Katharous
Il
movimento dei catari ("katharos" in greco
significa "puro") si diffuse nell'Europa centro-occidentale nell'XI secolo. Veniva probabilmente dall'Oriente, direttamente
dalla Bulgaria, dove i predecessori dei catari furono i bogomili,
particolarmente numerosi nel X secolo. Ma l'origine di queste eresie è più
antica. I catari si articolavano in numerose sette. Papa Innocenzo III ne
enumerò fino a 40. Esistevano inoltre anche numerose altre sette che avevano
molti punti in comune con la dottrina dei catari: i petrobrusiani,
gli enriciani, gli albigesi. Questi gruppi vengono
generalmente riuniti sotto la comune denominazione di eresie gnostiche e manicheiste.
Per non appesantire eccessivamente il quadro, parleremo d'ora innanzi delle
idee comuni, senza specificare ogni volta a quale setta precisa si fa
riferimento .
Tutte le ramificazioni del movimento avevano in comune il riconoscimento
dell'inconciliabile contrasto tra il mondo materiale, fonte del male, e quello
spirituale, ricettacolo del bene. I cosiddetti catari dualisti attribuivano il
contrasto all'esistenza di due dei, quello del Bene e quello del Male. Fu il
dio del Male a creare il mondo materiale: la terra e ciò che vi cresce, il
cielo, il sole e le stelle, come pure il corpo umano. Il dio del Bene creò
invece il mondo spirituale, nel quale esiste un altro cielo, altre stelle, un
altro sole, tutti spirituali.
Altri catari, detti monarchiani, credevano a un unico
dio buono, creatore dell'universo, mentre il mondo materiale sarebbe stato
creato dal suo figlio primogenito decaduto, Satana o Lucifero. Gli uni e gli
altri erano d'accordo nel dire che i due principi antagonisti della materia e
dello spirito non possono avere alcun punto di contatto; e per questo
rinnegavano anche l'incarnazione del Cristo (ritenendo che il suo Corpo fosse
spirituale, con la sola apparenza della materialità) e la resurrezione della
carne.
Il dualismo trovava conferma, secondo i catari, nella divisione delle Sacre
Scritture in Antico e Nuovo Testamento. Il Dio dell'Antico Testamento, creatore
del mondo materiale, veniva a identificarsi con il dio del Male o Lucifero.
Riconoscevano invece nel Nuovo Testamento l'emanazione del dio buono.
I catari ritenevano che Dio non avesse creato il mondo dal nulla, che la
materia fosse eterna e che il mondo non avrebbe avuto fine. Il corpo umano era
anch'esso frutto del principio del male; invece l'anima, secondo la loro
concezione, non aveva sempre un'unica origine. Per la maggioranza degli uomini
anche l'anima, come il corpo, era emanazione del male. Questi uomini non
potevano sperare di salvarsi ed erano condannati a perire quando il mondo
materiale fosse ritornato al caos primigenio.
Invece l'anima di una cerchia ristretta di uomini era stata creata dal dio
buono, si tratterebbe degli angeli che dopo la tentazione di Lucifero sono
stati imprigionati nel carcere del corpo. In seguito alla trasmigrazione in
vari corpi (i catari credevano nella
reincarnazione) erano destinati a finire nella loro setta, e là ottenere la
liberazione dal carcere del corpo.
Ideale e scopo ultimo dell'umanità, in linea di principio, doveva essere il
suicidio generale. Esso era concepito o in modo diretto (che vedremo oltre) o
vietando ogni attività procreativa. Nella dottrina avevano un posto importante
anche i concetti di peccato e di salvezza. I catari rifiutavano il libero
arbitrio. I figli del male, condannati a perire, non avrebbero in alcun modo
potuto sfuggire la loro sorte, mentre chi aveva avuto accesso per iniziazione
alla categoria superiore della setta ormai non poteva più peccare. Essi
dovevano sottostare a tutta una serie di regole durissime per combattere il
pericolo di contaminarsi con la materia peccaminosa; e se peccavano ciò
significava semplicemente che il rito dell'iniziazione era rimasto inefficace
perché l'anima dell'iniziatore o dell'iniziato non era angelica.
Prima dell'iniziazione la libertà di costumi era illimitata, giacché l'unico
vero peccato era stato la caduta degli angeli dal cielo e tutto il resto non ne
era che la conseguenza necessaria. Dopo l'iniziazione il pentimento non era più
ritenuto necessario, e nemmeno l'espiazione dei peccati.
L'atteggiamento dei catari verso la vita nasceva dal loro concetto del male
identificato con il mondo materiale. La perpetuazione della specie veniva
considerata opera satanica, la donna incinta si trovava sotto l'influenza del
demonio come pure ogni neonato. Per gli stessi motivi la carne, e tutto ciò che
aveva a che fare con l'unione sessuale, erano vietati. La stessa tendenza
portava a ritirarsi dalla vita della società; le autorità terrene erano
creature del dio malvagio, non si doveva sottomettere, ricorrere ai tribunali,
prestare giuramento e impugnare le armi. Chiunque, giudice o soldato, avesse
fatto uso della forza era considerato un assassino. E' chiaro che in questo
modo diventava impossibile partecipare a molti aspetti dell'attività sociale.
