La cattedrale di Cosenza        

 

Consacrata il 30 gennaio 1222 dal cardinale Niccolo Chiaromonte, allorché Luca Campano era arcivescovo di Cosenza, alla presenza di numerosi presuli, abati e nobili del Regno, la cattedrale di Cosenza, pur avendo mutato l'originaria icnografia, per una serie di restauri dal XVI al XX secolo, si avvalse subito degli apporti cistercensi provenienti dal Lazio (abbazie di Casamari e Fossanova) e dalla Borgogna(Bonlieu sur Drome). L'influsso cistercense si rivela nelle absidi, prima circolari, con contrafforti radiali; l'abside di sinistra è ancora visibile nel vano che precede la Cappella dell'Assunta.

Nella maestosa facciata, con frontone centrale a cuspide, si conservano tre portali a ogiva, dalla caratteristica modanatura a fasce, il rosone centrale e due oculi quadrilobati. L'interno, a croce latina (con bracci diseguali), è diviso in tre navate da pilastri, con archi a tutto sesto, caratteristici dell'architettura romanica, e con capitelli molto bassi a vario disegno, attestanti la persistenza di temi di marca bizantina.

Le coperture differiscono tra loro: quella del transetto è a volte ogivali, quella delle navate a capriate lignee a vista. Nella navatella sinistra si aprono le cappelle: della Madonna del Pilerio e quella del Santissimo Sacramento (con il nero stemma dell'Arciconfraternita All'Orazione e Morte). La tela dell'Immacolata di Luca Giordano e in Episcopio. E' scomparsa la Cappella dei Telesio, con il crocifisso di pietra nera. Seguono la sagrestìa, che fu fatta costruire nel 1756 e che fu dotata, dall'arcivescovo Michele Capece Galeota, di un grande armadio in noce, e lasala capitolare, realizzata nel 1950 dall'arcivescovo Aniello Calcara. La stanza medioevale, al piano superiore, affaccia sul giardino.

All'esterno del Duomo, dal lato di Piazzetta Toscano, dov'è l'entrata della Biblioteca Nazionale, è visibile una bifora appartenente alla cappella dei Nobili, dedicata ai Santi Filippo e Giacomo. Nel 1974, la cappella fu ceduta dall'arcivescovo Raffaele Mormile ali'Arciconfraternita di "S. Maria della Misericordia", detta dei Bianchi, eretta nel 1531.

Il coro del Duomo è adornato, sotto agili archi acuti, da splendidi affreschi firmati e datati 1899: le figure dell'Assunta (al centro) e di S. Paolo appartengono al pittore Domenico Morelli, maestro dell'Accademia delle belle arti di Napoli, e quelle degli Apostoli furono eseguite da Paolo Vetri su cartoni del suocero. Le suddette pitture sono ammirevoli per l'alta concezione evangelica e per l'intensità d'affetti, che pochi pittori raggiunsero in Italia, "ove pur si sono avute le vergini mistiche del Beato Angelico, le vergini gentildonne del Pinturicchio e le vergini sovrane del Sanzio".

Nella cattedrale di Cosenza rimangono alcune opere di notevole valore, non solo artistico, ma anche storico. E' scomparso, però, il mausoleo di Luigi III d'Angiò, morto a Cosenza il 1434. Il sarcofago tardo antico, nella navata destra, priva di cappelle, raffigura la caccia al cinghiale calidonio, simbolo della lotta del mitico Meleagro all'oscura bestialità, e serve come tomba per il figlio primogenito dell'imperatore Federico II di Svevia. Ribellatesi in Germania al padre, Enrico VII lo Sciancato fu messo in prigione e morì a Martirano (la cui chiesa era suffraganea di quella cosentina), dopo avere contratto la lebbra, il 10 febbraio 1242.

La cattedrale di Cosenza si arricchì della prestigiosa tomba d'Isabella d'Aragona, moglie di Filippo III l'Ardito (quel nasello, dice Dante), morta di parto prematuro, il 1271, per essere caduta nel fiume presso Martirano, tornando dall'ottava Crociata. La mirabile opera, addossata alla parete dell'absidiola sinistra, è a forma di trifora gotica trilobata, in pietra di tufo, con una rosa del fastigio quadrilobata. Filippo l'Ardito ricorda, nel documento del 10 luglio 1271, con cui istituiva una cappellania, il sepolcro (l'altro, di marmo bianco e nero, si trova nella chiesa di Saint Denis) esistente iuxta altarepraedictum. Nel comparto centrale è posta la statua della Madonna della cintura, con il Bambino; in quello di sinistra Isabella d'Aragona, figlia di Giacomo I, e nel comparto di destra c'è la statua di Tibaldo II, re di Navarra, che morì, poco prima della sorella Isabella, al ritorno dall'Oriente.

Nella cattedrale di Cosenza era custodita la Stauroteca (ora alla Soprintendenza), che è il pregevolissimo reliquiario d'un frammento della Santa Croce. Ha due facce, ornate da smalti bizantini, che rappresentano le "parti uguali" d'un capolavoro dell'arte orafa. Su una faccia sono raffigurati: Cristo inchiodato sulla Croce (al centro), la Madre del Signore e S. Giovanni Battista (ai due lati), l’Arcangelo Michele (in alto) e l’Etoimasia (in basso). Sull'altra faccia sono raffigurati: il Pantocratore (nel medaglione centrale) e l’Evangelisti (nei quattro medaglioni alla fine dei bracci). Varie trasformazioni portarono la cattedrale allo stile barocco, di cui fu liberato, agli inizi del Novecento, con il ripristino dell'abside in stile neogotico.

Il glorioso Duomo di Cosenza pare "un grande pensiero di orazione, pietrificato e immobile ad attendere che i devoti lo guardino, cedendo al suo muto invito e al suo fascino".

 

L'icona della Madonna del Pilerio

Innumerevoli sono i prodigi operati dal Signore, per mezzo della Madonna, a favore dei credenti, a cui il venerabile Beda rivolgeva questa esortazione: "Serviamo tale Regina, che non abbandona coloro che in Lei confidano". Carlo Zupi, autore di ricerche trasandate, privo dì gusto estetico,affermò che il dipinto della Madonna del Pilerio non ha pregio artistico, ma soltanto valore storico-religioso.

Il dipinto di autore ignoto (il prototipo è quello uscito dal pennello di S. Luca) rende presente, con formulario bizantino, la Madonna che allatta il Bambino (Galaktotrophousd) come immagine di dolcezza materna: il latte, che scende copioso dalla poppa destra, denota il nutrimento spirituale e corporale, che diventa guasto nei periodi di disgrazie (peste, carestia, malaria) o di avversità (terremoto, diluvio). L'immagine della Madre di Dio (Theotòkos) s'erge solenne, sostenendo all'amorevole seno il Figlio, coperto da un trasparente velo bianco, che ha sul capo un diadema, diviso in quattro punti dalla croce, e una fascia (fatta di due cordoni), che stringe e unisce i due addomi raffiguranti la natura umana e divina.

La Vergine Madre, con occhi scuri rivolti all'umanità intera, indossa una veste marrone, che ricorda la reliquia custodita nell'altare maggiore della Cattedrale. Ha la testa circondata dall'aureola, con undici medaglioni d'oro; ne manca uno, che ha preferito la tenebra alla luce divina, che è rappresentata dal colore giallo-oro. Ai lati dell'aureola, luminoso simbolo della Vergine nel coro dei beati, c'è scritto in latino: MR DOMINI, (la Madre del Signore). Tre stelle– una sulla fronte e le altre due sulle spalle - significano che la Madre di Dio ha conservato la sua verginità prima, durante e dopo il parto. Le tre dita della mano destra, contorte ali'insù, indicano l'alto mistero della Trinità. Il manto della Madonna è azzurro; ma una metà di esso è rossa e copre, con grazia, la spalla sinistra: il colore azzurro raffigura la Regina del cielo e il rosso il sangue divino, versato sulla terra, per il riscatto dell'umanità. La lividura lasciata sul viso è il segno della peste o dell'eresia, che nega il Verbo, nato secondo la carne, libero da macula originalis, perché il Salvatore fu in Adamo secundum corpulentam substantiam, non secundum germinalem rationem.

L'icona della Madonna del Pilerio è espressione di fede e di raffinata eleganza comnena, secondo la tesi della Di Dario Guida. Nella relazione del 1976, sul restauro dell'opera, a cura della Sovrintendenza ai Beni Culturali della Calabria, la stessa Di Dario Guida dichiarava: L'icona sacra è "risultata essere un dipinto originale su tavola, di pregevole artistica fattura, del secolo XII-XIII, magistralmente riportato al suo primitivo splendore bizantino". C'è un'altra icona, raffigurante la Madonna del Pilerio, nella Chiesa cosentina delle Vergini; è "il seguito" di quella del Duomo, ascritta- dalla prof. Di Dario Guida e da Giorgio Leone - "alla più antica fase bizantineggiante di Giovanni da Tarante". L'icona più antica, arrivata nell'Occidente, è quella di Montevergine. E' una Hodigitria, seduta in trono, ricevuta da Filippo d'Angiò, principe di Taranto, in seguito al suo matrimonio con Ithamar Ducas, figlia di Niceforo Angeli Comneno, despota di Romania. Ripudiata la moglie, morta in circostanze drammatiche, Filippo d'Angiò sposò Caterina II di Valois, ereditando, dalla suocera Caterina Courtenay, il titolo nominale di imperatore di Costantinopoli. La lista dei 52 oggetti preziosi comprende, fra i regali di nozze, al terzo posto, l'importante tavola lignea su cui è applicata la Vergine con il Bambino Gesù in grembo. Le icone citate hanno storie complesse, diverse fra loro, ma gesti comuni di regalità e d'intenso affetto materno.

La fine della peste

Alcuni anni dopo la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), terminata con la disfatta della marineria turca, la Chiesa cattolica celebrò l'Anno Santo del 1575, al quale parteciparono più di 500 mila persone, non poche se si tiene conto della recente protesta del monaco agostiniano Martin Lutero, abbattutasi sulla Chiesa cattolica, e dell'afflusso ridotto di pellegrini tedeschi impediti, dall'epidemia pestilenziale di Trento, a passare attraverso il Tirolo e la valle dell'Adige.

La peste distrusse Trento, decimò la popolazione di Verona, coprì Venezia di cadaveri. Scrive Davide Andreotti: " Di qui, nell'anno che seguì, volata in Sicilia e nelle Calabrie, attaccò Cosenza contale furia, che non ne perirono i soli indigenti e disagiati, ma i più ricchi e comodi, e coi cittadini i campagnoli, e con questi non furono risparmiati neppure gli animali. Incominciata tra noi il 1576, non terminò prima del 1577, epoca in cui sorse il culto della Vergine del Pilerio".

