senza riuscire a ricordare alcun particolare dei 
brutti momenti passati e della tenebrosa vicenda vissuta!  “Io non ricordo niente, che 
cosa devo dire?” (afferma la donna che, ovviamente, ha ripreso la propria 
voce naturale e la propria tranquillità interiore) “Io non ne voglio sentir 
parlare, lasciatemi in pace!” Come darle torto? Dell'incredibile ed 
inspiegabile fatto si stanno occupando i teosofi, cercando una spiegazione che 
avvalori alcune teorie della reincarnazione (anima potrebbe vivere successive 
esistenze. trasmigrando — dopo morto il corpo — in altri esseri viventi). Si 
dice anche — ma lo riportiamo a puro titolo di cronaca — che Serra San Bruno 
fosse invaso dagli spiriti la notte della raggiunta pace eterna da parte della 
sventurata anima; di certo c'è che Serra San Bruno è stata mèta di curiosi 
venuti da ogni luogo per farsi raccontare lo strano episodio e per vedere da 
vicino questa massaia, protagonista di uno dei casi più incredibili, e per ora 
inspiegabili, del XX secolo!
L’olio e il 
vino cambiano colore. Dopo il 
terremoto del 1783 avvenne in paese un episodio inspiegabile. Quando l’evento 
terribile del sisma fu terminato, venne notato che il vino e l’olio avevano 
mutato colore e il loro sapore era diventato insipido, privo di gusto. Inoltre, 
il grano ammassato nei granai, era diventato immangiabile per via di uno strano 
sapore alcalino. 
. 
Due casi di 
sepolti vivi salvati in extremis. Orazio 
Rilliet, il medico soldato venuto in Calabria al seguito di Ferdinando II di 
Borbone, nel 1852 autore della “Colonna mobile in Calabria”, raccolse a 
Serra testimonianze di due salvataggi in extremis. Racconta che: “Una 
giovinetta di 16 anni, Eloisa Basili, fu seppellita con un bambino che teneva in 
braccio; rimase undici giorni sotto terra, non potendo liberarsi del cadavere 
del bambino, che fu trovato in putrefazione quando vennero in suo aiuto. Da una 
crepatura le arrivava l’aria ed una luce debole, che furono i soli sostegni 
della sua esistenza. Da allora la giovinetta perdette ogni gaiezza, schivando la 
gente e soprattutto i bambini. Morì a 25 anni. Un’altra donna, rimasta parecchi 
giorni seppellita, fu restituita alla luce dopo pene infinite. Interrogata su 
quello che aveva provato in quella lunga notte di tomba, e quali erano stati i 
suoi pensieri, rispose semplicemente: - Aspettavo…”. 
 