Per di più molti consideravano proibito ogni rapporto con "la gente del
mondo" estranea alla setta, salvo che nel tentativo di convertirla .
Tutte le sette erano accomunate da un'accesissima ostilità verso la Chiesa
Cattolica che per loro non era la Chiesa di Cristo ma quella dei peccatori, la
meretrice Babilonia. Il Papa era considerato la fonte di tutte le
prevaricazioni, e i preti come pubblicani e farisei. La caduta della Chiesa
cattolica, secondo loro, risale al tempo di Costantino il Grande e di papa
Silvestro, quando la Chiesa, a dispetto dei comandamenti di Cristo, diede la
scalata al potere secolare (con la cosiddetta Donazione di Costantino). I
sacramenti erano misconosciuti, specialmente il battesimo dei bambini (in
quanto non sono ancora in grado di credere), ma anche il matrimonio e
l'eucarestia.
Alcune ramificazioni secondarie dei catari (i catarelli
e i rotari) usavano saccheggiare regolarmente le
chiese. Nel 1225 i catari incendiarono una chiesa cattolica a Brescia; nel 1235
uccisero il vescovo di Mantova. Tra il 1143 e il 1148, Eon
de l'Etoile, capo di una setta manichea, si dichiarò
figlio di Dio, signore di tutto il creato e in virtù del suo potere ordinò ai
suoi seguaci di mettere a sacco le chiese.
L'odio dei catari si dirigeva soprattutto contro la croce in cui essi vedevano
il simbolo del dio del Male. Già attorno al Mille, nella regione di Chálons un certo Leutardo
incitava a distruggere croci e immagini sacre. Nel XII secolo Pietro di Bruys innalzava falò di croci, finendo poi lui stesso sul
rogo per volere della folla indignata.
Per loro le chiese non erano che mucchi di pietre, e la liturgia un rito
pagano; rifiutavano pure le immagini sacre, l'intercessione dei santi, le
preghiere dei morti. Il domenicano Ranieri Sacconi, un inquisitore che per 17
anni era stato eretico, scrive che ai catari non era proibito saccheggiare le
chiese.
Essi rifiutavano la gerarchia cattolica ma ne possedevano una propria; lo
stesso era per i sacramenti. La struttura organizzativa di base poggiava sulla
divisione in due gruppi, quello dei "perfetti" e quello dei
"credenti". I primi erano un numero ristretto (Ranieri ne contò 4.000
in tutto), ma rappresentavano l'oligarchia che guidava tutta la setta; essi
costituivano il clero cataro: vescovi, presbiteri e diaconi. Soltanto a loro
era svelata l'intera dottrina della setta, mentre i "credenti" erano
tenuti all'oscuro di molti suoi punti soprattutto dei più radicali in forte
contrasto con il cristianesimo. Soltanto i "perfetti" erano tenuti a
osservare innumerevoli prescrizioni; in particolare non potevano in alcun caso
abiurare la loro dottrina, in caso di persecuzioni dovevano affrontare il
martirio, mentre i "credenti" potevano frequentare la chiesa per
salvare le apparenze e in caso di repressione potevano anche rinnegare la
propria fede.
In cambio però la posizione dei "perfetti" all'interno della setta
era incomparabilmente più privilegiata della posizione di un prete nella Chiesa
cattolica. In un certo senso era quasi dio stesso, e come tale veniva onorato
dai "credenti". Questi ultimi avevano l'obbligo di mantenere i
"perfetti". Uno dei riti fondamentali della setta era
"l'adorazione" che consisteva in una triplice prosternazione dei
"credenti" davanti ai "perfetti". I "perfetti" dovevano
sciogliere il loro matrimonio e non avevano nemmeno il diritto di toccare (alla
lettera) una donna. Non potevano possedere bene alcuno ed erano tenuti a
votarsi completamente al servizio della setta. Era loro proibito avere fissa
dimora, peregrinando in continuazione o rifugiandosi in asili segreti.
L'iniziazione dei "perfetti", o consolamentum,
era anche il sacramento più importante. Non lo si può paragonare ad alcun
sacramento della Chiesa cattolica. Si trattava di una via di mezzo tra il
battesimo (o cresima), l'ordinazione, la confessione e a volte anche l'estrema
unzione. Soltanto chi lo riceveva poteva sperare d'esser liberato dal carcere
del corpo, perché la sua anima sarebbe tornata alla dimora celeste.
La maggior parte dei catari non si piegavano alle dure prescrizioni che
vincolavano i "perfetti", ma contavano di ricevere il consolamentum solo in punto di morte, si chiamava allora
"la buona morte". La preghiera che si pronunciava in quell'occasione
era simile al Padre Nostro. Spesso, quando un malato che aveva ricevuto il consolamentum guariva, gli veniva suggerito di por fine ai
suoi giorni con il suicidio, che si chiamava "endura".