Fausto Gozzetto obietta che nessuna delle fonti locali tradizionali "ricorda sia la peste cosentina del 1576, sia il relativo miracolo". Purtroppo, la peste ci fu, ma il culto della Maria SS. del Pilerio non s'inserì in quell'anno,come dicevano Andreotti ed EugenioAnione. A dimostrazione che il contagio della peste arrivò anche in Cosenza, c'è il caso dell'arcivescovo di Cosenza, Mons. Andrea Acquaviva, morto a Roma, di peste, nel 1576. Alfonso Corradi, negli "Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850", documenta, a pag. 493, che la peste si diffuse, nel 1576, in tutta l'Italia e si spense nel 1577, "dopo avere estinto quarantamila persone". Egli asserisce: " Fu già notato negli Annali che la peste in quest'anno era nelle due estreme parti d'Italia sulle Alpi nordiche ed in Sicilia. A Trento morivano fino a 50 persone al giorno: "ma con la benedittione del sommo Pontefice si liberò la città da un tal flagello" (Mariani, p. 329). Per ogni dove sfavasi in guardia, in Piemonte (Cambiano, p. 198), siccome a Roma ed a Napoli, dove i timori erano anche maggiori per il morbo, varcato lo Stretto, essendo entrato in Calabria. A Napoli tale spavento era entrato negli animi di tutti che appena si tenevano salvi nei monti: non stavano aperte che sei porte, proibite le mercanzie ed i traffici; abbruciavasi una barca carica di tele venuta dalla Sicilia e con essa molte balle di lana già poste in dogana. Per bando mandavansi via gli studenti, e si relegavano le meretrici fuori del borgo; gli ammalati dovevano essere portati al S. Gennaro, ogni dì nettate le strade e bagnate d'acqua nel mezzogiorno: sfogate le carceri dei galeotti e inviati al remo anche i condannati a morte; fatti liberi invece i prigionieri per debiti. Il procaccio di Calabria doveva fermarsi alla Torre del Greco: custodita per terra e per mare la costiera, affinchè né barca, né vascello di levante entrasse.

Così scrivevano da Napoli l'8 di luglio alla corte di Manto va: un altro avviso partito da Roma, parecchi giorni dopo (il 16), diceva che l'Arcivescovo di Monreale, fuggito da Palermo con altri signori su due galere, avrebbe voluto sbarcare senz'altro; ma dovè rassegnarsi di andare per alcuni giorni all'isola di Nisida, avendogli il Viceré fatto intendere che più presto si sarebbe persuaso di mettere in Napoli 1 ' Inquisizione, che lui e la brigata venendo da luogo tanto sospetto. Lo stesso avviso soggiungeva che il Papa aveva mandato a dire ai Conservatori di porre le guardie alle
porte, non tanto per premunirsi dal Reame, quanto da Vienna, da Trento e da alcune terre degli Svizzeri dove la peste infieriva".

Domenico Martire scrisse che nel 1576 la terribile peste comparve il Sicilia e in alcuni luoghi della Calabria". Il medico Giacobbe Puderico fu chiamato da Cosenza a curare gli appestati di Squillace e di altri paesi del Catanzarese. Davide Andreotti attinse le notizie sul numero del morti della "spaventevole peste" alle cronache di Agostino Caputo, Francesco Longo e di studiosi forestieri, che non si dilungarono, nel periodo 1573-1576, sia perché il morbo fu chiamato dai medici con altri nomi, sia perché sparì, da Cosenza, per il miracolo ottenuto dalla Madonna del Pilerio.

La tradizione vuole che la Beata Maria Vergine (B. M. V), nel 1576, riguardò, con occhi benigni, la città di Cosenza, che nei tempi antichi diede ascolto alle divinità pagane, in particolare alla dea della fecondità Iside, madre di tutte le cose. La Madonna, salvezza dei figli e torrente di misericordia, prese sul suo volto bizantino, dipinto su tavola, il segno della malattia pestilenziale.

Si legge, il 25 marzo 1918, nella Informatio, dettata in latino da Giovanni Romagnoli: " Sebbene la Beatissima Vergine Maria sia di tutti i cristiani Madre e Avvocata, e prodiga di misericordia con tutti quelli che ricorrono a Lei e implorano il Suo aiuto, si compiace tuttavia di accordare, in continuazione, particolare benevolenza ad alcune genti o città o categorie di cittadini e arricchirle con i frutti più copiosi del suo patrocinio.

Fra le città, che furono dotate di questo particolare privilegio, è da ascrivere con profitto la città di Cosenza, che auspice la Madre Vergine fu liberata più volte, e completamente, in modo mirabile, sia dall'insanabile pestilenza, sia dal flagello del terremoto. Infatti, quando nell'anno 1576, come abbiamo appreso da scrittori di storia, un pestilenziale morbo infuriava in lungo e in largo, per le regioni italiane, senza avere riguardo di uomini né di bestie da soma, apparve ad un pio uomo, che pregava davanti ali' immagine della Beata Maria Vergine in un luogo quasi nascosto della cattedrale metropolitana, una macchia nel volto di Lei, simile al bubbone pestilenziale. E da allora, come se fosse stata impressa sulla piissima Madre, non solo passò il pernicioso morbo, ma neppure uno del gran numero di ammalati morì di quella malattia, e tutti recuperarono la salute e le forze più valide di prima. Nondimeno, nel popolo cosentino, risplendette la materna misericordia della Beata Vergine Maria, negli orrendi e frequenti terremoti che devastavano quelle regioni. Nella distruzione totale di tutte le più grandi città e dei luoghi confinanti, Cosenza, appoggiata da quella potente protezione, sempre durò salva e incolume. Evitò il potentissimo sisma del 12 febbraio del 1854, in cui fra le rovine e le stragi, dalle porte fino alle pianure della città, nessuno dei cittadini cosentini morì, nessuna crepa riportò. Nessuna meraviglia, dunque, se il clero e il popolo cosentino, memori di tantissimi benefici, già da allora rivolgessero gli occhi e gli animi alla Beata Vergine Maria, e La considerassero, da quattro secoli fino ad ora, come un pilastro per superare i castighi e vogliano, con la sua guida, rimediare a tutti i mali e alle difficoltà della vita. Da qui avvenne che si adoperassero, con ogni mezzo, affinchè la Madre Vergine fosse proclamata, sotto la comune invocazione del Pileria, dalla suprema autorità della Chiesa, principale Patrona della città; per quanto siano stati già accontentati per Decreto della Congregazione dei Sacri Riti il 18 dicembre 1915,tuttavia non c'è per loro niente di più caro che venerare, con più solenne culto, la Patrona celeste e con più forte motivazione rivolgere in Lei il loro animo memore e grato:"Tutto il clero dell'Archidiocesi, ed anche il popolo ardentemente desiderano da gran tempo che nelle lodi liturgiche della Beata Vergine s'intrecci da noi il perenne ricordo delle grazie singolarissime da Lei ottenute e si esprima la gratitudine speciale dei suoi figli cosentini, tante volte scampati, per la sua intercessione, dai più terribili flagelli".

Nella Cappella della Madonna del Pilerio nel Duomo di Cosenza, sotto P icona dipinta su legno, è ricordato, con scrittura nel marmo, il prodigio della Genitrice (il gruppo nominale genis si potrebbe interpretare anche come abbreviazione di Genitricis), che pose fine alla peste:

HAEC NOS QUAM COLIMUSDE PESTE REDEMITIMAGO PRODIGIUM LABES DENOTA I ORTA GENIS.

La traduzione alla lettera è la seguente:

Questa immagine che noi veneriamo ci ha salvati dalla peste. L'apparizione della macchia sulle gote mostra il miracolo.

La prof. Maria Pia Di Dario Guida ha messo l'accento, in contrasto col senso comune, sul fatto che il bubbone della peste, creduto dalla popolazione come segno di miracolo, è semplicemente un deterioramento del colore, che non è stato rimosso, nell'intervento di restauro, per rispetto della tradizione.

 

La denominazione di Pilerio

 

La denominazione Maria SS. del Pilerio appare già nei documenti della prima metà del XVI secolo. Nella Platea del 1541 sono annotati, infatti, i patronati delle Cappelle esistenti nella Chiesa metropolitana, fra cui la cappella di S. Maria del Cannine di Loise Cavalcante (vescovo di Nusco dal 1545 al 1563), la cappella di S. Luca di casa Thilese e la cappella dei Pilieri juspatronato della città. Nella Calabria sacra e profana di Domenico Martire si ricorda che fu stabilito, nel 1584, un beneficio semplice ecclesiastico, ovvero cappellania, per promuovere il culto della Madonna dei Pilieri. llpiliere si riferisce, etimologicamente, al pilastro, ma pure a colui che è guida di coloro che lavorano nei frantoi. Quando il 29 settembre 1639 furono convocati quattro esperti fabbricatori (Grazio Valente,Francesco Abruzzino,Polibio Balsito,loanne Vercillo) a fare,"con piena e indubitata fede", l'inventario dei danni provocati dal sisma del 1638, essi decisero che occorrevano, per le case pericolanti, diversi spontoni seu pilieri. E' questo il principale significato dipiliere: elemento portante verticale, largamente usato nell'architettura di stile gotico e romanico, pilastro più robusto della colonna, a guisa delle Meteore della Tessaglia della Grecia orientale, che sono luoghi elevati, costituiti da rocce arenarie incise in pilastri isolati, su cui sorsero 24 monasteri, con vere e proprie comunità stilile, ridotti a sei (fra essi si segnalano i monasteri di Rossano, S. Stefano, S. Nicola). Il Meteoron fu fondato, tra il 1356 e il 1372, sulla cima del Platy Lithos, dall'eremita Attanasio, monaco di monte Athos.

In lingua spagnola, il Pylar indica \\pilone, cioè il pilastro isolato. Le altre interpretazioni del titolo Madonna del Filiere sono fantasiose, in quanto non considerano che la Madre di Dio, assunta al trono supremo, serve- come il pilastro - di sostegno morale e di protezione da ogni male.

A Saragozza, capitale storica dell'Aragona, la Vergine Maria è venerata sotto il titolo di Pylar, poiché apparve su un pilastro, tra un corteggio di Angeli, presso le rive dell'Ebro, all'Apostolo Giacomo. Il Santuario, frequentato da migliala di fedeli, è reso celebre anche per la famosa ancona dell'altare maggiore e per i dipinti di Bayeu, di Goya, di Velàzquez. Una stampa della Madonna del Filar porta sul verso brevi meditazioni: "La devozione alla Vergine è essenziale alla vita cristiana e la sua maternità tiene una dimensione universale, giacché tutto l'uomo in qualche modo è
unito a Cristo mediante l'Incarnazione. Ella è Madre dei Santi del ciclo, in modo eccellente; è la Madre delle persone in grazia, in modo perfetto, giacché possiede la vita naturale completa; è la Madre dei cristiani in peccato mortale in modo imperfetto, perché questi non tengono vita soprannaturale completa, ma unicamente l'inizio di essa che è la fede; è la Madre in modo potenziale e di diritto rispetto ai non battezzati, giacché destinata da Dio a indirizzarli nella perfetta vita soprannaturale; dei condannati, che soffrono nell'inferno, Maria non è Madre in alcun modo, perché non li contiene nell'unione con Cristo (...). E' la Madre più di tutte le madri riunite insieme".

