La
cattedrale di Cosenza
Consacrata
il 30 gennaio 1222 dal cardinale Niccolo Chiaromonte, allorché Luca Campano era
arcivescovo di Cosenza, alla presenza di numerosi presuli, abati e nobili del
Regno, la cattedrale di Cosenza, pur avendo mutato l'originaria icnografia, per
una serie di restauri dal XVI al XX secolo, si avvalse
subito degli apporti cistercensi provenienti dal Lazio (abbazie di Casamari e
Fossanova) e dalla Borgogna(Bonlieu sur Drome). L'influsso cistercense si rivela
nelle absidi, prima circolari, con contrafforti radiali; l'abside di sinistra è
ancora visibile nel vano che precede la Cappella dell'Assunta.
Nella
maestosa facciata, con frontone centrale a cuspide, si conservano tre portali a
ogiva, dalla caratteristica modanatura a fasce, il rosone centrale e due oculi
quadrilobati. L'interno,
a croce latina (con bracci diseguali), è
diviso in tre navate da pilastri, con archi a tutto sesto, caratteristici
dell'architettura romanica, e con capitelli molto bassi a vario disegno,
attestanti la persistenza di temi di marca
bizantina.
Le
coperture differiscono tra loro:
quella del transetto è a volte ogivali, quella delle navate a capriate lignee a
vista. Nella navatella sinistra si
aprono le cappelle: della Madonna del
Pilerio e quella del Santissimo
Sacramento (con il nero stemma dell'Arciconfraternita All'Orazione e Morte). La tela dell'Immacolata
di Luca Giordano e in Episcopio. E' scomparsa la Cappella dei Telesio, con
il crocifisso di pietra nera. Seguono la sagrestìa,
che fu fatta costruire nel 1756 e che fu dotata, dall'arcivescovo Michele
Capece Galeota, di un grande armadio in noce, e lasala capitolare, realizzata nel 1950 dall'arcivescovo Aniello
Calcara. La stanza medioevale, al
piano superiore, affaccia sul giardino.
All'esterno
del Duomo, dal lato di Piazzetta Toscano, dov'è l'entrata della Biblioteca
Nazionale, è visibile una bifora appartenente
alla cappella dei Nobili, dedicata ai
Santi Filippo e Giacomo. Nel 1974, la cappella fu ceduta dall'arcivescovo
Raffaele Mormile ali'Arciconfraternita di "S. Maria della
Misericordia", detta dei Bianchi, eretta nel 1531.
Il
coro del Duomo è adornato, sotto
agili archi acuti, da splendidi affreschi firmati e datati 1899: le figure dell'Assunta
(al centro) e di S. Paolo appartengono
al pittore Domenico Morelli, maestro dell'Accademia delle belle arti di Napoli,
e quelle degli Apostoli furono
eseguite da Paolo Vetri su cartoni del suocero. Le suddette pitture sono
ammirevoli per l'alta concezione evangelica e per l'intensità d'affetti, che
pochi pittori raggiunsero in Italia, "ove pur si sono avute le vergini
mistiche del Beato Angelico, le vergini gentildonne del Pinturicchio e le
vergini sovrane del Sanzio".
Nella
cattedrale di Cosenza rimangono alcune opere di notevole valore, non solo
artistico, ma anche storico. E' scomparso, però, il mausoleo di Luigi III d'Angiò,
morto a Cosenza il 1434. Il
sarcofago tardo antico, nella navata destra, priva di cappelle, raffigura la caccia
al cinghiale calidonio, simbolo della lotta del mitico
Meleagro all'oscura bestialità, e serve come tomba per il figlio
primogenito dell'imperatore Federico II di Svevia. Ribellatesi in Germania al
padre, Enrico VII lo Sciancato fu messo in prigione e morì a Martirano (la cui
chiesa era suffraganea di quella cosentina), dopo avere contratto la lebbra, il 10 febbraio 1242.
La
cattedrale di Cosenza si arricchì della prestigiosa tomba d'Isabella d'Aragona,
moglie di Filippo III l'Ardito (quel nasello,
dice Dante), morta di parto prematuro, il 1271, per essere caduta nel fiume
presso Martirano, tornando dall'ottava Crociata. La mirabile opera, addossata
alla parete dell'absidiola sinistra, è a forma di trifora gotica trilobata, in
pietra di tufo, con una rosa del fastigio quadrilobata. Filippo l'Ardito
ricorda, nel documento del 10 luglio 1271, con cui istituiva una cappellania, il
sepolcro (l'altro, di marmo bianco e nero, si trova nella chiesa di Saint Denis)
esistente iuxta altarepraedictum. Nel
comparto centrale è posta la statua della Madonna
della cintura, con il Bambino; in
quello di sinistra Isabella d'Aragona, figlia
di Giacomo I, e nel comparto di destra c'è la statua di Tibaldo II, re di Navarra, che morì, poco prima della sorella
Isabella, al ritorno dall'Oriente.
Nella
cattedrale di Cosenza era custodita la Stauroteca
(ora alla Soprintendenza), che è il pregevolissimo reliquiario d'un frammento della Santa Croce. Ha due facce, ornate
da smalti bizantini, che rappresentano le "parti uguali" d'un
capolavoro dell'arte orafa. Su una faccia sono raffigurati: Cristo
inchiodato sulla Croce (al centro), la
Madre del Signore e S. Giovanni
Battista (ai due lati), l’Arcangelo
Michele (in alto) e l’Etoimasia (in
basso). Sull'altra faccia sono raffigurati: il Pantocratore
(nel medaglione centrale) e l’Evangelisti
(nei quattro medaglioni alla fine dei bracci). Varie
trasformazioni portarono la cattedrale allo stile barocco, di cui fu liberato,
agli inizi del Novecento, con il ripristino dell'abside in stile neogotico.
Il
glorioso Duomo di Cosenza pare "un grande pensiero di orazione,
pietrificato e immobile ad attendere che i devoti lo guardino, cedendo al suo
muto invito e al suo fascino".
L'icona
della Madonna del Pilerio
Innumerevoli
sono i prodigi operati dal Signore, per mezzo della Madonna, a favore dei
credenti, a cui il venerabile Beda rivolgeva questa esortazione: "Serviamo
tale Regina, che non abbandona coloro che in Lei confidano".
Carlo Zupi, autore di ricerche trasandate, privo dì
gusto estetico,affermò che il dipinto della Madonna
del Pilerio non ha pregio artistico, ma soltanto valore storico-religioso.
Il
dipinto di autore ignoto (il prototipo è quello uscito dal pennello di S. Luca)
rende presente, con formulario bizantino, la Madonna che allatta il Bambino (Galaktotrophousd)
come immagine di dolcezza materna: il latte, che scende copioso dalla poppa
destra, denota il nutrimento spirituale e corporale, che diventa guasto nei
periodi di disgrazie (peste, carestia, malaria) o di avversità (terremoto,
diluvio). L'immagine della Madre di Dio (Theotòkos)
s'erge solenne, sostenendo all'amorevole seno il Figlio, coperto da un
trasparente velo bianco, che ha sul capo un diadema, diviso in quattro punti
dalla croce, e una fascia (fatta di due cordoni), che stringe e unisce i due
addomi raffiguranti la natura umana e divina.
La
Vergine Madre, con occhi scuri rivolti all'umanità intera, indossa una veste
marrone, che ricorda la reliquia custodita nell'altare maggiore della
Cattedrale. Ha la testa circondata dall'aureola, con undici medaglioni d'oro; ne
manca uno, che ha preferito la tenebra alla luce divina, che è rappresentata
dal colore giallo-oro. Ai lati dell'aureola, luminoso simbolo della Vergine nel
coro dei beati, c'è scritto in latino: MR
DOMINI, (la Madre del Signore). Tre stelle– una sulla fronte e le altre
due sulle spalle - significano che la Madre di Dio ha conservato la sua verginità
prima, durante e dopo il parto. Le tre dita della mano destra, contorte ali'insù,
indicano l'alto mistero della
Trinità. Il manto della Madonna è azzurro; ma
una metà di esso è rossa e copre, con grazia, la spalla sinistra: il colore
azzurro raffigura la Regina del cielo e il rosso il sangue divino, versato sulla
terra, per il riscatto dell'umanità. La lividura lasciata sul viso è il segno
della peste o dell'eresia, che nega il Verbo, nato secondo la carne, libero da macula
originalis, perché il Salvatore fu in Adamo secundum
corpulentam substantiam, non secundum germinalem rationem.