SAN 
BRUNO. 
Pur non essendo nato in 
Calabria, San Bruno entra a pieno titolo a far parte della schiera dei santi 
calabresi. Un'adozione e un senso di appartenenza che ha le sue solide basi 
nell'opera del Santo nella regione, di cui la Certosa è autorevole 
testimonianza. San Bruno nacque a Colonia, in Germania, intorno all'anno 1030. 
Nulla si sa della sua famiglia. Bruno era un canonico della collegiata di san 
Cuniberto a Colonia. Andò a studiare alla scuola del Duomo di Reims, in Francia, 
dove, più tardi, divenne professore e caposcuola. Dal 1056 al 1076, il suo 
titolo fu quello di scolastico. Uno dei suoi discepoli, un monaco benedettino di 
Cluny, divenne Papa: il Beato Umberto II. 
Durante il periodo in cui 
fu a Reims, Bruno si associò alla contestazione contro la simonia 
dell'arcivescovo Manasse di Gournay, un prelato che si era reso indegno a causa 
della sua insaziabile avidità. Egli aveva nominato Bruno cancelliere 
dell'arcivescovado nel 1075, al chiaro scopo di guadagnarlo alla sua causa. 
Dimostrando, così, di non aver compreso il carattere e l'indole del futuro 
fondatore dell'Ordine certosino. Comunque, infine, nell'anno 1080, Manasse fu 
definitivamente deposto. Fino a questo momento, Bruno era rimasto 
all'opposizione e, nel 1076, aveva rinunciato ai suoi incarichi alla scuola del 
Duomo. Manasse lo aveva duramente perseguitato tanto da costringerlo a trovare 
rifugio presso il conte Ebal de Roucy.  Si sarebbe voluto che Bruno fosse 
il successore di Manasse. Ma il desiderio di una vita contemplativa spinse Bruno 
e sei suoi compagni presso il vescovo di Grenoble, che condusse i sette 
pellegrini alla condizione desiderata: nel deserto di Certosa. Il primo 
monastero fu fondato nel 1084 nel Delfinato, una regione a sud-ovest della 
Savoia, in una zona montagnosa chiamata "Certosa". 
Ma sei anni dopo, Bruno fu 
chiamato a Roma da Papa Urbano II. Il Santo obbedì alla chiamata, ma non si 
sentì mai a suo agio nell'ambiente romano. Accadde poi, che Urbano II dovette 
fuggire da Roma perché l'imperatore tedesco Enrico IV e l'antipapa Guiberto, 
noto con il nome di Clemente III, avevano invaso i territori pontifici. Il Papa 
si trasferì nell'Italia meridionale e, con lui, Bruno, che fu eletto arcivescovo 
dai canonici di Reggio Calabria. Egli rifiutò e la mitra, chiese ed ottenne 
il permesso di ritirarsi in solitudine nei territori normanni, conquistati dal 
Conte Ruggero D'Altavilla. Il conte, però, fece anche altro. Offrì a Bruno un 
terreno ad oltre ottocento metri di altitudine, nell'altopiano delle Serre, 
nella Calabria centro meridionale. Qui, in località denominata Torre, Bruno 
fondò l'eremo di Santa Maria, mentre in località Santo Stefano del Bosco - dove 
sorge la Certosa - fondò, probabilmente, un monastero detto appunto di S. 
Stefano. Quando incominciarono i lavori, Bruno fece in modo che gli operai 
si stabilissero con le loro abitazioni a distanza dai monaci. Sorse così il 
primo nucleo abitato del paese di Serra. Si era intorno all'anno 1094. Il 
conte Ruggero, il benefattore, morì nel giugno del 1101. Pochi mesi dopo, il 6 
ottobre dello stesso anno, moriva S. Bruno. Fu canonizzato nel 1514 da Leone X, 
che concesse ai membri dell'Ordine certosino di celebrarne l'Ufficio il 6 
ottobre. 
 
 Il 
mistero della Certosa. Il 
punto di maggiore richiamo di questa bella cittadina è la 
Certosa, primo Convento Certosino in Italia e il secondo di 
tutto l'Ordine, sita in un pittoresco bosco alla periferia di Serra San Bruno. 
Si tratta di un vasto complesso fondato tra il 1090 e il 1101 da Brunone di 
Colonia, fondatore dell'Ordine Certosino e della Grande Chartreuse vicino a 
Grenoble, che, scandalizzato dalla corruzione del clero, si era ritirato nella 
solitudine dei boschi calabresi. Oggi nella Certosa vivono pochi frati che è 
possibile vedere ogni lunedì durante la loro passeggiata nei boschi, 
assolutamente vietato è l'accesso alle donne, poiché la leggenda vuole che, se 
una donna mette piede all’interno di quel luogo, la terra si metta a tremare.
  Il 
mistero della Certosa. Il 
punto di maggiore richiamo di questa bella cittadina è la 
Certosa, primo Convento Certosino in Italia e il secondo di 
tutto l'Ordine, sita in un pittoresco bosco alla periferia di Serra San Bruno. 
Si tratta di un vasto complesso fondato tra il 1090 e il 1101 da Brunone di 
Colonia, fondatore dell'Ordine Certosino e della Grande Chartreuse vicino a 
Grenoble, che, scandalizzato dalla corruzione del clero, si era ritirato nella 
solitudine dei boschi calabresi. Oggi nella Certosa vivono pochi frati che è 
possibile vedere ogni lunedì durante la loro passeggiata nei boschi, 
assolutamente vietato è l'accesso alle donne, poiché la leggenda vuole che, se 
una donna mette piede all’interno di quel luogo, la terra si metta a tremare. 
 Il 
laghetto dei miracoli. Poco 
distante dalla Certosa è la Chiesa di Santa Maria dell'Eremo (o del Bosco), 
edificata nella suggestiva conca boschiva in cui dimorò e morì San Brunone e 
rifatta a seguito dei danni arrecati dal terremoto del 1783 utilizzando elementi 
litici originari. Accanto si trova la Grotta di San Bruno, riproduzione della 
caverna in cui il Santo pregava e dormiva, e il laghetto dei Miracoli 
con al centro la statua di San Bruno inginocchiato. La tradizione vuole che qui 
si trovassero le spoglie del Santo e che, quando furono portate alla luce per 
essere traslate, vi sgorgò la sorgente che alimenta il laghetto.
 Il 
laghetto dei miracoli. Poco 
distante dalla Certosa è la Chiesa di Santa Maria dell'Eremo (o del Bosco), 
edificata nella suggestiva conca boschiva in cui dimorò e morì San Brunone e 
rifatta a seguito dei danni arrecati dal terremoto del 1783 utilizzando elementi 
litici originari. Accanto si trova la Grotta di San Bruno, riproduzione della 
caverna in cui il Santo pregava e dormiva, e il laghetto dei Miracoli 
con al centro la statua di San Bruno inginocchiato. La tradizione vuole che qui 
si trovassero le spoglie del Santo e che, quando furono portate alla luce per 
essere traslate, vi sgorgò la sorgente che alimenta il laghetto. 
                                                                                              