Nella cappella di Castiglia della Cattedrale di S. Giovanni Battista, alla Valletta dì Malta, il pittore Mattia Preti, detto il Cavaliere Calabrese, raffigurò a olio su tela "S. Giacomo e la Madonna del Filar".

In Sardegna, a Villamarsagia, 1'antica chiesa di S. Ranieri, patrono di Pisa, fu dedicata, nel 1324, dagli Aragonesi alla Madonna del Pilar, patrona di Saragozza.

A Crotone, città della Calabria, si venera la Madonna negra di Capo Colonna. Secondo la tradizione, raccolta da P. Montorio nello Zodiaco Maricino, l'icona bizantina fu portata dall' Oriente da Dionigi l'Aeropagita, Vescovo di Atene. Fu dipinta da un suo discepolo e trasferita, per le incursioni turche, dal Santuario di Hera Lacinia, di cui rimane in piedi una delle 44 colonne, al Duomo di Crotone, dedicato all'Assunta. Il dipinto su tavola, più volte rimaneggiato, rivestito di lamina d'argento, è collocato nella Cappella Privilegiata, "riccamente decorata, con un bel cancello".

Nella splendida città bizantina di Rossano, sita "in alto et excelso loco", esiste la piccola Chiesa del Pilerio, che nel secolo XI aveva il nome di S. Angelo di Tropea.

Gli studiosi dicono che il titolo di Pilerio deriva dal nome greco pulè, cioè porta, perché le statue delle divinità pagane erano collocate a custodia (puleròs) delle porte urbiche.

 Il simbolismo è diverso: il Signore, che tutto può, venne sulla terra attraverso Maria, non violando laporta della sua verginità, né entrando in lei, né uscendo da lei, ma concedendole di essere insieme Vergine e Madre.

Nel Santuario di "S. Maria delle Grazie" di Sinopoli Superiore, il pregevole gruppo marmoreo della Madonna del Pilerio o della Neve con il Bambino sulla destra, e con l' iscrizione alla base attestante che la statua fu fatta fare, nel 1508, da Giovanni Ruffo, conte di Sinopoli e di Borrello, ripropone il tema iconografico dell'Eleusa,cioè della Madonna della tenerezza,documentato nell'arte bizantina "a partire dal XII secolo". L'opera fu eseguita,secondo Frangipane,seguito daKruft, nella bottega messinese dei Gagini.

Dalla Platea dei beni della Chiesa di Bisignano, compilata dal Leonardis nel 1508, si ricava che nella Diocesi, in quel tempo affidata al Vescovo Francesco Piccolomini d'Aragona, dei duchi di Amalfi, imparentato con i sovrani di Spagna, erano comprese alcune comunità albanesi. Queste passarono, successivamente, alle diocesi limitrofe di Cassano, Rossano, S. Marco, Cosenza, dove reclamarono la difesa del rito bizantino-greco. I profughi albanesi popolarono, alla fine del XV secolo, il monastero di "S. Maria delle Fonti" di Lungro, ch'è l'attuale sede dell'Eparchia.

L'arcivescovo di Reggio, Annibale d'Affllitto, succeduto a Gaspare del Fosso di Rogliano, nelle sue Vìsitationes, documentate tra il 1594 e il 1638, comprese alcune zone bizantinezzate del Reggino in cui si venera la Madonna sotto il titolo di "Pilerio": a Fiumara di Muro una chiesa della Madonna del Pilerio "con una icona su tavola di S. Maria"; a S.Lorenzo una croce dorata "con il Crocifisso e con la Madonna del Pilerio"; a Roda, fuori le mura di Reggio, la chiesa di " S. Maria dello Pileri".

A Napoli, oltre la via del Pilerio, fu costruita la Chiesetta di S. Maria del Pilar, in piazza dei Gerolomini. Era un'edicola, accanto alla quale fu costruito l'ospizio dei fanciulli poveri e orfani. Si racconta che fu fondato da Marcelle Foscataro, terziario francescano, con le elemosine da lui raccolte, ad alta voce, durante la carestia del 1589.

A Vicoforte, Giulio Sargiano, andando a caccia nel 1592, colpì la Madonna con il Bambino affrescati sul pilone, producendo la caduta d'un frammento d'intonaco. Tre anni dopo, intorno alla prodigiosa immagine, fu costruita una cappella, subito sostituita da una grande Chiesa, in cui la cupola sovrasta il baldacchino, che racchiude l'antico pilone, con l'immagine ancora segnata dall'involontario sfregio.

In provincia di Cosenza, a S. Marco Argentano, la cappella del Pilerio era parte del convento dei Frati Minori. Sottratta la Sicilia, con la guerra dei Vespri, alla dominazione angioina, gli Aragonesi introdussero, nel 1283, il culto della Madonna del Pilerio in S. Marco, in Cosenza e in altre terre della Calabria. Il Vescovo di S. Marco era Marco, già canonico della cattedrale, e l'arcivescovo di Cosenza era Pietro, trasferito da Corinto. Il culto della Madonna del Pilerio si rafforzò, in Cosenza, con la venuta dell'arcivescovo Adame de Ducy, canonicus Carnotensis, e tesoriere di Carlo re di Sicilia, cioè canonico di Chartres, dove si venera Notre Dame du Pelier, posta su un pilastro di pietra.

Nel 1576, stando alle dichiarazioni di Adolfo La Valle, i Frati Minori di S. Marco "restaurarono la vecchia Cappella del Pilerio, annettendosi il vecchio androne del Fortilizio Aragonese; il quale androne fu poi demolito interamente, insieme con altre fabbriche, 130 anni dopo, cioè nel 1706, quando l'antica Chiesa gotico-bizantina, edificata nel secolo XIV, fu ridotta da un egregio maestro, Antonio di Saponara, nella forma in cui ora si vede, ornata successivamente dalle pitture di Genesio da Papasidero, di Cristofaro Sant’Anna di Rende(nato a Marano, secondo Antonello Savaglio), di Saverio Ricci da Terranova, di un certo lannelli da Policastrello, e di qualche altro. Vi si trovano pure dei quadri anteriori al '700, e questi appartengono a Pietro Negroni, Sammarchese, detto lo Zingaro giovane, pittore di egregia fama, restauratore dei dipinti di Giotto nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli. Durante quei restauri e quelle rifazioni generali, i nostri Frati ufficiavano nell'androne su accennato, ridotto a Coro provvisorio, e compivano le altre Sacre Funzioni nella Cappella del Pilerio, alla quale, perciò, rimase il nome di Chiesa vecchia. In quella cappella, si celebravano ogni giorno un triduo in Febbraio, e in Ottobre un solenne novenario alla Vergine del Pilerio: la festa cadeva il 12 febbraio. Ma tutto ebbe a finire con la soppressione dei Frati! Non così avvenne in Cosenza e nella città di Napoli; non così in altre parti e specialmente in Spagna".

Uno spagnolo era Francesco Borgia, nato a Valenza nel 1441 circa, dalla famiglia di Callisto III e Alessandro VI, che fu padre di Cesare (duca del Valentinois, figura vagheggiata nel Principe dal Machiavelli), Giovanni(principe di Teano), Goffredo e Lucrezia (di grande bellezza e di sinistra fama). Il 6 novembre 1499, Francesco de Borja fu traslato da Teano all'arcivescovado di Cosenza e, poco dopo, fu elevato alla porpora cardinalizia con il titolo di S. Cecilia. Egli introdusse in Cosenza gli Agostiniani (1507), i Minimi di Francesco di Paola ( 1510) e incoraggiò ancora di più il culto della Madonna del Pilar, in cui la città, infettata dalla peste (1507), trovò rifugio, sostegno e conforto. Per avere indetto, con altri tre cardinali, il Concilio di Pisa, fu scomunicato nel pubblico Concistoro del 24 ottobre del 1511, perché ritenuto blasfemo ed eretico, dal papa Giulio II (Giuliano della Rovere), che indossò i panni del condottiero piuttosto che quelli del pescatore di Galilea. Alcuni mesi dopo Francesco Borgia morì.

All'ingresso della cappella della Madonna del Pilerio, dopo il cancello, una lapide di marmo, posta a destra, ricorda che la città di Cosenza fu liberata, al tempo del presulato del Borgia, dalla peste. La lapide, scritta in latino, recita:

D. O. M.

DEIPARAE VIRGFNIA PILARIO NUNCUPATAE QUOD CUM OLIM A PILA NEGLETTA PENDERET ET DIRA LUES PER BRUTIOS GRASSARETUR

MORBO IN GENIS EXTEMPLO ADPARENTE CONSENTIAM APESTE LIBERAVI!
(C. FRANCISCO S.R.E. CARDINALI BORGIAUT CREDITURARCHEP.O)

DEIN SIGNUM RETINUERIT ET VISIBILE ADHUC SET GAP. CONS.

BENEFICI MEMOR OBSEQUJ TENAX ALTARE SELECTO MARMOREINSTRUCTUM EXORNATUMQ.

ERIGI COLLOCARIQ. CENSUIT

ANNOMDCCLXXIX

La versione italiana dice: Alla Vergine Madre di Dio, detta del Filiere, poiché, nel tempo in cui pendeva negletta dal pilastro e l'orribile flagello infuriava per i Bruzi, salvò Cosenza dalla peste, prendendo ali 'istante il morbo sulle guance. (Era Arcivescovo di Cosenza, come si ha per certo, Sua Rev. Emin. Francesco cardinale Bargia). Dipoi conservò il segno, eh 'è ancora visibile. Il Capitolo Cosentino, memore del beneficio, costante nella devozione, ordinò di costruire e collocare un altare, di scelto e ornato marmo, nell'anno del Signore 1779.

Il 20 maggio 1743 fu nominato arcivescovo di Cosenza Francesco Antonio Cavalcanti di Caccuri, generale dell'Ordine dei Chierici regolari Teatini, che istituì la Confraternita della Vergine SS. del Pilerio, esente da processione, essendo venuta meno la Congregazione del SS. Sacramento, eretta nella Cattedrale nel 1539.

La storia religiosa di Cosenza narra che i cittadini trovarono sempre nella Madonna del Pilerio un pronto e materno patrocinio, soprattutto nei momenti difficili della peste,della guerra, del terremoto, delle tempeste,dei fulmini, delle inondazioni,delle carestie,delle varie infermità,delle spine pungenti e dei morsi di serpenti.