L'icona
della Madonna del Pilerio è espressione di fede e di raffinata eleganza comnena, secondo la tesi della Di Dario Guida.
Nella relazione del 1976, sul restauro dell'opera,
a cura della Sovrintendenza ai Beni Culturali della Calabria, la stessa Di Dario
Guida dichiarava: L'icona sacra è "risultata essere un dipinto originale
su tavola, di pregevole artistica fattura, del secolo XII-XIII, magistralmente
riportato al suo primitivo splendore bizantino". C'è
un'altra icona, raffigurante la Madonna del Pilerio, nella Chiesa cosentina
delle Vergini; è "il seguito" di quella del Duomo, ascritta- dalla
prof. Di Dario Guida e da Giorgio Leone - "alla più antica fase
bizantineggiante di Giovanni da Tarante". L'icona
più antica, arrivata nell'Occidente, è quella di Montevergine. E' una Hodigitria,
seduta in trono, ricevuta da Filippo d'Angiò, principe di Taranto, in
seguito al suo matrimonio con Ithamar Ducas, figlia di Niceforo Angeli Comneno,
despota di Romania. Ripudiata la moglie, morta in circostanze drammatiche,
Filippo d'Angiò sposò Caterina II di Valois, ereditando, dalla suocera
Caterina Courtenay, il titolo nominale di imperatore di Costantinopoli. La lista
dei 52 oggetti preziosi comprende, fra i regali di nozze, al terzo posto,
l'importante tavola lignea su cui è applicata la Vergine con il Bambino Gesù
in grembo. Le icone citate hanno storie
complesse, diverse fra loro, ma gesti comuni di regalità e
d'intenso affetto materno.
La
fine della peste
Alcuni
anni dopo la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), terminata con la disfatta
della marineria turca, la Chiesa cattolica celebrò l'Anno Santo del 1575, al
quale parteciparono più di 500 mila persone, non poche se si tiene conto della
recente protesta del monaco agostiniano Martin Lutero, abbattutasi sulla Chiesa
cattolica, e dell'afflusso ridotto di
pellegrini tedeschi impediti, dall'epidemia pestilenziale di Trento, a passare
attraverso il Tirolo e la valle dell'Adige.
La
peste distrusse Trento, decimò la popolazione di Verona, coprì Venezia di
cadaveri. Scrive Davide Andreotti: " Di qui, nell'anno che
seguì, volata in Sicilia e nelle Calabrie, attaccò
Cosenza contale furia, che non ne perirono i soli indigenti e disagiati, ma i più
ricchi e comodi, e coi cittadini i campagnoli, e con questi non furono
risparmiati neppure gli animali. Incominciata tra noi il 1576, non terminò
prima del 1577, epoca in cui sorse il culto della Vergine del Pilerio".
Fausto
Gozzetto obietta che nessuna delle fonti locali tradizionali "ricorda sia
la peste cosentina del 1576, sia il relativo miracolo". Purtroppo, la peste
ci fu, ma il culto della Maria SS. del Pilerio non s'inserì in quell'anno,come
dicevano Andreotti ed EugenioAnione. A dimostrazione che il contagio della peste
arrivò anche in Cosenza, c'è il caso dell'arcivescovo di Cosenza, Mons. Andrea
Acquaviva, morto a Roma, di peste, nel 1576.
Alfonso Corradi, negli "Annali delle epidemie
occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850", documenta, a pag. 493,
che la peste si diffuse, nel 1576, in tutta l'Italia e si spense nel 1577,
"dopo avere estinto quarantamila persone". Egli asserisce: " Fu
già notato negli Annali che la peste
in quest'anno era nelle due estreme parti d'Italia sulle Alpi nordiche ed in
Sicilia. A Trento morivano fino a 50 persone al giorno: "ma con la
benedittione del sommo Pontefice si liberò la città da un tal flagello"
(Mariani, p. 329). Per ogni dove sfavasi in guardia, in Piemonte (Cambiano, p.
198), siccome a Roma ed a Napoli, dove i timori erano anche maggiori per il
morbo, varcato lo Stretto, essendo entrato in Calabria. A Napoli tale spavento
era entrato negli animi di tutti che appena si tenevano salvi nei monti: non
stavano aperte che sei porte, proibite le mercanzie ed i traffici; abbruciavasi
una barca carica di tele venuta dalla Sicilia e con essa molte balle di lana già
poste in dogana. Per bando mandavansi via gli studenti, e si relegavano le
meretrici fuori del borgo; gli ammalati dovevano essere portati al S. Gennaro,
ogni dì nettate le strade e bagnate d'acqua nel mezzogiorno: sfogate le carceri
dei galeotti e inviati al remo anche i condannati a morte; fatti liberi invece i
prigionieri per debiti. Il procaccio di Calabria doveva fermarsi alla Torre del
Greco: custodita per terra e per mare la costiera, affinchè né barca, né
vascello di levante entrasse.
Così
scrivevano da Napoli l'8 di luglio alla corte di Manto va: un
altro avviso partito
da Roma, parecchi giorni dopo (il 16), diceva che l'Arcivescovo di Monreale,
fuggito da Palermo con altri signori su due galere, avrebbe voluto sbarcare
senz'altro; ma dovè rassegnarsi di andare per alcuni giorni all'isola di Nisida,
avendogli il Viceré fatto intendere che più presto si sarebbe persuaso di
mettere in Napoli 1 ' Inquisizione, che lui e la brigata venendo da luogo tanto
sospetto. Lo stesso avviso soggiungeva che il Papa aveva mandato a dire ai
Conservatori di porre le guardie alle
porte, non tanto per premunirsi dal Reame, quanto da Vienna, da Trento e da
alcune terre degli Svizzeri dove la peste infieriva".
Domenico
Martire scrisse che nel 1576 la terribile peste comparve il Sicilia e in alcuni
luoghi della Calabria". Il medico Giacobbe Puderico fu chiamato da Cosenza
a curare gli appestati di Squillace e di altri paesi del Catanzarese. Davide
Andreotti attinse le notizie sul numero del morti della "spaventevole
peste" alle cronache di Agostino Caputo, Francesco Longo e di studiosi
forestieri, che non si dilungarono, nel periodo 1573-1576, sia perché il morbo
fu chiamato dai medici con altri nomi, sia perché sparì, da Cosenza, per il
miracolo ottenuto dalla Madonna del Pilerio.
La
tradizione vuole che la Beata Maria Vergine (B. M. V), nel 1576, riguardò, con
occhi benigni, la città di Cosenza, che nei tempi antichi diede ascolto alle
divinità pagane, in particolare alla dea della fecondità Iside, madre di tutte
le cose. La Madonna, salvezza dei figli e torrente di misericordia, prese sul
suo volto bizantino, dipinto su tavola, il segno della malattia pestilenziale.
Si
legge, il 25 marzo 1918, nella Informatio,
dettata in latino da Giovanni Romagnoli: " Sebbene la Beatissima
Vergine Maria sia di tutti i cristiani Madre e Avvocata, e prodiga di
misericordia con tutti quelli che ricorrono a Lei e implorano il Suo aiuto, si
compiace tuttavia di accordare, in continuazione, particolare benevolenza ad
alcune genti o città o categorie di cittadini e arricchirle con i frutti più
copiosi del suo patrocinio.