Il 
miracolo di San Brunone. Brunone 
di Colonia aveva costruito la Certosa che venne più volte distrutta dal 
terremoto. Dopo quello del 1783 si racconta che, per intercessione del Santo, la 
facciata della chiesa resistette. I due pinnacoli laterali sulla rinascimentale 
facciata della grande chiesa nel quadrilatero certosino ruotarono ma restarono 
fermi sul baricentro, miracolosamente in perfetto equilibrio
   
 
La forza 
degli umili. Si 
tramanda che i proprietari di possenti buoi si recarono a Soverato per 
trasportare in paese la statua della Madonna delle Grazie. Ogni tentativo di 
sollevare l'opera, però, fu vano. Un tale Patoscia, che possedeva un paio di 
giovenche, tra lo stupore dei compaesani, riuscì nell'intento. Ritornato a 
Simbario, dispose la statua laddove era stato tracciato il perimetro della 
chiesa da intitolare alla Madonna delle Grazie. Il giorno dopo le linee 
perimetrali erano state spostate racchiudendo un'area più vasta. I muratori si 
preoccuparono di risistemare il tutto. Ma il giorno seguente si ripeté la strana 
situazione, da qui la decisione di costruire un edificio più grande.
SORIANELLO    
 
     
SORIANO 
CALABRO    
     
 
 
La 
miracolosa immagine di San Domenico. 
Si tramanda 
che il quadro di San Domenico custodito nella chiesa omonima abbia origine 
celeste. Sarebbero state, infatti, la Madonna, Maria Maddalena e Santa Caterina 
a portarlo a Soriano. Il 15 settembre del 1530, prima dell’aurora, a frate 
Lorenzo, che stava accendendo le candele per preparare la chiesa alla recita del 
mattutino, apparvero tre Signore di gran de bellezza e ammantate di luce che 
venivano verso di lui. Una fra le tre, la più bella e la più luminosa, chiese a 
chi fosse dedicata la chiesa. Il fraticello rispose che era consacrata a san 
Domenico; la Signora chiese allora se ne avessero un’immagine e quando vide che 
la sola posseduta dai frati era un grossolano dipinto, gli porse un quadro 
chiedendogli di collocarlo sull’altare. In seguito si immaginò che le tre 
Signore fossero la Vergine, Santa Caterina e Santa Maria Maddalena e da ogni 
parte della Calabria, da allora, giunsero i fedeli a venerare l’immagine 
miracolosa.
SPADOLA 

Uno "zoo" molto 
originale. E' un fatto veramente 
curioso che a Spadola, spesso, il soprannome dato alle famiglie corrisponda al 
nome di un animale. Ci sono dunque le famiglie di li piguli (civette), di li 
quajii (quaglie), di li serpi (serpenti), di li jilini (felini), di li 
gattarieji (gattini) e di li viperi (vipere).
La "pianella" del 
Papa. Secondo il racconto gli 
spadolesi sottrassero una pianella a Papa Callisto II per poi restituirla a 
Giovanni Paolo II. Pare che fino al momento della restituzione della scarpa gli 
abitanti siano man mano diminuiti di numero, come una sorta di punizione.
Gerard e 
Ranvier. Circola la 
storia di due ufficiali francesi morti a Spadola i cui corpi, in un primo tempo 
seppelliti nella chiesa madre, sarebbero successivamente stati trasferiti nella 
fossa comune del cimitero, quasi per riscattare gli ideali di libertà comuni a 
tutta la popolazione. Da allora è rimasta la credenza che intorno alla chiesa si 
aggiri l'ombra di "Gilardu" (trasformazione dialettale dal francese), la cui 
anima si sarebbe incarnata in un altro corpo per ottenere la purificazione prima 
di salire in cielo. 
Gli auspici 
dei santoni. Ogni anno 
al termine della mietitura si usa innalzare sulle aie delle grandi croci di 
legno su cui vengono posti dei giganteschi pupazzi di paglia che prendono il 
nome di santoni. Durante la preparazione della festa di San Nicola si 
compie un rito propiziatorio notturno in cui si da fuoco a questi pupazzi e dal 
modo in cui ardono si traggono degli auspici sul raccolto futuro.
                           SPILINGA    