 

Testimonianze pubbliche

 

In un Manoscritto dell'Archivio Capitolare si legge questo notamente intomo all'Arcivescovo di Cosenza, che subentrò al cardinale Giovanni Evangelista Palletta, amico e protettore del Tasso: "Giovan Battista De Costantiis, volgarmente detto Monsignor Costanze, nobile napoletano, fu eletto Arcivescovo di Cosenza, a 15 aprile dell'anno 1591, e governò questa Chiesa con somma pietà e decoro per lo spazio di 26 anni. Morì sotto il Pontificato di Paolo V l'anno 1617".

Mons. Costanze rialzò la disciplina del clero, combattè la bestemmia e i culti magici, costruendo fermenti di rinascita cristiana e di ripresa del culto mariano. Infatti, il documento del 22 gennaio 1594, rogato dal notaio Grazio Migliorella, rivela: "II sig. Coriolano Molli della città di Napoli, maestro di camera di questi Tribunali, chiede al capitolo cosentino di volere accettare una elemosina di 3 ducati, per un anniversario, per messe in suffragio dell'anima della signora Camilla sua moglie, essendo ad esso e a tutta la sua casa accresciuta la devozione nell'Immagine della Santissima Madre di Dio, che sta dentro la Cattedrale di questa città, sita nel Pileria, incontro la porta piccola di detta Chiesa". Il 18 gennaio 1598, per ordine del papa Clemente Vili, pubblicò solennemente la scomunica di Cesare d'Este, duca di Ferrara, "con grande apparato innanzi la chiesa, tutto il Capitolo con candele nere in mano, e poi da tutti i Religiosi e gran concorso di popolo". Nel 1600, fece incarcerare, per dieci anni, il domenicano Fra Silvestre Deifida di Bisignano.
La pastorale di Mons. Costanzo fu contraddistinta dalla riaffermazione della dottrina cattolica, mediante l'appoggio al Tribunale dell'Inquisizione in tutte le sue eccedenze; dalla lotta senza quartiere contro l'eresia e la magia; dal consolidamento del culto della Madonna del Pilerio.

I fatti più significativi di Cosenza a cavallo tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento sono narrati nella Cronaca di Pietro Antonio Frugali, canonico e decano della Cattedrale di Cosenza, elogiata da Davide Andreotti come opera coraggiosa, pubblicata, nel 1934, da Eugenio Galli.
Era un taccuino manoscritto, posseduto dal nobile sig. Giuseppe Barracco
in Pianecrati (Cs). Nella suddetta Cronaca non si fa cenno ai funerali di Bernardino Telesio, ai quali Frugali dovette ufficiare come canonico, né alla condanna dei libri telesiani, nel 1596, da parte del S. Uffizio, pur se il filosofo cosentino aveva dichiarato perentoriamente, un anno prima di morire, nel De rerum natura, che il senso "deve essere rinnegato se non concorda con le Sacre Scritture". Non è registrata nemmeno l'apparizione del gavocciolo (bubbone) sulle gote dipinte della Madonna del Pilerio, mentre la ferma devozione dei Cosentini verso di Lei è illustrata finanche nei particolari.

" L'anno 1584 si fé prammatica che non si facesse carne vaccina; l'anno 1586 si levò la Fortezza del castello. L'Altare Maggiore fu fatto più in giù la prima volta per ordine dell'Ill.mo Cardinale Ursino Arcivescovo di Cosenza, e fu poi conzegrato dal Vescovo di Muro a 9 Maggio 1569 e detto Altare fu consacrato la prima volta l'anno1345; a 14 Luglio 1586 a ore 20 incirca fu una pioggia grande con lapidi di grandezza quanto un uovo e durò una ora in circa; a 13 Aprile 1586 fu una gelata tanto grande che rovinò ogni cosa; a 4 Aprile 1592 si conzegrò per vescovo di Martirano Francesco Monaco nella cattedrale per Monsignor Costanzo Arcivescovo di Cosenza, con li Ill.mi Vescovi di Nicastro e Belcastro; a 12 Giugno 1595 Mons. Costanze fece levare il Fonte Battesimale, dove era stato sempre, e lo fece mettere sotto la Cappella della Madonna, e il Fonte fu venduto ad Grazio Telese, e lo portò alla sua possessione in Campagnano (Rende); a 13 Giugno 1596 fu la festa del SS.mo Sacramento ed al portale del palio si metterono nove mazze: una indorata, che la portò il Viceré che allora era Grazio di Gennaro; due li Sindaci; e sei altre mazze le portarono tre dei Nobili ed altre dell'Onorati; a 17 Aprile 1603 si levò la Madonna detti Pileri del suo luogo dove era stata sempre e si pose al pilastro di sotto; a 3 Maggio 1603 fu levata la Madonna delli Pileri e portata dietro l'altare Maggiore, onde li fu fatta una bara con un montetto di sparacogne e bambagie, con alcune stellette di oro, con una quantità di Angeli di rilievo, di sopra la cima di detto monte fu posta la suddetta S. Maria del Filerò, e lo stesso giorno fu portata sulle spalle dai Canonici, mentre li Preti della Diocesi non la volsero portare, ed accompagnata dal Capitolo, e parte della detta Diocesi, ed Io D. Pietro Antonio Frugali come primo Canonico la incensai e fu condotta innanzi la Cappella della Epifania (dei Magi) cantando la litania. Arci e Monsignore vescovo stiedero fin tanto che si fini la litania; e la sopraddetta immagine rimase al luogo sopra detto, con quantità di candele accese, ed adornata nuovamente di fiori, rose e ramaglietti in mano coronando la suddetta immagine; a 4 maggio 1603 si incominciò il Sinodo Diocesano, onde in Cosenza vi era tutta la Diocesi; il medesimo giorno, fatta prima la sessione e cantata la messa dello Spirito Santo, si inviò la processione per la strada delli morti, e per il ponte di S. Maria ritornò alla Chiesa; le strade tutte erano accomodate come si fa alla processione del Sacramento. Alla bara vi erano gran quantità di torce accese ed altre gran quantità portate da molti gentil huomini, ed appresso grandissima moltitudine di huomini e donne, di poi fu riposta alla nuova Cappella, qual era tutta accomodata con diversi drappi di seta e quadri, e per ordine di Monsignore Ill.mo, ci fu posto il sacramento per farsi le quarantore; a 24 Giugno 1604, giorno di S. Giovanni Battista ed ottava del Corpus Domini, Monsignore Ill.mo ha fatto la processione del SS.mo Sacramento alla Parrocchia di S. Nicola, e lui ha portato il venerabile, con grandissimo apparato, in tutti i luoghi adornati di panni, quadri e artifici di fuoco e sparo dal castello; a 8 Maggio 1605 si fecero luminarie per la nascita del nuovo Principe, e Duca di Calabria, con grandissimo apparato, per ordine di Monsignore Ill.mo si ornò tutta la Chiesa cattedrale riccamente, e il P. Francesco fé una bellissima predica concernente alla nascita del suddetto Principe, e tutta la Calabria in gioia e festa ed allegrezza, accompagnata ancora di pioggia; a 22 Maggio 1605 Monsignor Arcivescovo pigliò tre Monache della Croce e le portò a Tessano al nuovo monastero di donne Cappuccinelle e ne fece entrare cinque altre, che sono otto; a 4 Aprile 1606, è partito per la volta di visita adlimina Monsignore Ill.mo; a 31 Agosto 1606 si fece il sedile di man sinistra della porta maggiore della Chiesa Madre. A 28 settembre 1606 si fece il destro; a 17 Aprile 1607 ad ore venti si fece una solennissima processione, e vi furono tutte le Confraternite della Diocesi, con bellissimi stendardi, gonfaloni, e grandissima quantità di cera, tutti li Religiosi della Città, e Confraternite, il Clero con il capitolo, prima in una vara era portata la testa del Nazianzeno, poi l'immagine della gloriosa Vergine delli Pileri portata in una vara fatta di sparacogne e bambacie, con una gran moltitudine di Angeli, questa bara veniva portata da Preti con le cappe, appresso un Prete portava la corona ed all'ultimo una maretta portata dai canonici, ove vi era una immagine di rilievo di nostra Signora, all'ultimo Monsignore Ill.mo ornato di abiti pontificali. Ritornati innanzi la porta della Chiesa fece la benedizione con gran numeroso popolo, e le finestre della città tutte apparate di drappo, tutto questo si fece per fare la corona alla Madonna delli Pileri; a 24 Giugno 1607 si fece un gioco innanzi la Chiesa Cattedrale cioè i Turchi e li Christiani".

Il cronista Frugali mise in luce, con lapidarie note, che a lui toccò l'onore d'incensare l'icona, nonché il coinvolgimento dei Cosentini nella processione e nell'incoronazione della Madonna del Pillerò.

Negli atti del notaio Giacomo Maugerio del giugno 1602 si rileva che Manlio Turchiaro di Pietrafitta ed altri testi versarono, con pronta cassa, 1660 ducati, per fare costruire, nella Cattedrale di Cosenza, una Cappella, sotto il patronato della famiglia del maggiorasco Giovanni M. Barnaudo, alla SS. Patrona delli Pileri, "di marmi di Carrara mischi alla petra di Gimigliano". I lavori furono affidati, dietro compenso di 300 ducati, al maestro Andrea Majore di Carrara, che impiegò marmi pregiati.
L'ordinativo prevedeva, infatti, la costruzione dell'altare con due colonne di marmo verde e capitelli di stile ionico; di due piramidi sporgenti "la metà fuori del muro"; d'una cornice "di marmo gentile; dell'incisione, a lettere d'oro, su "marmo nigro".

Dalla Cronaca del canonico Longo, citata da Andreotti, si apprende che Mons. Costanze fece spostare, nel 1603, l'icona della Madonna del Pilerie da un luogo angustissimo "al pilastro di sotto", e la fece collocare, alla vigilia del Sinodo Diocesano, più in vista, cioè dietro l'altare maggiore della Chiesa cattedrale. L'icona, che nel passato decorò Piconostasi della chiesa bizantina, fu portata nel 1607 in una Cappella speciale. Tuttavia non fu dal trasloco sul pilastro di sotto che cominciò a
darsi a Maria SS. l'epiteto del Pilerie, in quanto i Cosentini, da tempo immemorabile (ex omni memoria aetatum), consideravano e onorano la Madre di Dio come pi la et firmamentum veritatis.

Il notaio Giacomo Maugerio, il 19 dicembre 1603, rogò un atto, in cui il maestro Majore di Carrara prendeva un altro impegno: quello di costruire nella medesima Cattedrale, per 315 ducati, la Cappella per la nobile famiglia De Matera.