In molti casi l'endura era la conditio
sine qua non per impartire il consolamentum;
non di rado la subivano i vecchi e i fanciulli che avevano ricevuto il consolamentum (naturalmente in questi casi il suicidio
diventava omicidio). Le forme di endura erano
svariate: avvenivano per lo più per inedia (nel caso di lattanti che le madri
cessavano di nutrire), ma anche per dissanguamento, o con bagni caldi alternati
a esposizioni al gelo, con bevande mescolate a frammenti di vetro, oppure
ancora mediante strangolamento.Dollinger, che ha
esaminato gli archivi dell'Inquisizione a Tolosa e a Carcassonne, scrive:
"Studiando attentamente i verbali dei due processi citati ci si convince
che furono molte di più le vittime dell'endura
(alcune volontarie, altre costrette) che quelle dell'Inquisizione".
Da questi postulati generali discesero le teorie socialiste diffusesi tra i catari.
La proprietà privata era rifiutata come elemento del mondo materiale. I
"perfetti" non potevano avere alcuna proprietà individuale, anche se
di fatto avevano in mano i beni della setta, spesso ingenti. I catari godevano
di una certa influenza negli ambienti più diversi, anche in quelli più elevati.
Si narra che il conte Raimondo VI di Tolosa tenesse
al suo seguito alcuni catari, dissimulati tra gli altri cortigiani, perché in
caso di morte improvvisa gli potessero impartire la loro benedizione.
Tuttavia la predicazione catara si indirizzava per lo più ai ceti inferiori
urbani, come dimostrano le denominazioni di varie sette: poplicani
(alcuni studiosi la considerano una deformazione di pauliciani),
piphler (pure dalla parola plebs),
texerantes (tessitori), indigenti, patarini
(dagli stracciaioli milanesi, simbolo dei poveri). Tutti predicavano che la
vita può dirsi veramente cristiana solo con la "comunanza dei beni".
Nel 1023 a Monforte fu celebrato un processo contro
dei catari accusati d'aver propagandato il possesso comune dei beni, il
celibato e la disobbedienza alla Chiesa. Evidentemente l'appello a mettere in
comune i beni era abbastanza diffuso tra i catari, giacché se ne fa menzione in
molta pubblicistica cattolica contro di essi. Un autore accusa i catari di
predicare in modo demagogico dei principi che sono i primi a non mettere in
pratica: "Voi non mettete tutto in comune, c'è chi ha di più e chi ha di
meno".
Il celibato dei "perfetti" e la condanna generalizzata del matrimonio
si ritrovano presso tutti i catari. Tra i vari casi previsti, solo il
matrimonio è considerato peccato, mentre non lo è la fornicazione al di fuori
del matrimonio. Non dimentichiamo che il comandamento "non desiderare la
donna d'altri" viene dal dio del Male. Queste proibizioni tendono più che
a mortificare la carne, a distruggere la famiglia. Molti contemporanei accusano
i catari di tenere le donne in comune, di praticare l'amore
"libero" o "santo".
San Bernardo di Chiaravalle, verso il 1130-50, accusava i catari di predicare
contro il matrimonio ma di praticare poi il concubinato con le donne che
avevano abbandonato la famiglia. Dello stesso avviso è Ranieri. Troviamo lo
stesso tipo d'accusa nelle cronache dell'arcivescovo di Rouen, Ugo d'Amiens,
contro la setta manichea che si era diffusa in
Bretagna attorno al 1145.
Alano di Lilla, che scrisse un'opera contro le eresie nel XII secolo,
attribuisce ai catari idee di questo genere: "I vincoli matrimoniali
contraddicono le leggi della natura, poiché queste vogliono che tutto sia
comune".
L'eresia catara si diffuse in Europa con rapidità sorprendente. Nel 1012 si ha
notizia di una setta a Magonza; nel 1018 e nel 1028
si fanno vivi in Aquitania; nel 1028 a Orléans; nel
1025 ad Arras; nel 1028 a Monforte (presso Torino); nel
1030 in Borgogna; nel 1042 e 48 nella diocesi di Chálons-sur-Marne;
nel 1051 a Goslar. Buonaccorso,
ex vescovo cataro, scrive della situazione in Italia attorno al 1190: "Non
sono forse pieni di questi falsi profeti tutti i paesini, le città, i castelli?".
E il vescovo di Milano affermava nel 1166 che nella sua diocesi c'erano più
eretici che credenti ortodossi.
Un'opera del XIII secolo enumera 72 vescovi catari, Ranieri Sacconi parla
di 16 chiese catare. Esse avevano stretti legami reciproci, e sembra che in
Bulgaria avessero persino un papa. Tenevano concili cui presenziavano
rappresentanti di molti paesi. Nel 1167, a Saint-Félix
presso Tolosa, si tenne pubblicamente un concilio promosso dal papa eretico Niceta, cui partecipò un gran numero di eretici, venuti fin
dalla Bulgaria e da Costantinopoli. Ma il successo maggiore l'eresia lo
riscosse nel sud della Francia, nella Linguadoca e in
Provenza. Qui furono inviate numerose missioni per cercare di convertire gli
eretici. Con una di queste si recò anche san Bernardo di Chiaravalle, il quale
racconta che le chiese erano deserte e nessuno più si comunicava né faceva
battezzare i figli. I missionari e il clero cattolico locale venivano
malmenati, minacciati e insultati.