STEFANACONI
 TROPEA
  TROPEA   
     
   
SANTA 
DOMENICA DA 
TROPEA. 
S. Domenica nacque a 
Tropea sul finire del terzo secolo. I suoi genitori, Doroteo ed Arsenia, erano 
greci di origine.In quel tempo il paganesimo manifestava il suo accanimento 
ricco di furore contro la fede cristiana. L'imperatore di Roma era Diocleziano, 
che, sull'esempio dei suoi predecessori infierì contro i cristiani per i quali 
promulgò un editto di proscrizione e di morte. Domenica, dunque, insieme ai 
genitori, fu accusata come nemica degli imperiali e trascinata, in catene, alla 
presenza di Diocleziano, che si trovava in Campania, a Nola. Dopo tre giorni di 
dura prigione, la Santa e i suoi genitori vennero introdotti alla presenza del 
giudice, il quale, attraverso parole seducenti, prima, e minacce, poi, cercò di 
convincere Domenica ad abiurare alla fede cristiana. Di fronte alla decisa 
risposta negativa della Santa, il giudice ordinò che i tre vengano trascinati e 
frustati attraverso le vie della città. Non ancora soddisfatto, fece separare 
Domenica dai suoi genitori, i quali furono mandati in Mesopotamia. Rimasta sola, 
Domenica fu inviata a Roma, al cospetto di Massimiano. Egli tentò di sedurla e, 
di fronte all'inutilità dei suoi tentativi, fece chiudere Domenica in prigione, 
ordinandone poi, la flagellazione. La Santa fu sottoposta ai più duri tormenti: 
messa in una fornace ardente, ne uscì illesa, esposta ai lupi e ai leoni, riuscì 
a domarli. Fin quando, dopo essere uscita vincitrice da tanti supplizi, ne fu 
ordinata la decapitazione. 
S. Domenica offrì il suo 
capo alla spada il 6 luglio dell'anno 303. Il suo corpo fu portato a Tropea. In 
breve il culto della Santa si estese in Occidente e in Oriente. Templi in suo 
onore furono innalzati in Calabria, in Sicilia e anche in Campania. A Cassano 
Ionio, Longobardi, Fiumefreddo, Aprigliano, per citarne solo 
qualcuno. Alcuni miracoli si verificarono anche dopo moltissimo tempo dalla 
sua morte e sono relativamente recenti. Il 5 luglio 1905, a Longobardi, mentre 
il popolo era radunato nella chiesa a lei dedicata, un fulmine entrò con gran 
fragore nella chiesa, provocando gravissimi danni. Nessuno dei fedeli, però, 
riportò un pur lieve ferita. Un chierichetto disse di aver visto un'immagine 
della Santa che respingeva il fulmine sollevando la mano destra. 
 
VALLELONGA
Pellegrinaggio 
della "Madonna di Monserrato". Il culto di 
Maria SS. del Monserrato in Vallelonga non si può stabilire con esattezza 
storica. Né si può dire se qualche notizia esistesse nell’archivio parrocchiale 
che datava dal 1666, poiché sventuratamente andò completamente distrutto nel 
1926 a causa di un incendio. Alcune notizie, anche se frammentarie, si 
possono trovare negli atti, conservati a Mileto, della Santa Visita, avvenuta 
nel 1500, dai quali risulta che il Vescovo del tempo trovò nella parrocchia di 
Vallelonga un altare dedicato alla Madonna del Monserrato. Certo è però, prescindendo per un attimo 
dell’esattezza documentale, che il culto che Vallelonga tributa alla sua Madonna 
è remoto e molto diffuso: testimonianza di ciò sono i numerosi pellegrinaggi che 
si svolgono durante i giorni della sua festa che ogni anno si celebra la II 
domenica di luglio. 
Il miracolo 
della Madonna. Il 5 
febbraio si suole commemorare il terremoto del 1783 che distrusse gran parte 
della Calabria. Nel corso dei secoli è stato tramandato, fino ad arrivare ai 
giorni nostri, il racconto della speciale protezione che la Madonna del 
Monserrato fece nei confronti dei suoi devoti in quell’occasione. La leggenda narra che quel giorno, nella 
valle (da qui il nome Vallelonga) dove si trovava il paese, si avvertì una forte 
scossa di terremoto. Il popolo terrorizzato si riversò all’aperto, invocando ad 
alta voce la Madonna di Monserrato, il cui Santuario era ubicato dove 
attualmente si trova, sul monte dinanzi la valle. Gli abitanti si avviarono in 
processione verso l’altipiano da dove si ammirava il panorama del paese quando, 
improvvisamente, furono fermati da una seconda scossa più forte ed intensa della 
prima. Il sottostante paese fu in un attimo ridotto in un cumulo di macerie, e 
se la loro Madonna non li avesse chiamati in quel modo misterioso sarebbero 
rimasti sepolti sotto le rovine delle loro case. Da allora in poi gli abitanti di Vallelonga 
mantengono vivissima la devozione verso la Madonna e ogni anno, in occasione 
della festa, le dedicano grandi festeggiamenti, riunendosi per molti giorni e 
recitando la novena in suo onore. 
 