Un tragico rilievo, dopo il terremoto del 1638, ebbe la peste che, nel 1656 e nel 1657, spopolò Napoli e Province. L'epidemia non fu meno pericolosa per Cosenza, dove risultò contagiata per prima Rosa Piscitelli, che abitava alla Motta. Il Nunzio di Napoli comunicò, il 27 marzo 1657, a Roma: "Con lettera di Calabria, avutasi sabato scorso, si sente che nella città di Cosenza, mentre si teneva libera dal contagio, e si era seguito lo spurgo, s'è scoperto di nuovo il morbo e sono seguiti diversi casi; ma che, per la diligenza che si faceva, si sperava che non sarebbe stato altro. Il 22 ottobre, però, con l'arrivo delle piogge autunnali, il Nunzio di Napoli dichiara che Cosenza, libera dal male, conforme alle fedi, supplica che le sia restituito il commercio.

Cessato il morbo, si fece il bilancio dei morti. Padre Sebastiano di Cosenza pagò il suo zelo il 4 febbraio del 1656, perdendo la vita nell'assistere gli appestati. Si distinse, come il cardinale Borromeo, nell'opera di carità, l'arcivescovo di Cosenza, Giuseppe Maria Sanfelice, fondatore dell''Accademia dei Negligenti.

La peste fu considerata da alcuni come un celebre delirio; da altri come castigo di Dio; da altri ancora come influsso negativo degli astri. Nella predica della Quaresima del'1692, Paolo Segneri affermò che la peste era una fiera ingorda di cadaveri: "Vorresti vedere terre ingoiate dall'acque? Domandane alla Fiandra. Vorresti vedere campi divorati dal fuoco? Chiedine a Napoli. Vorresti vedere popoli sprofondanti di gran terremoti? Interrogane la Calabria. Che spettacoli di spavento non si sono aperti in queste province agli occhi della curiosa posterità? Nuvole caliginose di fumo, piogge portentose di cenere, gragnole strepitose di sassi, torrenti bitumosi di zolfo, fiumi bollenti di fuoco, rovine precipitose di case, ingoiamenti orribili di bestiami. Che dissi sol di bestiami? D'interi popoli".

Nel 1707 il popolo di Cosenza festeggiò la fine del dominio spagnolo. Nel 1734 si aprì per la città e per il Regno delle Due Sicilie, con l'avvento al trono di Carlo III di Borbone, una nuova fase. Il nome del cosentino Gaetano Argento, nato in via del Seggio (e non nel villaggio di Rose), si levò a decoro e corona dei Bruzi.

L'icona della Madonna del Pilerio si trovava intronizzata, come si legge nel documento del 17 aprile 1617, nella sua Cappella, quando si fece ricorso all'ammodernamento architettonico e a ritocchi approfonditi. Il Capitolo Cosentino sovvenzionatore si rivolse, perciò, a Marino Palmieri, marmorario di Napoli, che diede mandato di procura al suo allievo Gennaro Pesce. Il contratto, stipulato nel dicembre del 1777 a Cosenza, fu corredato di dettagliato disegno, ormai scomparso. La spesa dell'opera fu messa a carico dell'artefice, il quale doveva prepararla "tutta a sua spese, tanto di marmi, che assettatura di essi, ed altro". Il compenso, pagabile in più rate, per l'opera da completare "nel giugno del 1778", assommò a 500 ducati. Fra i particolari si stabilì che "li puttini debbano essere del celebre scultore Giuseppe Sanmartino, il giallo debba essere di Siena, tutto il rosso debba essere di breccia di Francia, e tutto il fondato di pietra di Seravezza".

Durante l'esecuzione sorsero delle difficoltà di ordine economico, come si apprende dall'atto rogato dal notaio Bruno Sicilia il 20 maggio 1779, fol. 219: "Costituiti nella presenza nostra il Rev.mo Sig. D. Gaetano canonico Monaco, procuratore della Venerabile Cappella di S. Maria del Pilerio, eretta dentro la V.bile Chiesa metropolitana di questa città di Cosenza, ed il Sig. d. Raffaele de Chiara di questa città, asseriscono esse parti con giuramento avanti di noi qualmente standosi attualmente riformando e ammodernando la Cappella suddetta con quadro, cappellone, finestra e balaustri di marmi. Vi manca qualche denaro per il prosieguo del lavoro e pagarsi l'importo di detti marmi, cosa che ha costituito il succennato Rev.mo Sig. Can. Monaco Procuratore, nella risoluzione di far esito e vendita di due lampade di argento, un fìandacchino di perle a pezzo ed una Croce di perle. Ciò pervenuto all'orecchio del costituito Sig. D. Raffaele di Chiara, questo come devoto di detta B. Vergine del Pilerio, e per evitare la vendita di detti argenti e però si è esibito egli ad improntare gratis e, senza beneficio alcuno, la somma di ducati 120". Il 17 agosto dell'anno successivo, si stipulò, sempre per lo stesso notaio, un mutuo di 88 ducati, dati ancora da D.Raffaele De Chiara.

Con denaro offerto da Gaetano Donadio, l'arcivescovo Mons. Gennaro Clemente Francone di Napoli, nipote del cardinale Tommaso Ruffo, fece portare a compimento dal maestro Andrea Schiavarelli la custodia di filigrana d'argento, con decorazioni e smalto, per l'altare della Madonna del Pilerio. Ma la Cappella della Patrona delia città fu realizzata soprattutto grazie all'obolo e alle offerte devoluti dal popolo, "primo vero committente dell'opera". La spettacolare corona e i puttini di marmo bianco, sostenuti in alto da drappi leggeri come cirri, furono eseguiti da Giuseppe Sammartino (Napoli 1720-1793), oggi considerato uno dei maggiori scultori del Settecento napoletano. L'opera, conformemente allo spirito del tempo, accentuando il gusto decorativo, offre l'impressione di splendore, con la policromia dei colori, e rende l'impostazione scultorea con acuto realismo, arricchendo di grazia il trono della Madonna del Pilerio, a cui si rivolgeva, nelle funzioni sacre, la supplica:

Madonna del Pilerio che stai sul trono di maestà questa grazia che ti cerco mi devi fare per carità.

Nel Paradiso dantesco, la preghiera alla Vergine fonde il canto d'amore con la profonda trepidazione per l'umana salvezza:

Qui se ' a noi meridiana face

di cantate, e giuso, intra i mortali,

se ' di speranza fontana vivace.

Donna se ' tanto grande e tanto vali,

che guai vuoi grazia e a te non ricorre sua desianza

vuoi volar sanz 'ali.

 

L'altare centrale della Cappella del Pilerio ripete la felice musicalità scultorea di quello maggiore della Chiesa della Nunziatella di Napoli, opera dello stesso Sammartino. Sono due gli altari laterali della Cappella del Pilerio: sul primo, a sinistra di chi guarda l'altare, c'era la splendida tela dell'Immacolata di Luca Giordano, ora in Episcopio, sostituita da quella suggestiva di Giovan Battista Santoro di Fuscaldo; sul secondo, a destra, è collocata la tela di anonimo, raffigurante lo
Sposalizio di Maria SS., che fa il paio con il soggetto di quella dirimpetto.

La lapide commemorativa, a sinistra, porta lo stemma della famiglia Bombini:

BEATAE VIRGINI DE PILERIO

QUOD ANTIQUANOVIS BENEFICIIS CUMULAVERIT

HAC MAGNIS TERRAE CONCUSSIONIBUS

NONIS AC VII IDUS FEBRUARIJ

AC PRAESERTIM KALEN. APRILIS

ANNO MDCCLXXXIII

EVERSAAC PENE SOLAAEQUATA ULTERIORI CALABRIA

URBEM HANC FATISCENTEM

FIRMAVERIT

CONSENTINUS EQUES THOMAS BOMBINUS

NE NUMERI PIETATI AC GRATITUDINI DEESSET

AERE SUO

P.P.

Il terremoto del 1783 fece scorrere rivoli di sangue nella Calabria. La città di Cosenza fu miracolosamente risparmiata. In segno di ringraziamento, nel parlamento, si stabilì che i Cosentini dovevano partecipare ogni anno, P8 settembre, alla festività di Maria SS. del Pilerio, e assistere alla S. Messa. Il cancelliere D. Luigi Assisi scrisse, il 26 luglio 1798, l'atto pubblico: "Certifico io qui sottoscritto, ordinario Cancelliere di questa illustrissima e fidelissima città di Cosenza, qualmente
nel dì sei dell'adunanza del mese di luglio nell'atrio del sedile di detta città, con intervento e presenza del Sig. D. Marco Antonio Ariani regio Gov. e
Giudice, e i Sigg. Sindaco dei Nobili D. Antonio Ferrara e D. Raffaele Maria Saporito Eletto del Popolo, nonché dei Sigg. Deputati di ambedue le Piazze, con pubblico e solenne Parlamento, fra gli altri i punti in esame stabiliti e conchiusi attorno al seguente tenore, fu egualmente proposto da essi Sigg., Sindaco ed Eletto, di essere ormai più che patente la singolare protezione di Maria SS.ma del Pilerio di questo pubblico cosentino, al parlante miracolo della liberazione dalla peste in questa città, ne ha aggiunto degli altri infiniti, come a loro Signori è troppo noto, liberandoci nel 1783 dai duri effetti dei continui tremuoti; ed anteriormente e posteriormente da tante e poi tante epidemie, giornalmente impartendo da quella sacra immagine grazie a tutti, e specialmente a noi Cosentini,come la giornaliera esperienza ci addimostra,onde fa d'uopo, anche con atto esterno di dovuta venerazione, che questa città corrisponda a tanti benefici; per lo che si stimerebbe opportuno che la città medesima, nelle solite forme, in corpo, assista nel giorno della di Lei festività nella Messa cantata, ch'è solito solennizzarsi nella Cappella della medesima, sita dentro la Chiesa Madre, anche per correre in detto giorno di solennità della Natività della Regina del Cielo e della Terra, obbligando i nostri successori in posterum et in futumm, ad assistere alla sacra funzione suddetta, e così da tutti i detti Signori farsi noto, e nemine discrepante, qui conchiuso osservarsi inviolabilmente senza potersi apportare, o produrre scusa, o eccezione alcuna. Come il tutto appare da detto parlamento inserito e registrato nel libro dei colloqui, che presso di me si conserva, ed a fede". I due sindaci, 90 capifamiglia e i canonici della cattedrale di Cosenza sottoscrissero e rivolsero le loro suppliche al notaio Giovanni Casino, affinchè raccogliesse notizie e testimonianze certe sulla protezione di Maria SS. del Piliero. Nell'archivio di Stato di Cosenza, al presente diretto dalla dott. Assunta Cairo, si conserva, l'atto rogato il giorno 11 marzo 1800: "In pubblico testimonio veritatis, e personalmente nella presenza di noi regio Notaio Giudice a contratti, e testimoni costituitisi testi di loro spontanea e libera volontà, con giuramento tactopectore etscripturis rispondere in parola di verità, e di onore asseriscono, dichiarano e confessano, anzi attestano, e fanno certa, veridica ed indubitata fede, quanto il bisogno lo richiede, ed in presenza di qualsivoglia giudice, o magistrato supremo, come nell'anno 1783, in tempo che questa città era bersagliata dalla divina ed onnipotente mano di Dio, da continue orribili scosse di terremoto, principiate nel dì 5 Febraro di questo anno, in maniera, e con veemenza tale, che indicavano la totale distruzione della Città e Provincia, ricorse questa cittadinanza alla protezione, ed intercessione della Madre SS. del Piliero, la di cui Imagine si venera in una delle cappelle di detta Cattedrale, per esser preservata da sì tremendo gastigo, che avea già sconquassata, sconvolta, e rovinata la magior parte della Provincia dell'Ulteriore Calabria, col diroccamento non solo dell'intere città, terre e casali, ma col sobissamento di monti, colline e financo di vaste pianure, molte delle quali, per essersi impedito il corso dei fiumi, si erano cambiati a grandi laghi, ed immensità di acque stagnanti.