Fra
le città, che furono dotate di questo particolare privilegio, è da ascrivere
con profitto la città di Cosenza, che auspice la Madre Vergine fu liberata più
volte, e completamente, in modo mirabile, sia dall'insanabile pestilenza, sia
dal flagello del terremoto. Infatti, quando nell'anno 1576, come abbiamo appreso
da scrittori di storia, un pestilenziale morbo infuriava in lungo e in largo,
per le regioni italiane, senza avere riguardo di uomini né di bestie da soma,
apparve ad un pio uomo, che pregava davanti ali' immagine della Beata Maria
Vergine in un luogo quasi nascosto della cattedrale metropolitana, una macchia
nel volto di Lei, simile al bubbone pestilenziale. E da allora, come se fosse
stata impressa sulla piissima Madre, non solo passò il pernicioso morbo, ma
neppure uno del gran numero di ammalati morì di quella malattia, e tutti
recuperarono la salute e le forze più valide di prima. Nondimeno, nel popolo
cosentino, risplendette la materna misericordia della Beata Vergine Maria, negli
orrendi e frequenti terremoti che devastavano quelle regioni. Nella distruzione
totale di tutte le più grandi città e dei luoghi confinanti, Cosenza,
appoggiata da quella potente protezione, sempre durò salva e incolume. Evitò
il potentissimo sisma del 12 febbraio del 1854, in cui fra le rovine e le
stragi, dalle porte fino alle pianure della città, nessuno dei cittadini
cosentini morì, nessuna crepa riportò. Nessuna
meraviglia, dunque, se il clero e il popolo cosentino, memori di tantissimi
benefici, già da allora rivolgessero gli occhi e gli animi alla Beata Vergine
Maria, e La considerassero, da quattro secoli fino ad ora, come un
pilastro per superare i castighi e vogliano, con la sua guida, rimediare a
tutti i mali e alle difficoltà della vita. Da qui avvenne che si adoperassero,
con ogni mezzo, affinchè la Madre Vergine fosse proclamata, sotto la comune
invocazione del Pileria, dalla suprema autorità della Chiesa, principale
Patrona della città; per quanto siano stati già accontentati per Decreto della
Congregazione dei Sacri Riti il 18 dicembre 1915,tuttavia non c'è per loro
niente di più caro che venerare, con più solenne culto, la Patrona celeste e
con più forte motivazione rivolgere in Lei il loro animo memore e
grato:"Tutto il clero dell'Archidiocesi, ed anche il popolo ardentemente
desiderano da gran tempo che nelle lodi liturgiche della Beata Vergine
s'intrecci da noi il perenne ricordo delle grazie singolarissime da Lei ottenute
e si esprima la gratitudine speciale dei suoi figli cosentini, tante volte
scampati, per la sua intercessione, dai più terribili flagelli".
Nella
Cappella della Madonna del Pilerio nel Duomo di Cosenza, sotto P icona dipinta
su legno, è ricordato, con scrittura nel marmo, il prodigio della Genitrice (il
gruppo nominale genis si potrebbe
interpretare anche come abbreviazione di Genitricis),
che pose fine alla peste:
HAEC NOS QUAM COLIMUSDE PESTE
REDEMITIMAGO PRODIGIUM LABES DENOTA I ORTA GENIS.
La
traduzione alla lettera è la seguente:
Questa immagine che noi veneriamo ci ha
salvati dalla peste. L'apparizione della macchia sulle gote mostra il miracolo.
La
prof. Maria Pia Di Dario Guida ha messo l'accento, in contrasto col senso
comune, sul fatto che il bubbone della peste, creduto dalla popolazione come
segno di miracolo, è semplicemente un deterioramento
del colore, che non è stato rimosso, nell'intervento di restauro, per
rispetto della tradizione.
La
denominazione di Pilerio
La
denominazione Maria SS. del Pilerio appare
già nei documenti della prima metà del XVI secolo. Nella Platea del 1541 sono
annotati, infatti, i patronati delle Cappelle esistenti nella Chiesa
metropolitana, fra cui la cappella di S. Maria del Cannine di Loise Cavalcante
(vescovo di Nusco dal 1545 al 1563), la cappella di S. Luca di casa Thilese e la
cappella dei Pilieri juspatronato
della città. Nella Calabria sacra e
profana di Domenico Martire si ricorda che fu stabilito, nel 1584, un
beneficio semplice ecclesiastico, ovvero cappellania,
per promuovere il culto della Madonna dei Pilieri. llpiliere si riferisce, etimologicamente, al pilastro,
ma pure a colui che è guida di coloro che lavorano nei frantoi. Quando il
29 settembre 1639 furono convocati quattro esperti fabbricatori (Grazio
Valente,Francesco Abruzzino,Polibio Balsito,loanne Vercillo) a fare,"con
piena e indubitata fede", l'inventario dei danni provocati dal sisma del
1638, essi decisero che occorrevano, per le case pericolanti, diversi spontoni seu pilieri. E' questo il principale significato dipiliere:
elemento portante verticale, largamente usato nell'architettura di stile
gotico e romanico, pilastro
più robusto della colonna,
a guisa delle Meteore della Tessaglia della Grecia orientale, che sono luoghi
elevati, costituiti da rocce arenarie incise in pilastri isolati, su cui
sorsero 24 monasteri, con vere e proprie comunità stilile,
ridotti a sei (fra essi si segnalano i monasteri di Rossano, S. Stefano, S.
Nicola). Il Meteoron fu fondato, tra il 1356 e il 1372, sulla cima del Platy
Lithos, dall'eremita Attanasio, monaco di monte Athos.
In
lingua spagnola, il Pylar indica \\pilone,
cioè il pilastro isolato. Le altre interpretazioni del titolo Madonna del
Filiere sono fantasiose, in quanto non considerano che la Madre di Dio,
assunta al trono supremo, serve- come il pilastro - di sostegno morale e di
protezione da ogni male.
A
Saragozza, capitale storica dell'Aragona, la Vergine Maria è venerata sotto il
titolo di Pylar, poiché apparve su un
pilastro, tra un corteggio di Angeli, presso le rive dell'Ebro, all'Apostolo
Giacomo. Il Santuario, frequentato da migliala di fedeli, è reso celebre anche
per la famosa ancona dell'altare maggiore e per i dipinti di Bayeu, di Goya, di
Velàzquez. Una stampa della Madonna del Filar porta sul verso brevi
meditazioni: "La devozione alla Vergine è essenziale alla vita cristiana e
la sua maternità tiene una dimensione universale, giacché tutto l'uomo in
qualche modo è
unito a Cristo mediante l'Incarnazione. Ella è Madre dei Santi del ciclo, in
modo eccellente; è la Madre delle persone in grazia, in modo perfetto, giacché possiede la vita naturale
completa; è la Madre dei cristiani in peccato mortale in modo imperfetto, perché
questi non tengono vita soprannaturale completa, ma unicamente l'inizio di essa
che è la fede; è la Madre in modo potenziale e di diritto rispetto ai non
battezzati, giacché destinata da Dio a indirizzarli nella perfetta vita
soprannaturale; dei condannati, che soffrono nell'inferno, Maria non è Madre in
alcun modo, perché non li contiene nell'unione con Cristo (...). E' la Madre più
di tutte le madri riunite insieme".
Nella
cappella di Castiglia della Cattedrale di S. Giovanni Battista, alla Valletta dì
Malta, il pittore Mattia Preti, detto il Cavaliere
Calabrese, raffigurò a olio su tela "S. Giacomo e la Madonna del
Filar".
In
Sardegna, a Villamarsagia, 1'antica chiesa di S. Ranieri, patrono di Pisa, fu
dedicata, nel 1324, dagli Aragonesi alla Madonna del Pilar, patrona di
Saragozza.
A
Crotone, città della Calabria, si venera la Madonna negra di Capo
Colonna. Secondo la tradizione, raccolta da P.
Montorio nello Zodiaco Maricino, l'icona
bizantina fu portata dall' Oriente da Dionigi l'Aeropagita, Vescovo di Atene. Fu
dipinta da un suo discepolo e trasferita, per le incursioni turche, dal
Santuario di Hera Lacinia, di cui rimane in piedi una delle 44 colonne, al Duomo
di Crotone, dedicato all'Assunta. Il dipinto su tavola, più volte rimaneggiato,
rivestito di lamina d'argento, è collocato nella Cappella Privilegiata,
"riccamente decorata, con un bel cancello".
Nella
splendida città bizantina di Rossano,
sita "in alto et excelso loco", esiste la piccola Chiesa del Pilerio,
che nel secolo XI aveva il nome di S. Angelo di Tropea.
Gli
studiosi dicono che il titolo di Pilerio deriva dal nome greco pulè, cioè porta, perché le statue delle divinità pagane erano
collocate a custodia (puleròs) delle
porte urbiche.
Il
simbolismo è diverso: il Signore, che tutto può, venne sulla terra attraverso
Maria, non violando laporta della sua
verginità, né entrando in lei, né uscendo da lei, ma concedendole di essere
insieme Vergine e Madre.
Nel
Santuario di "S. Maria delle Grazie" di Sinopoli Superiore, il
pregevole gruppo marmoreo della Madonna del Pilerio o della Neve con il Bambino
sulla destra, e con l' iscrizione alla base attestante che la statua fu fatta
fare, nel 1508, da Giovanni Ruffo, conte di Sinopoli e di Borrello, ripropone il
tema iconografico dell'Eleusa,cioè della Madonna della tenerezza,documentato
nell'arte bizantina "a partire dal XII secolo". L'opera fu
eseguita,secondo Frangipane,seguito daKruft, nella bottega messinese dei Gagini.