La nobiltà locale sosteneva attivamente la setta, vedendovi una possibilità di
appropriarsi delle terre della Chiesa. La Linguadoca
parve per più di 50 anni definitivamente perduta per Roma. Il legato papale
Pietro di Castelnau fu ucciso dagli eretici.
Catari o albigesi (XII
- XIII - XIV secolo)
I catari furono la grande alternativa
religiosa alla Chiesa Cattolica d'Occidente nel XII e XIII secolo.
Nei loro confronti la reazione della
Chiesa fu fortissima e probabilmente proporzionata alla paura che questa setta
potesse mettere in crisi l'intera istituzione cristiana.
Non si trattava infatti di singoli
eretici da punire, ma di un fenomeno di vasta portata, a cui l'Europa
occidentale medioevale non era abituata, e che ricordava i grandi movimenti
religiosi eterodossi che avevano afflitto l'Impero Romano d'Oriente, come ad
esempio i pauliciani. E' difficile altrimenti da
spiegare la creazione di un potentissimo mezzo di repressione, come
l'Inquisizione, la fondazione di un ordine religioso, i domenicani, preposti a
confutare le dottrine cristiane e l'organizzazione di una crociata, con
relativa licenza di massacro, di cristiani contro altri cristiani.
Tuttavia bisogna anche tener conto che,
in quel momento, lo stesso potere di uno stato sovrano, come la Francia, già
dilaniata dalla guerra dei Cent'anni con l'Inghilterra, sarebbe potuto essere
messo in discussione da questa setta (o meglio dal suo alleato laico, il
potente conte di Tolosa): essa quindi fu schiacciata dall'azione combinata
di Stato e Chiesa.
La storia
I predecessori
Su questo punto, i commentatori e gli
storici si dividono in due gruppi:
Coloro i quali vedono nei catari una continuità
del grande filone dualista, dai gnostici a Novaziano ai manichei ai già
menzionati pauliciani ai bogomili, e Coloro che,
pur non negando qualche similitudine con le sette dualiste precedenti,
sono convinti dell'originalità del
pensiero cataro, sviluppato come reazione alla corruzione dilagante nella
Chiesa.
Del resto anche le attività di
predicatori itineranti all'inizio del XII secolo, come Pietro di Bruis, Enrico di Losanna,
Tanchelmo di Brabante, Eon de l'Etoile, furono il segno
di quel malessere, diffuso soprattutto a livello delle classe più
deboli della popolazione, e che poté
creare un substrato ideale per lo sviluppo di popolarità del catarismo.
L'inizio e i precursori
Già dal 1018, i cronisti Ademaro di Chabannes e Rodolfo il
Glabro riferirono di “manichei” diffusi nella Francia meridionale, citando gli
episodi di Leutard, i canonici di Santa Croce di Orléans, gli eretici di
Arras
e quelli di Goslar. Simili episodi si segnalarono anche in
altre nazioni, come ad esempio Gerardo di Monforte in Italia.
Invece, secondo il frate Anselmo
d'Alessandria, nel suo Tractatus de haerecticis, il catarismo era stato portato in Francia
da alcuni reduci dalla seconda crociata del 1147 a Costantinopoli (ma non ci
siamo con le date: il catarismo sembra infatti essere già presente da tempo in
Europa occidentale), dove avrebbero incontrato dei bogomili
dell'ordo Bulgariae,
da cui vennero convertiti e questo sarebbe il motivo per il quale i catari
venivano anche denominati "bulgari" (vedi anche più avanti).
Nel 1143, Evervino
di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle
(1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania,
a Colonia, di eretici, anche donne, organizzati in uditori e eletti, che
accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare
le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione.
Gli eretici furono bruciati e Evervino si stupì che
salissero serenamente, o addirittura con gioia, sul rogo. Di simili fatti narrò
anche Ecberto di Schonau.
Pochi mesi dopo, lo stesso Bernardo
accorse nella Francia meridionale, su invito del legato pontificio cardinale Alberico di Ostia, con lo scopo di intervenire contro le
predicazioni di Enrico di Losanna a Tolosa, salvo poi rendersi conto dell'elevata
diffusione del catarismo nella zona.
Ogni tentativo del Santo di convertire
gli albigesi (come li chiamò dal nome della città di Albi) non ebbe successo e
tre anni dopo, nel 1148, il concilio di Tours li
condannò, stabilendo che, se scoperti, essi dovessero essere imprigionati e i
loro beni confiscati.
Tuttavia queste disposizioni non sembra
che avessero avuto particolare effetto, anzi proprio in Francia meridionale,
nella Linguadoca e in Provenza, i catari si
consolidarono maggiormente.
Questa regione, a ridosso dei Pirenei,
nota anche come Occitania, era stata parte dell'ex
regno dei Visigoti durante l'alto Medioevo, si era sviluppata come cuscinetto
tra il regno dei Franchi a Nord e gli Arabi a sud ed era, dal punto di vista
politico, linguistico, culturale e della tolleranza, profondamente diverso dal
resto dell'odierna Francia. Infatti gli occitani parlavano la lingua d'oc, e
non l'oil come nel resto della Francia, avevano sviluppato la lirica dei
trovatori (alcuni dei quali, come Guglielmo Figueira,
furono catari), tolleravano gli ebrei e i pensatori eterodossi cristiani.