In questa sì lagrimevole e luttuosa catastrofe, ed in tempo, che questa città soffriva delle violentissime scosse, e che i Cittadini tutti imploravano la Divina misericordia per l'intercessione di Maria SS. del Piliero, ecco che videsi la Sua miracolosa Immagine piena tutta, e nella faccia e nel petto di fissure ed aperture, siccome tutti i suddetti costituiti testi l'attestano per averle osservate, e con tutta l'attenzione coi di loro propri occhi vedute, per cui giudicarono non esser potuto succedere per via naturale, stante che detta sacra Immagine è dipinta su di una tavola, ed in essa non si vedeva lesione alcuna, conoscendosi esser quello un portento, seguito fuori dell'ordine naturale, e perciò miracoloso, ed universalmente si stimò esser quello un segno della grazia impetrata a questa città dalla Madre SS. egualmente che seguì nei secoli passati, allorché questa stessa città era travagliata dal contagio della peste, poiché non pria ne fu liberata, che in questa sacra Immagine, e propriamente in una delle sue gote, nella quale si vide il segno della peste, tuttavia esistente. Nondimeno come in questi casi deve procedersi con somma oculatezza, e circospezione, a richiesta dei testi costituiti testificanti, si stimò dai governanti di quel tempo, barone D. Giuseppe Passalacqua, sindaco dei Nobili, e D. Saverio Manfredi eletto del Popolo, e da molti dei canonici di essa Cattedrale, e particolarmente dal Costituito teste Can. Amantea, come quello che attrovavasi cappellano di detta cappella, di farla osservare, con scrupolosa accuratezza, non men da persone savie, e di fino discernimento, ma ben'anche dai tre pittori, che trovavansi in città, D. Giuseppe Maradei, D. Domenico Oranges e D. Pasquale Majo, i quali colla presenza ed intervento di detti testi costituiti, e specialmente del costituito D. Francesco Antonio Trojano anche professore di pittura, il quale si ricorda benissimo, che avendo egli osservato le fessure su detta sacra Immagine, le giudicò siccome giudica esser seguita non naturalmente, ma soprannaturale, mentre se la boca naturale fosse stata per cagione del legno, le fessure dovevano essere dritte, e non già serpeggiate come lo erano sopra la semplice pittura, non meno che di moltissimi altri cittadini avendo fatto togliere il cristallo, che copre tal sacra Immagine, ed attentamente osservato il legno, sul quale è dipinta, e le fessure e squarci, che non oltrepassavano la pittura, e dopo aver la medesima strofinata, con un fazzoletto, per vedere se tali fessure ed aperture erano nate dall'essersi distaccata la pittura del legno, niuno segno ne diedero perché la stessa stava forte e stabile, siccome ocularmente fu parimenti veduto, ed osservato da essi testi di sopra costituiti, unanimemente fecero giudizio che gli stessi non potevano affatto provenire da cagione naturale, onde vieppiù si confermò questa cittadinanza nella credenza e fiducia di essersi già impetrata la grazia, come in effetti seguì, poiché per quante violentissime scosse fossero succedute in appresso, ed in ispeziale quella del 27 marzo 1783 suddetto, non si vide crollare veruno edificio, e molto meno patire cittadino veruno. Ed indi tali fessure, col cessare del flagello, sparirono ancora nell'Immagine, ed infatti oggi si osserva senza verun segno, e perfettamente rimarginata, senza esservene rimasto neppure piccolo segno o vestigio. Ed in magior accerto di quanto sopra il prefato D. Antonio Plastina con detto giuramento attesta, che ricordasi benissimo, che dopo succeduto un tal portento, un giorno essendo andato in sua spezieria, il giorno medesimo Francesco Bruno pittore di questa città, discorrendo di tal miracolo accaduto, gli disse che le dette fessure non erano accadute naturalmente, giacché avendoci egli riflettuto con tutta l'attenzione, non vi conobbe niente del naturale, ma tutto accaduto soprannaturalmente. E perché allora non si badò di tal grazia ricevuta, consì segnalato miracolo, per mezzo di Maria SS. del Piliero, di farsene un pubblico attestato, oggi i costituiti testi testificanti perché han preso l'impegno, e premura per la di lor particolare devozione verso la Vergine SS.ma, ne hanno fatto il presente, affinchè di tal portentoso miracolo ne rimanga un valido documento a questa città, ed al fine d'infiammarsi ancor maggiormente i cuori dei cittadini tutti in ver di questa Gran Protettrice, e la devozione, ed ossequio si diffonda(no) anche ai posteri, e non succeda quel che avvenne dell'altro miracolo in occasione del contagio, che per non essersene formate carte, e quindi smarrite, non se ne ha che una semplice, abbenché costante tradizione, perciò ci han richiesto formarne il presente pubblico atto avvalorato dal di loro giuramento pectore tacto et scripturis respondere et quia fecimus fondare. Laus Deo ac Beatae Mariae Virgini, et Divo Antonio de Padua".

Diverso fu il ragionamento di Carlo Botta, che giudicò con severità le opere di Manzoni e Goethe, e si attestò su posizioni storiografiche moralistico-patriottiche. Non tenendo conto della volontà popolare, nel quarto volume della Storia d'Italia, egli scrisse: "Successe poi, nella Cattedrale di Cosenza, imperciocché anche in questa antica città, capo della Calabria Citeriore, tremò la terra, un
caso strepitoso, onde lungi e dappresso se ne fecero le meraviglie. Quivi i popoli adorano una Madonna, chiamata nel paese la Madonna del Pilerie. E' tradizione fra il volgo che, mentre ai tempi antichisimi la peste inferociva e desolava la Calabria, tutto ad un tratto pullula sulla guancia della statua di questa Madonna, che nella Cattedra le si conservava, un pestilenziale gavocciolo. I popoli l'avevano molto pregata per impetrare la cessazione di quel flagello. Ora, veduto il gavocciolo sulla guancia, i custodi gridarono: Signori, signori, e voi popolo di Calabria, udite, udite, e di buon animo state, e Dio ringraziate e la Madonna del Pilerie che la peste cesserà, poiché la Madon-
na l'ha tutta assunta su di sé, come il Redentore assunse sopra di sé, per la Passione e morte, tutti i peccati degli uomini: ecco, ecco sopra il Sacro volto il gavocciolo, ecco il gavocciolo. E così, come la tradizione e le leggende vogliono, la peste cessò. Consimile miracolo, per virtù di questa Madonna, successe in Cosenza, nell'anno di cui scriviamo (1783) la compassionevole istoria. Stavano i popoli umilmente pregando nella Cattedrale e, ad ogni tremito della terra, voci lamentevoli dando, e misericordia, misericordia gridando, quando tutto ad un tratto un canonico, di nome Monaco, assai furfante, come la fama portava, con la sua voce stentorea, quale l'aveva, gridò, rivoltandosi egli
subitamente a rutto il popolo: Miracolo, miracolo ! Il terremoto è al fine: ecco che la Madonna l'assunse sopra di sé, guardate la sua faccia, come tutta è screpolata: Miracolo, miracolo! - E tutto il popolo ripetè: Miracolo, miracolo!".

Lo storico Botta concluse il suo discorso dicendo: "La faccia era tutta screpolata, ma per la vetustà del legno. Il terremoto poco più durò, perché era già durato molto. Quanto al gavocciolo, esso non era altro che una macchia naturale del legno". Pur di negare il miracolo, egli si avventurò per una strada a lui sconosciuta, commettendo grossi errori: infatti, a Cosenza il culto della Vergine Maria, era antichissimo, non sotto il titolo di Pilerio, essendo la cattedrale dedicata all'Assunta; Cosenza non era un paese, ma era stata la storica capitale dei Bruzi; le fessure non apparvero sulla statua, scolpita nel secolo XVIII, ma sulla tavola dipinta; il sacerdote che diede la notizia del prodigio si chiamava D. Vincenzo Canonico, non Monaco, ed era il cantore della cattedrale; i cristiani non ado-
rano la Madonna, ma la venerano soltanto.
Era, perciò, più solida la posizione di Francesco Saverio Salii, che prospettava, nei meandri della storia, un progetto riformatore, sintetizzato nell 'epigrafe del suo Saggio sui fenomeni antropologici (Napoli, 1787): "Non al fanatismo, all'adulazione, alla misantropia, ma sono alla religione, alla verità, al patriottismo, rispetto, libertà, beneficenza". ABotta, che aveva misconosciuto le ragioni della fede, Saverio Giannuzzi Savelli rispose: "II
mio divisamente è il confermare, conteoriche dimostrazioni, quelle verità le quali debbono farsi sentire nel cuore, più che nella mente, e le cui prove a tutti sono conte". D'altronde, i fatti della fede si sentono profondamente e non sempre si spiegano razionalmente; ma la scienza e la fede, anziché
essere in conflitto permanente, sono di reciproco aiuto.

Per esternare il riconoscimento dei Cosentini, che avevano ottenuto clemenza, per mezzo di Maria SS. del Pilerio, ed erano stati salvati dai terremoti dell'8 marzo 1832, del 12ottobre 183 5 e del 26 aprile 1836, si organizzo una grande festa,alla quale parteciparono,nel giugno del 1836,anche i soci dell'Accademia Cosentina,che affidarono la raccolta dei loro componimenti scritti al tipografo Giuseppe Migliaccio. La Madonna del Pilerio è, infatti, la protettrice dell'Accademia Cosentina.