Dalla
Platea dei beni della Chiesa di Bisignano, compilata dal Leonardis nel 1508, si
ricava che nella Diocesi, in quel tempo affidata al Vescovo Francesco
Piccolomini d'Aragona, dei duchi di Amalfi, imparentato con i sovrani di Spagna,
erano comprese alcune comunità albanesi. Queste passarono, successivamente,
alle diocesi limitrofe di Cassano, Rossano, S. Marco, Cosenza, dove reclamarono
la difesa del rito bizantino-greco. I profughi albanesi popolarono, alla fine
del XV secolo, il monastero di "S. Maria delle Fonti" di Lungro, ch'è
l'attuale sede dell'Eparchia.
L'arcivescovo
di Reggio, Annibale d'Affllitto, succeduto a Gaspare del Fosso di Rogliano,
nelle sue Vìsitationes, documentate
tra il 1594 e il 1638, comprese alcune zone bizantinezzate
del Reggino in cui si venera la Madonna sotto il
titolo di "Pilerio": a Fiumara di Muro una chiesa della Madonna del
Pilerio "con una icona su tavola di S. Maria"; a S.Lorenzo una croce
dorata "con il Crocifisso e con la Madonna del Pilerio"; a Roda, fuori
le mura di Reggio, la chiesa di " S. Maria dello Pileri".
A
Napoli, oltre la via del Pilerio, fu
costruita la Chiesetta di S. Maria del Pilar, in piazza dei Gerolomini. Era un'edicola, accanto alla quale fu
costruito l'ospizio dei fanciulli poveri e orfani. Si racconta che fu fondato da
Marcelle Foscataro, terziario francescano, con le elemosine da lui raccolte, ad
alta voce, durante la carestia del 1589.
A
Vicoforte, Giulio Sargiano, andando a caccia nel 1592, colpì la Madonna con il
Bambino affrescati sul pilone, producendo
la caduta d'un frammento d'intonaco. Tre anni dopo, intorno alla prodigiosa
immagine, fu costruita una cappella, subito sostituita da una grande Chiesa, in
cui la cupola sovrasta il baldacchino, che racchiude l'antico pilone, con
l'immagine ancora segnata dall'involontario
sfregio.
In
provincia di Cosenza, a S. Marco Argentano, la cappella del Pilerio era parte
del convento dei Frati Minori. Sottratta la Sicilia, con la guerra dei Vespri, alla dominazione angioina, gli Aragonesi
introdussero, nel 1283, il culto della Madonna del Pilerio in S. Marco, in Cosenza e in altre terre della Calabria. Il Vescovo
di S. Marco era Marco, già canonico della cattedrale, e l'arcivescovo di
Cosenza era Pietro, trasferito da Corinto. Il culto della Madonna del Pilerio si
rafforzò, in Cosenza, con la venuta dell'arcivescovo Adame de Ducy, canonicus
Carnotensis, e tesoriere di Carlo re di Sicilia, cioè canonico di Chartres,
dove si venera Notre Dame du Pelier, posta
su un pilastro di pietra.
Nel
1576, stando alle dichiarazioni di Adolfo La Valle, i Frati Minori di S. Marco
"restaurarono la vecchia Cappella del Pilerio, annettendosi il vecchio
androne del Fortilizio Aragonese; il quale androne fu poi demolito interamente,
insieme con altre fabbriche, 130 anni dopo, cioè nel 1706, quando l'antica
Chiesa gotico-bizantina, edificata nel secolo XIV, fu ridotta da un egregio
maestro, Antonio di Saponara, nella forma in cui ora si vede, ornata
successivamente dalle pitture di Genesio da Papasidero, di Cristofaro
Sant’Anna di Rende(nato a Marano, secondo Antonello Savaglio), di Saverio
Ricci da
Terranova, di un certo lannelli da Policastrello, e di
qualche altro. Vi si trovano pure dei quadri anteriori al '700, e questi
appartengono a Pietro Negroni, Sammarchese, detto lo Zingaro giovane, pittore di egregia fama, restauratore dei dipinti
di Giotto nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli. Durante quei restauri e quelle
rifazioni generali, i nostri Frati ufficiavano nell'androne su accennato,
ridotto a Coro provvisorio, e compivano le altre Sacre Funzioni nella Cappella del
Pilerio, alla quale, perciò, rimase il nome di Chiesa
vecchia. In quella cappella, si celebravano ogni giorno un triduo in
Febbraio, e in Ottobre un solenne novenario alla Vergine del Pilerio: la festa
cadeva il 12 febbraio. Ma tutto ebbe a finire con la soppressione dei Frati! Non
così avvenne in Cosenza e nella città di Napoli; non così in altre parti e
specialmente in Spagna".
Uno
spagnolo era Francesco Borgia, nato a Valenza nel 1441 circa, dalla famiglia di
Callisto III e Alessandro VI, che fu padre di Cesare (duca del Valentinois,
figura vagheggiata nel Principe dal
Machiavelli), Giovanni(principe di Teano), Goffredo e Lucrezia (di grande
bellezza e di sinistra fama). Il 6 novembre 1499, Francesco de Borja fu traslato
da Teano all'arcivescovado di Cosenza e, poco dopo, fu elevato alla porpora
cardinalizia con il titolo di S. Cecilia. Egli introdusse in Cosenza gli
Agostiniani (1507), i Minimi di Francesco di Paola ( 1510) e incoraggiò ancora
di più il culto della Madonna del Pilar, in cui la città, infettata dalla
peste (1507), trovò rifugio, sostegno e conforto. Per avere indetto, con altri
tre cardinali, il Concilio di Pisa, fu scomunicato nel pubblico Concistoro del
24 ottobre del 1511, perché ritenuto blasfemo
ed eretico, dal papa Giulio II (Giuliano della Rovere), che indossò i panni
del condottiero piuttosto che quelli del pescatore di Galilea. Alcuni mesi dopo
Francesco Borgia morì.
All'ingresso
della cappella della Madonna del Pilerio, dopo il cancello, una lapide di marmo,
posta a destra, ricorda che la città di Cosenza fu liberata, al tempo del
presulato del Borgia, dalla peste. La
lapide, scritta in latino, recita:
D.
O. M.
DEIPARAE
VIRGFNIA PILARIO NUNCUPATAE QUOD CUM OLIM A PILA
NEGLETTA PENDERET ET DIRA LUES PER BRUTIOS
GRASSARETUR
MORBO
IN GENIS EXTEMPLO ADPARENTE CONSENTIAM APESTE
LIBERAVI!
(C. FRANCISCO S.R.E. CARDINALI BORGIAUT CREDITURARCHEP.O)
DEIN SIGNUM RETINUERIT ET VISIBILE ADHUC SET GAP. CONS.
BENEFICI MEMOR OBSEQUJ TENAX ALTARE
SELECTO MARMOREINSTRUCTUM EXORNATUMQ.
ERIGI
COLLOCARIQ. CENSUIT
ANNOMDCCLXXIX
La
versione italiana dice: Alla Vergine Madre
di Dio, detta del Filiere, poiché, nel tempo in cui pendeva negletta dal
pilastro e l'orribile flagello infuriava per i Bruzi, salvò Cosenza dalla
peste, prendendo ali 'istante il morbo sulle guance. (Era Arcivescovo di
Cosenza, come si ha per certo, Sua Rev. Emin. Francesco cardinale Bargia). Dipoi
conservò il segno, eh 'è ancora visibile. Il Capitolo Cosentino, memore del
beneficio, costante nella devozione, ordinò di costruire e collocare un altare,
di scelto e ornato marmo, nell'anno del Signore 1779.
Il
20 maggio 1743 fu nominato arcivescovo di Cosenza Francesco Antonio Cavalcanti
di Caccuri, generale dell'Ordine dei Chierici regolari Teatini, che istituì la
Confraternita della Vergine SS. del Pilerio, esente da processione, essendo
venuta meno la Congregazione del SS. Sacramento, eretta nella Cattedrale nel
1539.
La
storia religiosa di Cosenza narra che i cittadini trovarono sempre nella Madonna
del Pilerio un pronto e materno patrocinio, soprattutto nei momenti difficili
della peste,della guerra, del terremoto, delle tempeste,dei fulmini, delle
inondazioni,delle carestie,delle varie infermità,delle spine pungenti e dei
morsi di serpenti.