 VAZZANO   
Francesco 
Moscato, detto il “Bizzarro”. A 
Vazzano nacque Francesco Moscato, detto “Bizzarro”, il più feroce e temuto fra i 
briganti calabresi. Sulla sua figura nacquero molte leggende alimentate dalla 
sua indole crudele e sanguinaria; si dice che camminasse attorniato da un branco 
di cani selvatici che ubbidivano soltanto ai suoi ordini e ai quali dava da 
mangiare le sue vittime. Bizzarro si unì con una donna, Nicolina Ricciardi di 
Mileto, alla quale uccise a tradimento il marito. La sua crudeltà fu tale da 
uccidere, senza motivo, il bambino avuto dalla sua donna e questo provocò la 
vendetta di Nicolina che nottetempo lo uccise nel sonno e decapitatolo portò la 
sua testa ai francesi del generale Manhès, riscotendo la taglia di mille 
ducati.
                                                                           
ZACCANOPOLI     

                                                                                 
ZAMBRONE      

         ZUNGRI 
    

 Insediamenti 
anacoretici. 
Nel 
territorio comunale sono state ritrovate vestigia d'insediamento di età romana e 
tracce di insediamento di età romana e tracce di insediamenti anacoretici 
medievali (nella Grotta di San Leo in contrada Fossa di Mesiano e in quella 
degli Sbariati), con affreschi bizantineggianti, nonchè una città rupestre 
risalente ai secc. XII-XIV di cui sono state esplorate circa novantadue 
case-grotte, tra loro collegate.
 Insediamenti 
anacoretici. 
Nel 
territorio comunale sono state ritrovate vestigia d'insediamento di età romana e 
tracce di insediamento di età romana e tracce di insediamenti anacoretici 
medievali (nella Grotta di San Leo in contrada Fossa di Mesiano e in quella 
degli Sbariati), con affreschi bizantineggianti, nonchè una città rupestre 
risalente ai secc. XII-XIV di cui sono state esplorate circa novantadue 
case-grotte, tra loro collegate.
  
 
  Le 
grotte di Zungri. Poco 
fuori l'abitato di Zungri, si trova un grande complesso insediativo rupestre di 
notevole interesse, unico nel suo genere in Calabria, la cui origine risale 
molto probabilmente al periodo della prima colonizzazione bizantina della 
regione. Il complesso è costituito da circa ottanta grotte scavate nel banco di 
arenaria tipico della zona. Le case-grotte, alcune a due piani, sono a pianta 
circolare e rettangolare e collegate tra loro da cunicoli. 
Oltre 
alle abitazioni sussistono degli ambienti adibiti alla conservazione di derrate 
alimentari, strumenti per la spremitura dell'uva e dell'olio .
 Le 
grotte di Zungri. Poco 
fuori l'abitato di Zungri, si trova un grande complesso insediativo rupestre di 
notevole interesse, unico nel suo genere in Calabria, la cui origine risale 
molto probabilmente al periodo della prima colonizzazione bizantina della 
regione. Il complesso è costituito da circa ottanta grotte scavate nel banco di 
arenaria tipico della zona. Le case-grotte, alcune a due piani, sono a pianta 
circolare e rettangolare e collegate tra loro da cunicoli. 
Oltre 
alle abitazioni sussistono degli ambienti adibiti alla conservazione di derrate 
alimentari, strumenti per la spremitura dell'uva e dell'olio .