Vent'anni dopo la missione di San
Bernardo, nel 1165 a Lombez fu tenuto un pubblico
contraddittorio tra teologi cattolici e catari, con a capo un tale Oliviero,
che si risolse in un nulla di fatto.
Fu in quel periodo che i cattolici
iniziarono a chiamarli catari, sulla cui etimologia gli autori dell'epoca hanno
concepito due teorie: più probabilmente dal greco Kàtharoi
cioè puri, o più folcloristicamente dal latino medioevale catus,
gatto, un classico travestimento di Lucifero, al quale gli eretici, durante i
loro riti (secondo i loro detrattori), baciavano le terga! Furono anche
denominati pubblicani o pobliciani o populiciani, in collegamento ad un'altra eresia medioevale
dualista, il paulicianesimo. Un ulteriore nome fu
“bulgari”, dal paese originario della setta dei bogomili
o “manichei” per un collegamento con l'eresia di Mani o impropriamente “ariani”
(o arriani) per una connessione con le tesi
cristologiche di Ario. Dal mestiere abitualmente svolto da molti dei credenti furono
anche chiamati tixerand, dal antico francese per
tessitori, mentre grande confusione fanno ancora alcuni autori anglosassoni,
che si ostinano a chiamarli patarini, confondendoli con il noto movimento
riformista, e non certo dualista, della Pataria del XI secolo.
Invece i catari chiamarono se stessi
sempre e semplicemente boni homini o boni christiani.
Nel 1167, essi tennero il loro concilio a
Saint-Félix de Caraman (o
de Lauragais), vicino a Tolosa, al quale
parteciparono il vescovo bogomila Niceta (impropriamente
definito il “papa cataro”), e i vescovi della Chiesa di Francia, Robert d'Espernon e di Italia, Marco di Lombardia, oltre a Siccardo Cellerier di Albi e
Bernard Cathala di Carcassonne, in rappresentanza
delle altre realtà c. francesi. La presenza di Niceta
servì ad avvallare la tesi che il bogomilismo di tipo
assoluto, tipico della Chiesa di Dragovitza, in
Bosnia, aveva influenzato in maniera decisiva la dottrina c. se non fin
dall'inizio, almeno da questo momento in avanti.
Inoltre, il movimento nella Francia
meridionale fu ristrutturato in quattro chiese: Agen,
Tolosa, Albi e Carcassonne (una quinta, quella del Razès
fu istituita in piena crociata, nel 1226).
La reazione dei cattolici
Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide il
fallimento di diversi tentativi di avvicinamento tra cattolici e catari in Linguadoca, mentre nel 1194 divenne conte di Tolosa,
Raimondo VI (1194-1222), che era favorevole ai catari
e sul cui territorio poterono svilupparsi indisturbate le diocesi catare di Agen e Tolosa. Tuttavia anche quelle di Albi e Carcassonne
non correvano particolari rischi, in quanto comunque in territorio amico,
essendo sotto il controllo del visconte Raimond-Roger
Trencavel, nipote di Raimondo VI.
La svolta si ebbe nel 1198 con la salita
al trono pontificio di Papa Innocenzo III (1198-1216), ideatore di una vera e
propria campagna contro i catari.
Dapprima egli inviò nel 1207-1208 famosi
predicatori come (San) Domenico di Guzman (n. 1170-
m.1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di Osma, per cercare di convertire i catari, ma i dibattiti
pubblici, come già precedentemente quelli del 1165, non approdarono ad alcun
risultato, anzi i teologi catari, come Guilhabert de Castres, ne uscirono a testa alta.
Allora Innocenzo passò alle vie di fatto
e bandì una crociata contro gli albigesi, prendendo come pretesto l'assassinio
(in realtà a sfondo politico e non certo dogmatico), a Saint-Gilles
nel 1208, del legato papale e monaco cistercense Pietro di Castelnau,
al quale forse non era estraneo lo stesso Raimondo VI,
scomunicato dal legato stesso nel 1207.
Alla Crociata parteciparono vari nobili
della Francia settentrionale, come il Duca di Borgogna ed il Conte di Nevers, ed avventurieri di pochi scrupoli, attratti sia
dall'indulgenza dai peccati, che, molto più materialmente, dalle possibilità di
saccheggio o addirittura di divenire padroni delle città della Linguadoca. L'esercito crociato contava un totale di 20.000
cavalieri e oltre 200.000 soldati e servi al seguito.
Il 22 luglio 1209 la prima città ad
essere posta sotto assedio, Béziers fu espugnata dai
crociati, e il legato papale Arnaud Amaury, abate di Citeaux,
interrogato su come si potesse distinguere gli abitanti cattolici da quelli ccatari, pronunciò la famigerata e tremenda frase:
“Uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i suoi”. Furono massacrate 20.000
persone e Amaury ricevette le congratulazioni dal
Papa in persona!
Stessa sorte toccò a Carcassonne, dove fu
imprigionato e morì in carcere il visconte Raimond-Roger
di Trencavel.