Testimonianze
pubbliche
In
un Manoscritto dell'Archivio Capitolare si legge questo notamente intomo all'Arcivescovo di Cosenza, che subentrò al
cardinale Giovanni Evangelista Palletta, amico e protettore del Tasso: "Giovan
Battista De Costantiis, volgarmente detto Monsignor Costanze, nobile napoletano,
fu eletto Arcivescovo di Cosenza, a 15 aprile dell'anno 1591, e governò questa
Chiesa con somma pietà e decoro per lo spazio di 26 anni. Morì sotto il
Pontificato di Paolo V l'anno 1617".
Mons.
Costanze rialzò la disciplina del clero, combattè la bestemmia e i culti
magici, costruendo fermenti di rinascita cristiana e di ripresa del culto
mariano. Infatti, il documento del 22 gennaio 1594, rogato dal notaio Grazio
Migliorella, rivela: "II sig. Coriolano Molli della città di Napoli,
maestro di camera di questi Tribunali, chiede al capitolo cosentino di volere
accettare una elemosina di 3 ducati, per un anniversario, per messe in suffragio
dell'anima della signora Camilla sua moglie, essendo ad esso e a tutta la sua
casa accresciuta la devozione nell'Immagine della Santissima Madre di Dio, che
sta dentro la Cattedrale di questa città, sita nel Pileria,
incontro la porta piccola di detta Chiesa". Il 18 gennaio 1598, per
ordine del papa Clemente Vili, pubblicò solennemente la scomunica di Cesare d'Este,
duca di Ferrara, "con grande apparato innanzi la chiesa, tutto il Capitolo
con candele nere in mano, e poi da tutti i Religiosi e gran concorso di
popolo". Nel 1600, fece incarcerare, per dieci anni, il domenicano Fra
Silvestre Deifida di Bisignano.
La pastorale di Mons. Costanzo fu contraddistinta dalla riaffermazione della
dottrina cattolica, mediante l'appoggio al Tribunale dell'Inquisizione in tutte
le sue eccedenze; dalla lotta senza quartiere contro l'eresia e la magia; dal
consolidamento del culto della Madonna del Pilerio.
I
fatti più significativi di Cosenza a cavallo tra la fine del Cinquecento e gli
inizi del Seicento sono narrati nella Cronaca
di Pietro Antonio Frugali, canonico e decano della Cattedrale di Cosenza,
elogiata da Davide Andreotti come opera
coraggiosa, pubblicata, nel 1934, da Eugenio Galli.
Era un taccuino manoscritto, posseduto
dal nobile sig. Giuseppe Barracco in
Pianecrati (Cs). Nella suddetta Cronaca non
si fa cenno ai funerali di Bernardino Telesio, ai quali Frugali dovette
ufficiare come canonico, né alla condanna dei libri telesiani, nel 1596, da
parte del S. Uffizio, pur se il filosofo cosentino aveva dichiarato
perentoriamente, un anno prima di morire, nel De rerum natura, che il senso "deve essere rinnegato se non
concorda con le Sacre Scritture". Non è registrata nemmeno l'apparizione
del gavocciolo (bubbone) sulle gote
dipinte della Madonna del Pilerio, mentre la ferma devozione dei Cosentini verso
di Lei è illustrata finanche nei particolari.
"
L'anno 1584 si fé prammatica che non si facesse carne vaccina;
l'anno 1586 si levò la Fortezza del castello.
L'Altare Maggiore fu fatto più in giù la prima volta per ordine dell'Ill.mo
Cardinale Ursino Arcivescovo di Cosenza, e fu poi conzegrato dal Vescovo di Muro
a 9 Maggio 1569 e detto Altare fu consacrato la prima volta l'anno1345; a
14 Luglio 1586 a ore 20 incirca fu una pioggia grande con lapidi di grandezza
quanto un uovo e durò una ora in circa; a 13
Aprile 1586 fu una gelata tanto grande che rovinò ogni cosa; a
4 Aprile 1592 si conzegrò per vescovo di Martirano Francesco Monaco nella
cattedrale per Monsignor Costanzo Arcivescovo di Cosenza, con li Ill.mi Vescovi
di Nicastro e Belcastro; a 12 Giugno 1595 Mons.
Costanze fece levare il Fonte Battesimale, dove era stato sempre, e lo fece
mettere sotto la Cappella della Madonna, e il Fonte fu venduto ad Grazio Telese,
e lo portò alla sua possessione in Campagnano (Rende); a
13 Giugno 1596 fu la festa del SS.mo Sacramento ed al portale del palio si
metterono nove mazze: una indorata, che la portò il Viceré che allora era
Grazio di Gennaro; due li Sindaci; e sei altre mazze le portarono tre dei Nobili
ed altre dell'Onorati; a 17 Aprile 1603 si levò
la Madonna detti Pileri del suo luogo
dove era stata sempre e si pose al pilastro
di sotto;
Il
cronista Frugali mise in luce, con lapidarie note, che a lui toccò l'onore
d'incensare l'icona, nonché il coinvolgimento dei Cosentini nella processione e
nell'incoronazione della Madonna del Pillerò.
Negli
atti del notaio Giacomo Maugerio del giugno 1602 si rileva che Manlio Turchiaro
di Pietrafitta ed altri testi versarono, con pronta cassa, 1660 ducati, per fare
costruire, nella Cattedrale di Cosenza, una Cappella, sotto il patronato della
famiglia del maggiorasco Giovanni M. Barnaudo, alla SS. Patrona delli Pileri, "di marmi di Carrara mischi alla
petra di Gimigliano". I lavori furono affidati, dietro compenso di 300
ducati, al maestro Andrea Majore di Carrara, che impiegò marmi pregiati.
L'ordinativo prevedeva, infatti, la costruzione dell'altare con due colonne di
marmo verde e capitelli di stile ionico; di due piramidi sporgenti "la metà
fuori del muro"; d'una cornice "di marmo gentile; dell'incisione, a
lettere d'oro, su "marmo nigro".
Dalla
Cronaca del canonico Longo, citata da
Andreotti, si apprende che Mons. Costanze fece spostare, nel 1603, l'icona della
Madonna del Pilerie da un luogo angustissimo
"al pilastro di sotto", e la fece collocare, alla vigilia
del Sinodo Diocesano, più in vista, cioè dietro l'altare maggiore della
Chiesa cattedrale. L'icona, che nel passato decorò Piconostasi della chiesa
bizantina, fu portata nel 1607 in una Cappella speciale. Tuttavia non fu dal
trasloco sul pilastro di sotto che cominciò a
darsi a Maria SS. l'epiteto del Pilerie, in quanto i Cosentini, da tempo
immemorabile (ex omni memoria aetatum), consideravano
e onorano la Madre di Dio come pi la et
firmamentum veritatis.
Il
notaio Giacomo Maugerio, il 19 dicembre 1603, rogò un atto, in cui il maestro
Majore di Carrara prendeva un altro impegno: quello di costruire nella medesima
Cattedrale, per 315 ducati, la Cappella per la nobile famiglia De Matera.
Un
tragico rilievo, dopo il terremoto del 1638, ebbe la peste che, nel 1656 e nel
1657, spopolò Napoli e Province. L'epidemia non fu meno pericolosa per Cosenza,
dove risultò contagiata per prima Rosa Piscitelli, che abitava alla Motta. Il
Nunzio di Napoli comunicò, il 27 marzo 1657, a Roma: "Con lettera di
Calabria, avutasi sabato scorso, si sente che nella città di Cosenza, mentre si
teneva libera dal contagio, e si era seguito lo spurgo, s'è scoperto di nuovo
il morbo e sono seguiti diversi casi; ma che, per la diligenza che si faceva, si
sperava che non sarebbe stato altro. Il 22 ottobre, però, con l'arrivo delle
piogge autunnali, il Nunzio di Napoli dichiara che Cosenza, libera
dal male, conforme alle fedi, supplica che le sia restituito il commercio.
Cessato
il morbo, si fece il bilancio dei morti. Padre Sebastiano di Cosenza pagò il
suo zelo il 4 febbraio del 1656, perdendo la vita nell'assistere gli appestati.
Si distinse, come il cardinale Borromeo, nell'opera di carità, l'arcivescovo di
Cosenza, Giuseppe Maria Sanfelice, fondatore dell''Accademia dei Negligenti.