Il terremoto del 12 febbraio 1854 risparmiò i Cosentini (in provincia si ebbero circa 500 morti) e ciò persuase i Cosentini di celebrare, il 12 febbraio di ogni anno, a partire dal 1855, la seconda festa in onore di Maria SS. del Pilerio. Verso la fine del mese di aprile del 1854, l'Arcivescovo di
Cosenza, Lorenzo Pontillo, e il Capitolo, il Sindaco della città barone Vincenzo Mollo, il notaio Carmine Mazzei e altri suoi colleghi, accorsero in Cattedrale, tra la calca dei cittadini, per vedere le tre macchie apparse sull'icona di Maria SS. del Pilerio: una sotto il labbro inferiore e le altre due sulla guancia sinistra. Il notaio Mazzei, dopo avere interpellato gli esperti (un pittore, un architetto, uno scultore, un chimico, un carpentiere), rogò, il 7 maggio 1854,l'atto pubblico, a cui allegò la perizia tecnica, rilasciata il giorno 27 aprile: " Noi sottoscritti, pubblici professori, dichiariamo di essere stati invitati per esaminare, col rigore delle nostre rispettive conoscenze speciali, la qualità del segno apparso, la causa donde venisse, la sua importanza, la verosimiglianza della voce popolare, che l'attribuisce a singolare prodigio. In unione di molti Reverendi canonici della Cattedrale, e del Vicario generale della Diocesi, Cavaliere Arcidiacono D. Francesco Saverio Basile, abbiamo fatto togliere la lastra che garantisce l'Immagine, e posta F Immagine medesima in mezzo al coro della cattedrale, in luogo basso e luminoso, ciascuno di noi ha osservato tre lesioni visibili sul Padorato viso: una cioè sotto l'impressione del gavocciolo, prodigio già decantato da tre secoli; l'altra sul termine della mascella; l'ultima sulla polpa destra del labbro inferiore.

Le due prime appartengono alla parte sinistra del viso, cioè una più vicina al gavocciolo, distante da questo quattro centesimi di palmo, distante dalla narice sinistra nove centesimi, e lunga in tutto tredici centesimi; consiste essa in una screpolatura longitudinale poco variata, di cui l'orlo inferiore è pure alquanto rialzato dal piano matematico della pittura; l'altra, di forma angolare rivolta verso il naso, dista dall' estremo sinistro della bocca dodici centesimi, dalla linea sottoposta della mascella centesimi sette, e dalla screpolatura già descritta centesimi quattro e mezzo; ed è lunga in giro centesimi cinque e mezzo; del pari è rigonfiato leggermente sugli orli. L'ultima comprende la grossezza della polpa destra del labbro inferiore, è lunga centesimi tre, ed è distaccata nell'orlo inferiore del piano della pittura. L'architetto ne ha preso le misure precise, ed osservando che queste
screpolature non sono annerite, come altre che ve ne sono fin dal 1783,
dall'azione del tempo, anzi lasciano travedere nel loro fondo un colorito giallognolo, ha ravvisato che sono di manifestazione recentissima. Il pittore, lo scultore ed il chimico per la parte sperimentale, separatamente hanno osservato la qualità del colorito: i due primi, comparando queste con le antiche screpolature, avvisano che non vi sia dubbio alcuno sulla recente loro origine, e che il colorito giallognolo
sia la patina di gesso impregnata dell'olio della pittura, gesso spalmato sul legno sul quale è dipinta l'Immagine; il chimico conviene su questa riflessione ed aggiungono tutti che la presente alterazione
non dipende da tracce visibili d'influsso atmosferico, sia perché a memoria nostra mai non si è veduta simile manifestazione malgrado le molte stagioni di estremo caldo, di estremo freddo, di estrema umidità; sia perché il tempo in cui ora è intervenuta è dolce, preceduto da pochi giorni di soave pioggia, e prima da buon tempo; sia perché la nicchia, nella quale ha giaciuto il quadro, è asciutta, inalterata;ed infine perché nella lamina di ferro, che custodisce il dorso del quadro, non vi ha menomo appicco da sospettare un influsso atmosferico.

Il carpentiere ha osservato, su questo proposito, la qualità della tavola sulla quale è dipinta la Santa Immagine, ed ha dichiarato che non vi sia la menoma traccia di alterazione, e che non ve ne può
essere, è perché la fenditura maggiore è trasversale alle fibre del legno e perché il legno conta tre e più secoli.

Da tutto ciò i professori, ad unanime e spiccato parere, dichiarano che le suddette screpolature sono recenti, non dipendenti per nessun verso da cause naturali riconoscibili, e piene anzi di tutti i caratteri artistici di singolarità e di potere celeste".

 

Le incoronazioni

Maria Vergine possiede anche l'attributo di Incoronata. Fra le più note chiese dedicate all'Incoronata sono quelle di Foggia e di Lodi. Il tema iconografico dell'incoronazione, ispirato al quinto mistero glorioso,nel quale si contempla l'esaltazione della Vergine incielo, incoronata Regi-
na dei Santi, fu trattato nella pittura da Ciotto, Beato Angelico, Pinturicchio, Raffaello, Veronese, Moretto daBrescia, Pietro Negroni, detto lo Zingaro giovane, Rubens, Velàzquez, Pascaletti ecc.

Il 17 aprile 1607, per andare incontro alle espressioni di pietà popolare, che all'epoca s'innestavano con pratiche di magia, Mons.Giovan Battista Costanze, arcivescovo di Cosenza, fece la prima incoronazione della Madonna del Pilerio, dal volto bruno, con il Bambino che succhia al petto. In pompa magna, fra uomini anche di altra fede, egli impose la corona aurea sul capo della Madonna, simbolo dell'autorità di Regina.

Il Papa Gregorio XVI, con Breve del 22 marzo 1836, autorizzò la seconda cerimonia d'incoronazione, che si tenne a Cosenza, preceduta da tre giorni di festeggiamenti, nella domenica del 19 giugno dello stesso anno. I cittadini fecero la santa comunione e le più disparate promesse alla Madonna, che consola gli afflitti: per scampati pericoli, per guarigioni avute o da ottenere, per conservare la fede e la salute. L'Arcivescovo di Cosenza, Lorenzo Pontillo, nativo di Casagiove, comune in provincia di Coserta, depose sul capo della Madonna del Pilerio due corone d'oro incastonate di gemme, come si legge nell'atto notarile, che si conserva nell'Archivio di Stato di Cosenza, rogato dal notaio Carmine Mazzei.

Il 18 gennaio 1918, mentre ancora si combatteva la prima guerra mondiale, Tommaso Trussoni, Arcivescovo di Cosenza, ottenne il decreto con cui si confermava alla Madonna del Pilerio il titolo di Protettrice di Cosenza; il 7 maggio dello stesso anno la Congregazione dei Sacri Riti approvò la messa e l'Ufficio, in tutta l'Arcidiocesi, con rito doppio di prima classe, con ottava comune; il 30 giugno Mons.Trussoni iniziò, con le prediche, il triduo di ringraziamento alla Madonna del Pilerio, la cui icona fu portata in processione, per le navate del Duomo, e collocata, per alcuni minuti, sul pilastro, tra la generale commozione dei fedeli e il festoso suono di campane.

Il sacrilego furto della corona indusse i Cosentini a stringersi attorno all'Arcivescovo Trussoni per la celebrazione della terza incoronazione della Madonna del Pilerio, autorizzata dal Capitolo Vaticano con decreto del 4 maggio 1922.

L'atto pubblico,rogato dal notaio Giovanni Rosario Sprovieri, il 4 dicembre 1922, ricorda la solenne cerimonia. La Messa pontificale fu officiata da Mons. Carmelo Puja, Arcivescovo di Santa Severina, e da altri Presuli concelebranti: Mons. Trussoni; Mons. Giovanni Fiorentino, Arcivescovo di Catanzaro; Mons. Salvatore Scanu, Vescovo di S. Marco Argentano e Bisignano; Mons. Felice Cribellati, Vescovo di Nicotera e Tropea; Mons. Giovanni Mele, Vescovo della Diocesi
Lungro, di rito greco. I fedeli accorsero con gioia, per rendere omaggio alla Madonna del Pilerio e all'assoluta e imprescindibile centralità di Gesù Salvatore del mondo.

Il 12 aprile 1943, Cosenza subì i primi bombardamenti, che provocarono feriti e danni agli edifici. Gli abitanti trovarono rifugio fuori della città. La sera del 6 settembre 1943, don Carlo Berardelli, il P.Superiore del Convento di Pietrafitta, P. Pio Viafora, P. Placido Telese e i militari Vincenzo Parise e Salvatore Scalzo, autorizzati dell'Arcivescovo di Cosenza Mons. Aniello Calcara, trasportarono l'ancona della Madonna del Pilerio nella chiesa di S. Antonio di Padova, annessa al convento dei Frati Minori di Pietrafìtta. La sera del giorno seguente, quando si seppe, per via radio, della firma dell'armistizio, i Pietrafittesi si riunirono nella chiesa conventuale per ringraziare la
Madonna del Pilerio dello storico annunzio. Un triduo sacro fu predicato da P. Alfonso Liguori e la Messa solenne fu celebrata, con processione, dal canonico Eugenio Caruso, cappellano del Pilerio. I
Pietrafittesi regalarono alla Madonna un cuore d'argento, come simbolo d'amore e di devozione. Il giorno 11 dicembre 1943, la tavola fu trasferita nella cappella del Duomo, dove si venera la Madonna del Pilerio, che apre le sue mani al bisognoso e al misero.

 

La devozione oggi

 

Nel Novecento la devozione alla Madonna del Pilerio, la via che conduce a Cristo, non viene ridotta a memoria di pura emozione, ma è impegno di carità. Il titolo appropriato della pubblicazione di Don Giacomo Tuoto è: Maria icona della carità.

Quando i fucili al fronte sparavano in continuazione e commettevano una inutile strage, l'arcivescovo di Cosenza, Tommaso Trussoni spedì al papa Benedetto XV, il 22 maggio 1917, domandando, con insistenza, di approvare la Messa e l'Ufficio propri della Madonna del Pilerio e adducendo queste motivazioni: "La città di Cosenza riconosce come sua principale Patrona la B. V. Maria sotto il titolo del Pilerio, ossia del Pilastro,così detta, perché in un quadro della B. V., che era appeso ad un pilastro del Duomo, si verificarono dei fatti prodigiosi. Alla Madonna del Pilerio i
Cosentini ricorrono con grande fiducia nei pubblici e nei privati bisogni, e la fiducia loro è bene spesso coronata da lieto successo, tanto che più volte l'anno nella Metropolitana si celebrano anniversari e funzioni di ringraziamento per pubblici favori di preservazione ottenuti in occasione di
contagi e di terremoti".

La Congregazione dei Sacri Riti approvò e confermò che la B. V.Maria sotto il titolo del Pilerio si dovesse avere come la Patrona principale della città, e che se ne dovesse celebrare la festa il giorno 12 di febbraio sotto il rito doppio di prima classe coli'ottava. E la festa si celebra ogni anno, "con grande pompa e accorso di popolo". Inserita nei drammi quotidiani, ma anche nella gioia, Maria SS. ricevette le lodi dell'arcivescovo di Cosenza Aniello Calcara, poeta della vita cristiana e cantore del "Serafico amore", che pregava per ottenere sollievo e aiuto nell'aspro cammino:

Che la mia caduta/ non faccia ferita e che la ferita/ non spicci sangue;/reggi sempre il tuo fedele,/prima che egli cada,/ o Benedet- ta!/ Che agli stanchi òmeri/spuntino l'ali/per l'ultimo volo:/ nello slancio, oltre gli astri,/ in Dio:/ sorreggimi, o Vergine ".