Dal 1210 i crociati, con a capo Simon IV
de Montfort, conquistarono una impressionante serie
di città o cittadine catare : Agen, Albi, Birou, Bram, Cahusac,
Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur, Limoux, Lombez, Minerve (qui 140 catari si gettarono spontaneamente
nelle fiamme), Mirepoix, Moissac,
Montégut, Montferrand, Montrèal, Pamiers, Penne, Puivert, Saint Antonin, Saint
Marcel, Saverdun, Termes,
furono tutte espugnate secondo un crudele copione ben collaudato: seguivano mutilazione
di nasi, occhi, orecchie e ovviamente l'onnipresente rogo dove bruciare gli
eretici.
Un episodio per tutti fu la conquista di Lavaur nel 1211 con il rogo di ben 400 catari e l'uccisione
di Giraude di Lavaur, una nobile
catara, sorella del comandante della guarnigione, molto timorata di Dio e amata
da tutti i suoi concittadini, anche cattolici. Giraude
fu gettata in un pozzo e lapidata a morte dai crociati.
Ogni signore locale di queste città lottò
per la sua sopravvivenza, anche se questa significava passare per faydit, colui che era eretico o proteggeva gli
eretici ed i suoi terreni venivano dati in ricompensa ai crociati.
Nel 1212 intervenne nella crociata,
prendendo le difese dei tolosani, anche il re
d'Aragona, Pietro I (1177-1213), cognato di Raimondo, poiché molte delle terre
in questione almeno formalmente facevano parte del suo regno. Fra gli Aragonesi
ed i crociati la lite degenerò in guerra, ma all'assalto di Muret,
con i crociati, tanto per cambiare, nel ruolo di assediati, Pietro fu ucciso.
Il boccone più difficile per i crociati
si rivelò l'assedio della capitale Tolosa del 1217-1218, dove Simon de Montfort venne ucciso da una pietra lanciata da una donna.
Prese allora il comando della crociata l'inetto figlio di Simon, Amaury VI de Montfort,
con scarso successo.
La situazione politica, in ogni modo,
stava già cambiando tutta a favore del re di Francia, sia nel 1215, quando il
futuro re di Francia Luigi VIII il Leone (1223-1226) era intervenuto
personalmente nelle operazioni militari, che nel 1224 quando lo stesso,
diventato sovrano obbligò Amaury di fare dono di
tutte le terre conquistate alla corona di Francia.
Oltretutto l'incapacità di Amaury permise ai catari ed ai conti di Tolosa di serrare
le fila, prima della parte finale della guerra voluta da Papa Onorio III
(1216-1227) e condotta da Luigi VIII in persona, e, per questo, denominata
Crociata reale (1226-1228).
Alla fine nel 1229, Raimondo VII di
Tolosa (1222-1249) spossato da una guerra, che aveva totalmente stravolto il
Mezzogiorno della Francia, accettò una pace, mediata da Bianca di Castiglia,
madre del nuovo re minorenne Luigi IX (1226-1270), e ratificata con il trattato
di Meaux. Raimondo conservò parte delle sue terre,
cedendo il resto alla Francia, dovette dichiarare la sua fedeltà al re, ma
soprattutto negare ogni appoggio ai boni homini.
D) La fine
A questo punto ai militari subentrarono
gli inquisitori domenicani e francescani, la cui attività era stata
ufficializzata nel 1233 dal Papa Gregorio IX (1227-1241) come Inquisitio heretice pravitatis.
Gli inquisitori, odiati dalla popolazione
locale, imperversarono sul territorio per circa 100 anni (1233-1325), in realtà
facendo uccidere meno persone di quanto si è portati a credere (solitamente
solo i catari “perfetti”, che si rifiutavano di abiurare), ma utilizzando
metodi di tortura e pressione psicologica di una sottile efferatezza.
L'odio per gli inquisitori si concretizzò
ad Avignonnet nel 1242, dove due di essi (Arnauad Guilhelm de Montpellier e
Étienne de Narbonne) e il
loro seguito furono massacrati.
Questo fu il pretesto per scatenare un
ultimo colpo di grazia ai catari asserragliati nella fortezza di Montségur, il cui assedio nel 1243-1244 fu l'atto finale
della guerra contro i catari.
Montségur era infatti diventata,
dal 1232, l'ultimo baluardo della resistenza catara, voluta da Guilhabert de Castrés.
Nel maggio del 1243 la fortezza, difesa
da Raimond de Péreille e
dal perfetto Bernard Marty, fu posta sotto assedio
da parte delle truppe del siniscalco di Carcassonne, Hugues
de Arcis, ma solo nel marzo del 1244, gli assedianti
espugnarono la roccaforte. Immediatamente furono eretti i tristemente noti
roghi, sui quali Bernard Marty e 225 catari furono
bruciati.
E) Il movimento in Italia
L'Italia settentrionale e centrale,
assieme alla Francia meridionale, fu l'area geografica dove si sviluppò
maggiormente il catarismo: secondo l'ex cataro Raniero Sacconi, erano circa
2.500 alla ½ del XIII secolo, anche se questo dato si riferiva solo ai
cosiddetti “perfetti”. Si suppone quindi che il movimento includendo credenti e
simpatizzanti, fosse molto diffuso.