La
peste fu considerata da alcuni come un celebre delirio; da altri come castigo di
Dio; da altri ancora come influsso negativo degli astri. Nella predica della
Quaresima del'1692, Paolo Segneri affermò che la peste era una fiera ingorda di
cadaveri: "Vorresti vedere terre ingoiate dall'acque? Domandane alla
Fiandra. Vorresti vedere campi divorati dal fuoco? Chiedine a Napoli. Vorresti
vedere popoli sprofondanti di gran terremoti? Interrogane la Calabria. Che
spettacoli di spavento non si sono aperti in queste province agli occhi della
curiosa posterità? Nuvole caliginose di fumo, piogge portentose di cenere,
gragnole strepitose di sassi, torrenti bitumosi di zolfo, fiumi
bollenti di fuoco, rovine precipitose di case,
ingoiamenti orribili di bestiami. Che dissi sol di bestiami? D'interi
popoli".
Nel
1707 il popolo di Cosenza festeggiò la fine del dominio spagnolo. Nel 1734 si
aprì per la città e per il Regno delle Due Sicilie, con l'avvento al trono di
Carlo III di Borbone, una nuova fase. Il nome del cosentino Gaetano Argento,
nato in via del Seggio (e non nel
villaggio di Rose), si levò a decoro e corona dei Bruzi.
L'icona
della Madonna del Pilerio si trovava intronizzata,
come si legge nel documento del 17 aprile 1617, nella sua Cappella, quando
si fece ricorso all'ammodernamento architettonico e a ritocchi approfonditi. Il
Capitolo Cosentino sovvenzionatore si rivolse, perciò, a Marino Palmieri,
marmorario di Napoli, che diede mandato di procura al suo allievo Gennaro Pesce.
Il contratto, stipulato nel dicembre del 1777 a Cosenza, fu corredato di
dettagliato disegno, ormai scomparso. La spesa dell'opera fu messa a carico
dell'artefice, il quale doveva prepararla "tutta a sua spese, tanto di
marmi, che assettatura di essi, ed altro". Il compenso, pagabile in più
rate, per l'opera da completare "nel giugno del 1778", assommò a 500
ducati. Fra i particolari si stabilì che "li puttini debbano essere del
celebre scultore Giuseppe Sanmartino, il giallo debba essere di Siena, tutto il
rosso debba essere di breccia di Francia, e tutto il fondato di pietra di
Seravezza".
Durante
l'esecuzione sorsero delle difficoltà di ordine economico, come si apprende
dall'atto rogato dal notaio Bruno Sicilia il 20 maggio 1779, fol. 219:
"Costituiti nella presenza nostra il Rev.mo Sig. D. Gaetano canonico
Monaco, procuratore della Venerabile Cappella di S. Maria del Pilerio, eretta
dentro la V.bile Chiesa metropolitana di questa città di Cosenza, ed il Sig. d.
Raffaele de Chiara di questa città, asseriscono esse parti con giuramento
avanti di noi qualmente standosi attualmente riformando e ammodernando la
Cappella suddetta con quadro, cappellone, finestra e balaustri di marmi. Vi
manca qualche denaro per il prosieguo del lavoro e pagarsi l'importo di detti
marmi, cosa che ha costituito il succennato Rev.mo Sig. Can. Monaco Procuratore,
nella risoluzione di far esito e vendita di due lampade di argento, un fìandacchino
di perle a pezzo ed una Croce di perle. Ciò pervenuto all'orecchio del
costituito Sig. D. Raffaele di Chiara, questo come devoto di detta B. Vergine
del Pilerio, e per evitare la vendita
di detti argenti e
però si è esibito egli ad improntare gratis e, senza beneficio alcuno, la
somma di ducati 120". Il 17 agosto dell'anno successivo, si stipulò,
sempre per lo stesso notaio, un mutuo di 88 ducati, dati ancora da D.Raffaele De
Chiara.
Con
denaro offerto da Gaetano Donadio, l'arcivescovo Mons. Gennaro Clemente Francone
di Napoli, nipote del cardinale Tommaso Ruffo, fece portare a compimento dal
maestro Andrea Schiavarelli la custodia di filigrana d'argento, con decorazioni
e smalto, per l'altare della Madonna del Pilerio. Ma la Cappella della Patrona
delia città fu realizzata soprattutto
grazie all'obolo e alle offerte
devoluti dal popolo, "primo vero committente dell'opera". La
spettacolare corona e i puttini di marmo bianco, sostenuti in alto da drappi
leggeri come cirri, furono eseguiti da Giuseppe Sammartino (Napoli 1720-1793),
oggi considerato uno dei maggiori scultori del Settecento napoletano. L'opera,
conformemente allo spirito del tempo, accentuando il gusto decorativo, offre
l'impressione di splendore, con la policromia dei colori, e rende l'impostazione
scultorea con acuto realismo, arricchendo di grazia il trono della Madonna del
Pilerio, a cui si rivolgeva, nelle funzioni sacre, la supplica:
Madonna del Pilerio che stai sul trono di
maestà questa grazia che ti cerco mi devi fare per carità.
Nel
Paradiso dantesco, la preghiera alla
Vergine fonde il canto d'amore con la profonda trepidazione per l'umana
salvezza:
Qui se ' a noi meridiana face
di cantate, e giuso, intra i mortali,
se ' di speranza fontana vivace.
Donna se ' tanto grande e tanto vali,
che guai vuoi grazia e a te non ricorre
sua desianza
vuoi volar sanz 'ali.
L'altare
centrale della Cappella del Pilerio ripete la felice musicalità scultorea di
quello maggiore della Chiesa della Nunziatella di Napoli, opera dello stesso
Sammartino. Sono due gli altari laterali della Cappella del Pilerio: sul primo,
a sinistra di chi guarda l'altare, c'era la splendida tela dell'Immacolata di Luca Giordano, ora in Episcopio, sostituita da
quella suggestiva di Giovan Battista Santoro di Fuscaldo; sul secondo, a destra,
è collocata la tela di anonimo, raffigurante lo
Sposalizio di Maria SS., che fa il
paio con il soggetto di quella dirimpetto.
La
lapide commemorativa, a sinistra, porta lo stemma della famiglia Bombini:
BEATAE
VIRGINI DE PILERIO
QUOD
ANTIQUANOVIS BENEFICIIS CUMULAVERIT
HAC
MAGNIS TERRAE CONCUSSIONIBUS
NONIS
AC VII IDUS FEBRUARIJ
AC PRAESERTIM KALEN. APRILIS
ANNO
MDCCLXXXIII
EVERSAAC
PENE SOLAAEQUATA ULTERIORI CALABRIA
URBEM
HANC FATISCENTEM
FIRMAVERIT
CONSENTINUS
EQUES THOMAS BOMBINUS
NE
NUMERI PIETATI AC GRATITUDINI DEESSET
AERE
SUO
P.P.
Il
terremoto del 1783 fece scorrere rivoli di sangue nella Calabria. La città di
Cosenza fu miracolosamente risparmiata. In segno di ringraziamento, nel
parlamento, si stabilì che i Cosentini dovevano partecipare ogni anno, P8
settembre, alla festività di Maria SS. del Pilerio, e assistere alla S. Messa.
Il cancelliere D. Luigi Assisi scrisse, il 26 luglio 1798, l'atto pubblico:
"Certifico io qui sottoscritto, ordinario Cancelliere di questa
illustrissima e fidelissima città di Cosenza, qualmente
nel dì sei dell'adunanza del mese di luglio nell'atrio del sedile di detta città,
con intervento e presenza del Sig. D. Marco Antonio Ariani regio Gov. e
Giudice, e i Sigg. Sindaco dei Nobili D. Antonio
Ferrara e D. Raffaele Maria Saporito Eletto del Popolo, nonché dei Sigg.