Nello spirito del Concilio Vaticano II, l'arcivescovo di Cosenza, Dino Trabalzini, si rivolgeva, il 10 maggio del 1981, alla Madre di Dio, sorgente di bellezza, di grandezza e amore, dichiarando Santuario Mariano il Duomo di Cosenza, e auspicando che datale atto venisse incrementato il culto della Madonna del Pilerio e si producesse un profondo rinnovamento dell'archidiocesi: "Eleviamo a Santuario della Vergine S S. del Pilerio la nostra Cattedrale di Cosenza, Chiesa Madre della Diocesi, perché diventi luogo privilegiato di fede e di speranza, di conforto e
di rifugio, di benedizione e di grazia, d'intimo incontro tra la Madre e i figli, e quanti, attraverso Maria, siano condotti a Cristo e, in Cristo, siano congiunti al Padre nell'amore dello Spirito Santo, per una fedeltà sempre più piena verso la Chiesa e per un impegno sempre più fattivo e generoso
verso i fratelli".
L'attuale arcivescovo metropolita, Giuseppe Agostino, trova singolare e
commovente che Maria sia onorata, a Cosenza come a Crotone, con lo stesso titolo del Pilerio, e invocata da tutti come creatura da Dio eletta, affascinante nella sua simbologia e nelle sue altissime virtù. Nella pubblicazione dell'Opera omnia, il Presule, fra i tanti compiti, sceglie il dovere
(munus) d'insegnare ai fedeli la ricerca di Cristo come via, verità, vita. Egli ha riordinato, quindi, le feste religiose, che stavano degenerando nel rituale pagano e consumistico, per spalancare le porte del cuore alla divina Trinità e chiedere a Maria SS. del Pilerio di mirare il suo popolo al bivio tra tribolazione e speranza.

 

L'icona all'esterno del Duomo

 

Agli inizi del Seicento, Don Pietro Antonio Frugali scrisse nella sua Cronaca: "A' 18 Aprile 1603 si pose la Madonna secondo l'immagine di S. Maria Maggiore di Roma, che uscì dalla chiesa e la
portò Frabrizio Maccharone e Antonelli, tutt'e due orefici; ed il Capitolo la condusse al luogo dove ora si ritrova, cioè allo pontone della chiesa, all'incontro alii detti orefici".

Eugenio Galli, che ha avuto il merito di pubblicare l'opera manoscritta del Frugali, annota il suo disorientamento: "Intanto non mi fermo sulla similitudine con l'Immagine di S. Maria Maggiore di
Roma, perché non capisco, a questo punto, il suo pensiero". Da questo limite bisogna partire per distinguere la tavola della Madonna del Pilerio, che fu collocata nella cappella dentro il Duomo, di Cosenza, e la tela della Madre di Dio (Theotòkos), posta nel tabernacolo sul muro esterno, di
fronte alla via del Seggio. E' una copia della tavola originale della Madonna "Salus Populi Romani", che si venera nella cappella paolina della basilica di S. Maria Maggiore di Roma.

Carlo Cecchelli, studioso dell'icona bizantina, in contrasto con l'ipotesi di Justo Fernandez-Alonso, segnala: " E' questa senza dubbio una delle due più belle immagini di Maria dipinte su tavola (l'al-
tra è la "Madonna della Clemenza" di S. Maria in Trastevere) che Roma possiede. S'erge solenne la Madre stringendo fra le braccia il Figlio. E' una matrona del tempo antico. Fu da tutti invocata come
"Salus Populi Romani". E'immagine di Santa Maria, venuta dall'Oriente, o dipinta in Roma sul tipo orientale, divenne presto il nuovo palladio dell'Urbe.

Fu San Francesco Borgia (Gandìa, 1510- Roma 1572) a fare copiare, per le missioni estere, le immagini della "Salus populi Romani". La data della riproduzione oscilla tra il 1566 (anno di elezione del papa Pio V Ghislieri) e il 1569 (anno in cui il Borgia comunica alla Regina del Portogallo "l'avvenuta riproduzione" dell'icona). Non si conosce il nome dell'artista che eseguì su tavola l'immagine della Beatissima Vergine. Ea mediocre copia della "Salus Populi Romani" arrivò a Cosenza all'epoca dei Gesuiti. Ad ogni modo, non risale affatto "al flagello della peste, da cui la città fu colpita".

Mario Borretti e Padre Francesco Russo dicono che i Gesuiti, di cui il Borgia fu terzo nella serie dei Generali della Compagnia, arrivarono in Cosenza nel 1560, ma il tedesco Richard Bosel posticipa la
data all'anno 1589. C'è la difficoltà che l'arcivescovo di Cosenza, Evangelista Pallotta, cardinale presbitero dal titolo di S. Matteo in Merulana (vicina alla Basilica di S. Maria Maggiore) si mostrò contrario alla venuta in Cosenza dei Gesuiti. Il problema è risolto dalla lettera di Sertorio Quattromani, datata 10 maggio 1589, riportata da Walter Eupi, spedita a Giammaria Bernaudo; in essa si rende noto: "Ch'Ella procacci di far venire in Cosenza i PP. Gesuiti è opera santa e
buona, e non può se non lodarsi; ma vorrei che vi venisse tutto un Collegio, e non due o tre Padri, e che le cose si facessero dolcemente e non conforza e con dissensioni".

Ea costruzione della Chiesa, della residenza e dell'edificio scolastico fu avviata dall'architetto gesuita P. Giuseppe Valeriano, che lavorava in Napoli, ma egli passò ad altra vita il 15 luglio 1596.

La pianta dell' edificio, attribuita a Padre Pietro Provedi, architetto della Provincia, è del 1619; si conserva nella Biblioteca di Parigi. I lavori di ricostruzione, dopo il terremoto del 1638, furono ripresi nel 1645. L'ampia navata della Chiesa, come precisa Bosel, fu portata a termine tra il
1696 e il 1702. L'altare maggiore fu dedicato a S. Ignazio di Loyola, uno dei capi della Controriforma; un altare minore a S. Maria di Costantinopoli (la città che si consacrò a Maria nell'anno 330) e l'altro a S. Francesco Saverio (un altro fondatore della Compagnia di Gesù). Furono costruite sei cappelle sfondate e furono istituite, nel Collegio, due Congregazioni: quella della"B. Vergine Annunziata dall'Angelo" era dei Nobili; Paltradella"Vergine Assunta" era degli Artisti; Puna e l'altra erano a finissimo stucco e "di bellissimi quadri ornate". Il primo rettore della comunità cosentina fu il P. Fulvio Butrio, a cui successe il P.Giovanni Camerata, che mandò una lettera, il 1 ° luglio 1595, al Generale, con disegni della città di Cosenza, per la scelta del sito ove fondare il Collegio. I primi Gesuiti alloggiarono nel palazzo arcivescovile. La Compagnia di Gesù fu sciolta nel 1773, ma ritornò a Cosenza nel 1853. Le suore di S. Chiara, disturbate dalla vicinanza della costruzione, costrinsero i Gesuiti, nel 1604, a demolire le parti edificate. Il 18 aprile 1603, il solerte arcivescovo Giovanni Battista Costanze aveva benedetto la tela con l'immagine della Theotòkos, per farla collocare sul costolone del Duomo di Cosenza. L'iscrizione sulla cornice superiore dell'edicola, in pietra tufacea, non precisa la data di esecuzione della tela, ma solo i committenti e l'anno del suo trasferimento all'esterno del Duomo:

DEIPARAE VIRGINIAURIFICESEREXERE 1603.

Il cosiddetto tabernacolo fu restaurato dal pittore Pasquale Volpe e, com'è attestato sulla faccia del davanzale, "A devozione di Giuseppe Picciotto A. D. 1863". Un altro restauro fu eseguito dai tecnici della Sovrintendenza dei Beni culturali, in occasione della visita del papa Giovanni Paolo II, a Cosenza, il 6 ottobre 1984. In basso, ma in posizione centrale, dentro la piccola targa sta scritto:
" Restaurata a cura della F.I.D.A.P.A. Anno 1990", per il fattivo e
competente interessamento dell'archeologa     Donna Beatrice Quintieri.

Tutti questi particolari denotano il magnifico sviluppo della pietà mariana dei Cosentini, specialmente della Congregazione degli Orefici, che hanno quasi del tutto abbandonato il centro storico di Cosenza; ma resta, in tanta rinuncia, contro cui combattono le più illuminate amministrazioni della città, il culto della Theotokos, conforto e luce senza tramonto.

 

 

                     Note

 

G TUOTO,IL Duomo di Cosenza,Cosenza,Leggenda,1998,p.88

M.P.DIDARIOGUIDA,Icone.di.Calabria_e_altreIcone..Meridionali,Soveria.Mannelli,Rubbettino,1992,p.143;G.LEONE,Sulle.Iconografie.bizantine.della.Madonna.in.Calabria,in"Calabria Mobilissima,a.XL-XLI(1988-1989),n.88-91,pp.22-23;G.CIMINO,Leicone,OggiFamiglia,Cosenza, Aprile 2001, p. 12.

D. ANDREOTTI, Storia dei Cosentini, II, pp. 293-294.

F.GOZZETTO,Leggendole.realtà.nel.culto.della.Madonna.del.Pileria.Atti.dell'Accademia. 

Cosentina(1987-1990),Cosenza,Di.Giuseppe,1992,p. 155.

D. ANDREOTTI, II, p. 318.

SACRARITUUM.CONGREGATIO,Consentin.concessioniset.approbationis.Officii.et.Missae propriae in               Pesto Patrocina B. M. V. vulgo"del Pileria", Romae, Typis Polyglottis Vaticanis, 1918, pp. 3-5.

M.P.DIDARIOGUIDA,L'icona.della.Madonna.del.Pileria.nella.Cattedrale.di.Cosenza,in"Rivista-Storica.Calabrese",a.IX"(1988)Tn7l-4,p.348;

IDEM, Icone di Calabria e altre Icone Meridionali, pp. 71-72.

L. BILOTTO, // Duomo di Cosenza, pp. H 8-121.

S.NACCARATO,Cosenza_nel.terremoto.del.1638,Cosenza,Satem,1977, p. 20.

G.LEONE,Sulle.iconografie.bizantine.della.Madonna.jn.Calabria,in"CalabriaNobilissima",1989 (ed. 1994),                  nn. 88-91, pp. 7-62.

D.G. Donato,Chiese di Cosenza,L'eta' barocca,Cosenza,Effesette,1982,p.40.

F.Russo,Storia dell'Archidiocesi di Cosenza,p.529.

G.TUOTO,La Madonna del Pilerio,Cosenza,Leggenda,2001p.63

P.V.Donnarumma O.M.,Cosenza mariana,Cosenza,Chiappetta,1951 p.33

 

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