Il primo vescovo di tutti i catari
italiani fu, come si è detto, Marco di Lombardia e il suo successore fu Giovanni Giudeo, ma in seguito
il movimento si frazionò in sei chiese locali;
Chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda)
l'unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e i cui adepti si chiamavano
albanensi, dal nome del primo vescovo Albano. Altri vescovi
degni di nota furono Belesinanza e soprattutto il
massimo teologo cataro Giovanni di Lugio.
Chiesa di Concorrezzo
(vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto. Seguirono Nazario e Desiderio, ma con l'abiura
dell'ultimo vescovo, Daniele da Giussano, la chiesa
si estinse.
Chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a
Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi o
coloianni, dal nome in greco del loro primo vescovo Giovanni il
Bello.
Si estinse con l'abiura degli ultimi due vescovi, Albertino e Lorenzo da
Brescia. A questa chiesa appartenne segretamente anche Armanno Pungilupo, morto nel 1269 e proposto per la canonizzazione
perché ritenuto in vita persona di notevole rettitudine e santità e fatto
oggetto, dopo morto, di venerazione e pellegrinaggi. Purtroppo un'inchiesta,
voluta da Papa Bonifacio VIII rivelò che Pungilupo
era, per l'appunto, un c. e quindi fu condannato postumo.
Chiesa di Vicenza o della Marca di
Treviso, fondata dal primo vescovo, Nicola da Vicenza, seguito da Pietro Gallo, noto per la
confutazione delle sue dottrine da parte di S. Pietro Martire da Verona ,che,
secondo una leggenda, fu un cataro pentito, diventato poi un inquisitore
domenicano.
Chiesa di Firenze, fondata da Pietro
(Lombardo) di Firenze e di cui si ricorda il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, cantato nell'Inferno di Dante.
Chiesa di Spoleto e Orvieto, fondata da Girardo di San Marzano e proseguita da due
donne, Milita di Marte Meato e Giuditta di Firenze. La chiesa si estinse con
l'abiura dell'ultimo vescovo, Geremia.
Le ultime cinque praticavano un dualismo
di tipo moderato, di origine bulgara (Concorrezzo) o
dalla Sclavonia (le altre quattro).
Il catarismo in Italia seguì un destino
diverso rispetto alle chiese sorelle in Francia, e ciò era dovuto all'appoggio
che spesso le fazioni ghibelline, in chiave antipapale, accordavano loro. Il
tutto perdurò fino alla battaglia di Benevento del 1266, quando la sconfitta
del partito ghibellino e l'affermarsi di quello guelfo degli Angioini, fece
mancare i potenti appoggi, goduti dai catari fino a quel momento.
Iniziò il declino ed anche in Italia
venne il momento della resa dei conti finale: una “Montségur”
locale, vale a dire l'espugnazione da parte delle truppe dei fratelli Mastino I
(1260-1277) e Alberto I (1277-1301) della Scala, nel 1276 della rocca di
Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e
Bagnolo San Vito e numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono
arrestati e portati a Verona, dove 174 perfetti furono bruciati sul rogo,
allestito nell'arena, il 13 febbraio 1278.
Il revival cataro
Infine, verso la fine del XIII secolo, si
ebbe in Francia un nuovo rifiorire delle dottrine ccatare,
portate dai fratelli Guglielmo e Pietro Authier, da Amelio de Perles e da Pradas Tavernier, che si erano formati presso i catari lombardi ed
erano quindi tornati per predicare in Francia: Pietro fu catturato e bruciato
nel 1310 per ordine del famoso inquisitore Bernardo Gui.
Ufficialmente l'ultimo cataro fu Guglielmo Belibasta, tradito dal cataro rinnegato Arnaldo Sicre e bruciato nel 1321 per ordine dell'inquisitore
Jacques Fournier, che sarebbe poi diventato Papa
Benedetto XII (1334-1342).
Da quella data il catarismo cessò di
esistere, almeno esteriormente, mentre probabilmente proseguì in forma segreta
e limitata a pochi adepti.
La dottrina
I catari erano dei dualisti cristiani,
che accettavano il Nuovo Testamento, e in questo si distinsero dai manichei,
con i quali erano spesso accomunati dai cattolici. Essi credevano
nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, impersonificati rispettivamente dal Dio santo e giusto,
descritto nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico o Satana.
Il catarismo si divideva in
due filoni: quello assoluto e quello moderato.
Per i dualisti assoluti, i due Dei erano
sempre esistiti in un'eterna lotta ed avevano creato i loro due mondi, quello
dello spirito e contrapposto quello imperfetto della materia, il mondo nel
quale viviamo noi.
Per i dualisti moderati, Satana non era
un dio, ma un angelo ribelle caduto, che aveva comunque creato il mondo
materiale.
Alcuni degli angeli (circa un terzo),
cioè gli spiriti, furono lusingati ad unirsi a Satana, che li intrappolò
successivamente nei corpi umani, impedendo loro di ritornare dal Dio giusto.
L'anelito continuo, quindi, dello
spirito, dalla sua dolorosa prigionia nel corpo dell'uomo, era quello di poter
tornare un giorno da Dio Padre, cosa che i catari cercavano di fare attraverso
il Consolament, durante la loro vita, perché
altrimenti sarebbero stati costretti a subire una continua metempsicosi
(passaggio dello spirito da un corpo all'altro, anche animale), fino a potersi
riunire di nuovo con Dio.