Deputati di ambedue le Piazze, con
pubblico e solenne Parlamento, fra gli altri i punti in esame stabiliti e
conchiusi attorno al seguente tenore, fu egualmente proposto da essi Sigg.,
Sindaco ed Eletto, di essere ormai più che patente la singolare protezione di
Maria SS.ma del Pilerio di questo pubblico cosentino,
al parlante miracolo della liberazione dalla peste in questa città, ne ha
aggiunto degli altri infiniti, come a loro Signori è troppo noto, liberandoci
nel 1783 dai duri effetti dei continui tremuoti; ed anteriormente e
posteriormente da tante e poi tante epidemie, giornalmente impartendo da quella
sacra immagine grazie a tutti, e specialmente a noi Cosentini,come la
giornaliera esperienza ci addimostra,onde fa d'uopo, anche con atto esterno di
dovuta venerazione, che questa città corrisponda a tanti benefici; per lo che
si stimerebbe opportuno che la città medesima, nelle solite forme, in corpo,
assista nel giorno della di Lei festività nella Messa cantata, ch'è solito
solennizzarsi nella Cappella della medesima, sita dentro la Chiesa Madre, anche
per correre in detto giorno di solennità della Natività della Regina del Cielo
e della Terra, obbligando i nostri successori in posterum et in futumm, ad
assistere alla sacra funzione suddetta, e così da tutti i detti Signori farsi
noto, e nemine discrepante, qui conchiuso osservarsi inviolabilmente senza
potersi apportare, o produrre scusa, o eccezione alcuna. Come il tutto appare da
detto parlamento inserito e registrato nel libro dei colloqui, che presso di me
si conserva, ed a fede". I due sindaci, 90
capifamiglia e i canonici della cattedrale di Cosenza sottoscrissero e rivolsero
le loro suppliche al notaio Giovanni Casino, affinchè raccogliesse notizie e
testimonianze certe sulla protezione di Maria SS. del Piliero. Nell'archivio di
Stato di Cosenza, al presente diretto dalla dott. Assunta Cairo, si conserva,
l'atto rogato il giorno 11 marzo 1800: "In pubblico testimonio veritatis, e
personalmente nella presenza di noi regio Notaio Giudice a contratti, e
testimoni costituitisi testi di loro spontanea e libera volontà, con giuramento
tactopectore etscripturis rispondere in
parola di verità, e di onore asseriscono, dichiarano e confessano, anzi
attestano, e fanno certa, veridica ed indubitata fede, quanto il bisogno lo
richiede, ed in presenza di qualsivoglia giudice, o magistrato supremo, come
nell'anno 1783, in tempo che questa città era bersagliata dalla divina ed
onnipotente mano di Dio, da continue orribili scosse di terremoto, principiate
nel dì 5 Febraro di questo anno, in maniera, e con veemenza tale, che
indicavano la totale distruzione della Città e Provincia, ricorse questa
cittadinanza alla protezione, ed intercessione della Madre SS. del Piliero, la
di cui Imagine si venera in una delle cappelle di detta Cattedrale, per esser
preservata da sì tremendo gastigo, che avea già sconquassata, sconvolta, e
rovinata la magior parte della Provincia dell'Ulteriore Calabria, col
diroccamento non solo dell'intere città, terre e casali, ma col sobissamento di
monti, colline e financo di vaste pianure, molte delle quali, per essersi
impedito il corso dei fiumi, si erano cambiati a grandi laghi, ed immensità di
acque stagnanti.
In
questa sì lagrimevole e luttuosa catastrofe, ed in tempo, che questa città
soffriva delle violentissime scosse, e che i Cittadini tutti imploravano la
Divina misericordia per l'intercessione di Maria SS. del
Piliero, ecco che
videsi la Sua miracolosa Immagine piena tutta, e nella faccia e nel petto di
fissure ed aperture, siccome tutti i suddetti costituiti testi l'attestano per
averle osservate, e con tutta l'attenzione coi di loro propri occhi vedute, per
cui giudicarono non esser potuto succedere per via naturale, stante che detta
sacra Immagine è dipinta su di una tavola, ed in essa non si vedeva lesione
alcuna, conoscendosi esser quello un portento, seguito fuori dell'ordine
naturale, e perciò miracoloso, ed universalmente si stimò esser quello un
segno della grazia impetrata a questa città dalla Madre SS. egualmente che seguì
nei secoli passati, allorché questa stessa città era travagliata dal contagio
della peste, poiché non pria ne fu liberata, che in questa sacra Immagine, e
propriamente in una delle sue gote, nella
quale si vide il segno della peste, tuttavia esistente.
Nondimeno come in questi casi deve procedersi con
somma oculatezza, e circospezione, a richiesta dei testi costituiti
testificanti, si stimò dai governanti di quel tempo, barone D. Giuseppe
Passalacqua, sindaco dei Nobili, e D. Saverio Manfredi eletto del Popolo, e da
molti dei canonici di essa Cattedrale, e particolarmente dal Costituito teste
Can. Amantea, come quello che attrovavasi cappellano di detta cappella, di farla
osservare, con scrupolosa accuratezza, non men da persone savie, e di fino
discernimento, ma ben'anche dai tre pittori, che trovavansi
in città, D. Giuseppe Maradei, D. Domenico Oranges e D. Pasquale Majo, i quali
colla presenza ed intervento di detti testi costituiti, e specialmente del
costituito D. Francesco Antonio Trojano anche professore di pittura, il quale si
ricorda benissimo, che avendo egli osservato le fessure su detta sacra Immagine,
le giudicò siccome giudica esser seguita non naturalmente, ma soprannaturale,
mentre se la boca naturale fosse stata per cagione del legno, le fessure
dovevano essere dritte, e non già serpeggiate come lo erano sopra la semplice
pittura, non meno che di moltissimi altri cittadini avendo fatto togliere il
cristallo, che copre tal sacra Immagine, ed attentamente osservato il legno, sul
quale è dipinta, e le fessure e squarci, che non oltrepassavano la pittura, e
dopo aver la medesima strofinata, con un fazzoletto, per vedere se tali fessure
ed aperture erano nate dall'essersi distaccata la pittura del legno, niuno segno
ne diedero perché la stessa stava forte e stabile, siccome ocularmente fu
parimenti veduto, ed osservato da essi testi di sopra costituiti, unanimemente
fecero giudizio che gli stessi non potevano affatto provenire da cagione
naturale, onde vieppiù si confermò questa cittadinanza nella credenza e
fiducia di essersi già impetrata la grazia, come in effetti seguì, poiché per
quante violentissime scosse fossero succedute in appresso, ed in ispeziale
quella del 27 marzo 1783 suddetto, non si vide crollare veruno edificio, e molto
meno patire cittadino veruno. Ed indi tali fessure, col cessare del flagello,
sparirono ancora nell'Immagine, ed infatti oggi si osserva senza verun segno, e
perfettamente rimarginata, senza esservene rimasto neppure piccolo segno o
vestigio. Ed in magior accerto di quanto sopra il prefato D. Antonio Plastina
con detto giuramento attesta, che ricordasi benissimo, che dopo succeduto un tal
portento, un giorno essendo andato in sua spezieria, il giorno medesimo
Francesco Bruno pittore di questa città, discorrendo di tal miracolo accaduto,
gli disse che le dette fessure non erano accadute naturalmente, giacché
avendoci egli riflettuto con tutta l'attenzione, non vi conobbe niente del
naturale, ma tutto accaduto soprannaturalmente. E perché allora non si badò di
tal grazia ricevuta, consì segnalato miracolo, per mezzo
di Maria SS. del Piliero, di farsene un pubblico attestato, oggi i
costituiti testi testificanti perché han preso l'impegno, e premura per la di
lor particolare devozione verso la Vergine SS.ma, ne hanno fatto il presente,
affinchè di tal portentoso miracolo ne rimanga un
valido documento a questa città, ed al fine d'infiammarsi ancor maggiormente i
cuori dei cittadini tutti in ver di questa Gran Protettrice, e la devozione, ed
ossequio si diffonda(no) anche ai posteri, e non succeda quel che avvenne
dell'altro miracolo in occasione del contagio, che per non essersene formate
carte, e quindi smarrite, non se ne ha che una semplice, abbenché costante
tradizione, perciò ci han richiesto formarne il presente pubblico atto
avvalorato dal di loro giuramento pectore tacto et scripturis respondere et quia
fecimus fondare. Laus Deo ac Beatae Mariae Virgini, et Divo Antonio de Padua".
Diverso
fu il ragionamento di Carlo Botta, che giudicò con severità le opere di
Manzoni e Goethe, e si attestò su posizioni storiografiche
moralistico-patriottiche. Non tenendo conto della volontà popolare, nel quarto
volume della Storia d'Italia, egli
scrisse: "Successe poi, nella Cattedrale di Cosenza, imperciocché anche in
questa antica città, capo della Calabria Citeriore, tremò la terra, un
caso strepitoso, onde lungi e dappresso se ne fecero le meraviglie. Quivi i
popoli adorano una Madonna, chiamata nel
paese la Madonna del Pilerie. E' tradizione fra il volgo che, mentre ai
tempi antichisimi la peste inferociva e desolava la Calabria, tutto ad un
tratto pullula sulla guancia della statua di
questa Madonna, che nella Cattedra le si conservava, un pestilenziale gavocciolo.