La figura di Cristo, solo apparentemente,
coincideva con la dottrina cattolica. In realtà non era affatto così: i c.
credevano che Cristo fosse un angelo di Dio, chiamato Giovanni, secondo Belibasta, che era sceso sulla terra sotto forma di puro spirito.
Quindi anche i catari aderivano al concetto docetista della mera apparenza della
nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra.
Automaticamente venivano a cadere due
simboli cristiani, legati alla vita terrena di Cristo: la croce, che i catari negavano,
se non odiavano, e la transustanziazione, la trasformazione cioè, del pane e
vino in corpo e sangue di Cristo durante l'eucaristia, che i catari
respingevano con orrore.
I riti e la liturgia
I catari rifiutarono la maggior parte dei
riti e delle liturgie cristiane per utilizzare le proprie, che erano:
Innanzitutto il Consolament,
una forma di rito complesso con imposizione delle mani, fatto ad adulti, che
riuniva in sé il valore dei sacramenti cristiani del battesimo, della
comunione, dell'ordinazione e dell'estrema unzione. Con questa cerimonia, il c.
da semplice fedele diventava un “perfetto” o "Amico di Dio", come
amavano dire gli stessi catari. Molti credenti aspettavano di essere in fin di
vita per chiedere il Consolament e
preferivano a quel punto lasciarsi morire per digiuno, per non rischiare di
essere esposti alle possibilità di peccato. Questa pratica si chiamò endura e diventò popolare nel periodo del tardo
catarismo, quando la scarsità di “perfetti” poteva rendere impossibile una
seconda cerimonia di Consolament, se fosse
stata necessaria.
Il Melhorament, un'elaborata
forma di saluto tra catari
L'Aparelhament, una confessione
pubblica dei propri peccati.
La Caretas, un bacio
rituale di pace.
La recita del Padre Nostro, in pratica, unica
(eccetto alcune invocazioni minori) preghiera accettata dal catarismo, con
alcune significative correzioni del testo: il riferimento al “pane
soprasostanziale” al posto del “pane quotidiano”, inteso non come cibo
materiale ma come insegnamenti di Cristo, e l'aggiunta in fondo alla preghiera
della postilla “perché Tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei
secoli. Amen”. I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più volte al giorno,
solitamente in serie da sei (sezena), da otto
(sembla) o sedici (dobla).
Come vivevano e come erano organizzati
Dal punto di vista alimentare, i perfetti
catari erano vegetariani, abolendo dalla loro dieta carne, uova, latte e
derivati, ma curiosamente non il pesce e i crostacei, e praticavano spessissimo
il digiuno a pane e acqua, nella Quaresima, nell'Avvento, dopo la Pentecoste e
tre giorni la settimana o come penitenza per peccati di lieve entità.
Non potevano mentire ed erano inoltre
casti, condannando il matrimonio e l'unione sessuale, che portava alla procreazione,
come atto tipico del mondo materiale creato da Satana e che perpetrava
continuamente la catena delle reincarnazioni, proprio quello che i catari
cercavano di spezzare.
Infine essi erano tenuti al precetto di
non uccidere, il che li mise spesso in forte crisi quando si trattava di
difendersi durante la crociate e le successive campagne di persecuzioni
dell'Inquisizione. Questi precetti, tuttavia, non si applicarono ai semplici
fedeli e simpatizzanti, che poterono invece brandire le armi per difendere la
propria causa.
Per quanto concerne l'organizzazione, il
capo della comunità o della chiesa assumeva il titolo di vescovo, secondo i
cronisti cattolici dell'epoca, mentre il perfetto, destinato a succedergli era
denominato “figlio maggiore” e quello destinato a succedere a sua volta “figlio
minore”. Pare invece improprio il titolo di “papa” cataro, attribuito a Niceta.
I testi
A parte il Nuovo Testamento, i catari
avevano prodotto una copiosa letteratura, per la maggior parte andata distrutta
durante le persecuzioni. Le fonti originarie, a noi giunti, comprendono:
Il Liber
de duobus principiis,
scritto da Giovanni di Lugio, vescovo della chiesa di
Desenzano e maggiore teologo cataro, e scoperto per caso nel 1939 nell'Istituto
Storico Domenicano di Santa Sabina, a Roma.
L'Interrogatio
Iohannis, denominata anche Cena Segreta,
un apocrifo bogomilo portato in Italia da Nazario,
vescovo della chiesa di Concorrezzo, che s'ispirava
alla Genesi e agli apocrifi della Bibbia.
Un altro apocrifo bogomilo,
la Visione di Isaia, tradotto in provenzale da Pietro Authier.
Il Liber
contra Manicheos di Durand de Huesca.
Varie versioni dei rituali catari, sia
quello utilizzato dai francesi, denominato occitano, che quello usato dagli
italiani, chiamato latino.
Gli atti del concilio di Saint Felix de Caraman, trascritti in un testo, denominato Carta di Niceta, scritto tra il 1223 ed il 1226, di cui ci sono
giunte delle copie del XVII secolo.