I popoli l'avevano molto pregata per impetrare la cessazione di quel flagello.
Ora, veduto il gavocciolo sulla guancia, i custodi gridarono: Signori, signori,
e voi popolo di Calabria, udite, udite, e di buon animo state, e Dio ringraziate
e la Madonna del Pilerie che la peste cesserà, poiché la Madon-
na l'ha tutta assunta su di sé, come il Redentore assunse sopra di sé, per la
Passione e morte, tutti i peccati degli uomini: ecco, ecco sopra il Sacro volto
il gavocciolo, ecco il gavocciolo. E così, come la tradizione e le leggende
vogliono, la peste cessò. Consimile miracolo, per virtù di questa Madonna,
successe in Cosenza, nell'anno di cui scriviamo (1783) la compassionevole
istoria. Stavano i popoli umilmente pregando nella Cattedrale e, ad ogni tremito
della terra, voci lamentevoli dando, e misericordia, misericordia gridando,
quando tutto ad un tratto un canonico, di nome Monaco, assai furfante, come la fama portava, con la sua voce
stentorea, quale l'aveva, gridò, rivoltandosi egli
subitamente a rutto il popolo: Miracolo, miracolo ! Il
terremoto è al fine: ecco che la Madonna l'assunse sopra di sé, guardate la
sua faccia, come tutta è screpolata: Miracolo, miracolo! - E tutto il popolo
ripetè: Miracolo, miracolo!".
Lo
storico Botta concluse il suo discorso dicendo: "La faccia era tutta
screpolata, ma per la vetustà del legno. Il terremoto poco più durò, perché
era già durato molto. Quanto al gavocciolo, esso non era altro che una macchia
naturale del legno". Pur di negare il miracolo, egli si avventurò per una
strada a lui sconosciuta, commettendo grossi errori: infatti, a Cosenza il culto
della Vergine Maria, era antichissimo, non sotto il titolo di Pilerio, essendo
la cattedrale dedicata all'Assunta; Cosenza non era un paese, ma era stata la
storica capitale dei Bruzi; le fessure non apparvero sulla statua, scolpita nel
secolo XVIII, ma sulla tavola dipinta; il sacerdote che diede la notizia del
prodigio si chiamava D. Vincenzo Canonico, non Monaco, ed era il cantore della
cattedrale; i cristiani non ado-
rano la Madonna, ma la venerano soltanto. Era,
perciò, più solida la posizione di Francesco Saverio Salii, che prospettava,
nei meandri della storia, un progetto riformatore, sintetizzato nell 'epigrafe
del suo Saggio sui fenomeni antropologici (Napoli,
1787): "Non al fanatismo, all'adulazione, alla misantropia, ma sono alla
religione, alla verità, al patriottismo, rispetto, libertà, beneficenza".
ABotta, che aveva misconosciuto le ragioni della fede, Saverio Giannuzzi Savelli
rispose: "II
mio divisamente è il confermare, conteoriche dimostrazioni, quelle verità le
quali debbono farsi sentire nel cuore, più che nella mente, e le cui prove a
tutti sono conte". D'altronde, i fatti della fede si sentono profondamente
e non sempre si spiegano razionalmente; ma la scienza e la fede, anziché
essere in conflitto permanente, sono di reciproco aiuto.
Per
esternare il riconoscimento dei Cosentini, che avevano ottenuto clemenza, per
mezzo di Maria SS. del Pilerio, ed erano stati salvati dai terremoti dell'8
marzo 1832, del 12ottobre 183 5 e del 26 aprile 1836, si
organizzo una grande
festa,alla quale parteciparono,nel giugno del 1836,anche i soci dell'Accademia
Cosentina,che affidarono la raccolta dei loro
componimenti scritti al tipografo Giuseppe Migliaccio. La Madonna del Pilerio è,
infatti, la protettrice dell'Accademia Cosentina.
Il
terremoto del 12 febbraio 1854 risparmiò i Cosentini (in provincia si
ebbero circa 500 morti) e ciò persuase i Cosentini di
celebrare, il 12 febbraio di ogni anno, a partire dal 1855, la seconda festa in
onore di Maria SS. del Pilerio. Verso la fine del mese di aprile del 1854,
l'Arcivescovo di
Cosenza, Lorenzo Pontillo, e il Capitolo, il Sindaco della città barone
Vincenzo Mollo, il notaio Carmine Mazzei e altri suoi colleghi, accorsero in
Cattedrale, tra la calca dei cittadini, per vedere le tre macchie apparse
sull'icona di Maria SS. del Pilerio: una sotto il labbro inferiore e le altre
due sulla guancia sinistra. Il notaio Mazzei, dopo avere interpellato gli
esperti (un pittore, un architetto, uno scultore, un chimico, un carpentiere),
rogò, il 7 maggio 1854,l'atto pubblico, a cui allegò la perizia tecnica,
rilasciata il giorno 27 aprile: " Noi sottoscritti, pubblici professori,
dichiariamo di essere stati invitati per esaminare, col rigore delle nostre
rispettive conoscenze speciali, la qualità del segno apparso, la causa donde
venisse, la sua importanza, la verosimiglianza della voce popolare, che
l'attribuisce a singolare prodigio. In
unione di molti Reverendi canonici della Cattedrale, e del Vicario generale
della Diocesi, Cavaliere Arcidiacono D. Francesco Saverio Basile, abbiamo fatto
togliere la lastra che garantisce l'Immagine, e posta F Immagine medesima in
mezzo al coro della cattedrale, in luogo basso e luminoso, ciascuno di noi ha
osservato tre lesioni visibili sul Padorato viso: una cioè sotto l'impressione
del gavocciolo, prodigio già decantato da tre secoli; l'altra sul termine della
mascella; l'ultima sulla polpa destra del labbro inferiore.
Le
due prime appartengono alla parte sinistra del viso, cioè una più vicina al
gavocciolo, distante da questo quattro centesimi di palmo, distante dalla narice
sinistra nove centesimi, e lunga in tutto tredici centesimi; consiste essa in
una screpolatura longitudinale poco variata, di cui l'orlo inferiore è pure
alquanto rialzato dal piano matematico della pittura; l'altra, di forma angolare
rivolta verso il naso, dista dall' estremo sinistro della bocca dodici
centesimi, dalla linea sottoposta della mascella centesimi sette, e dalla
screpolatura già descritta centesimi quattro e mezzo; ed è lunga in giro
centesimi cinque e mezzo; del pari è rigonfiato leggermente sugli orli.
L'ultima comprende la grossezza della polpa destra del labbro inferiore, è
lunga centesimi tre, ed è distaccata nell'orlo inferiore del piano della
pittura. L'architetto ne ha preso le
misure precise, ed osservando che queste
screpolature non sono annerite, come altre che ve ne sono fin dal 1783, dall'azione
del tempo, anzi lasciano travedere nel loro fondo un colorito giallognolo, ha
ravvisato che sono di manifestazione recentissima. Il
pittore, lo scultore ed il chimico per la parte sperimentale, separatamente
hanno osservato la qualità del colorito: i due primi, comparando queste con le
antiche screpolature, avvisano che non vi sia dubbio alcuno sulla recente loro
origine, e che il colorito giallognolo
sia la patina di gesso impregnata dell'olio della pittura, gesso spalmato sul
legno sul quale è dipinta l'Immagine; il chimico conviene su questa riflessione
ed aggiungono tutti che la presente alterazione
non dipende da tracce visibili d'influsso atmosferico, sia perché a memoria
nostra mai non si è veduta simile manifestazione malgrado le molte stagioni di
estremo caldo, di estremo freddo, di estrema umidità; sia perché il tempo in
cui ora è intervenuta è dolce, preceduto da pochi giorni di soave pioggia, e
prima da buon tempo; sia perché la nicchia, nella quale ha giaciuto il quadro,
è asciutta, inalterata;ed infine perché nella lamina di ferro, che custodisce
il dorso del quadro, non vi ha menomo appicco da sospettare un influsso
atmosferico.
Il
carpentiere ha osservato, su questo proposito, la qualità della tavola sulla
quale è dipinta la Santa Immagine, ed ha dichiarato che non vi sia la menoma
traccia di alterazione, e che non ve ne può
essere, è perché la fenditura maggiore è trasversale alle fibre del legno e
perché il legno conta tre e più secoli.
Da
tutto ciò i professori, ad unanime e spiccato parere, dichiarano che le
suddette screpolature sono recenti, non dipendenti per nessun verso da cause
naturali riconoscibili, e piene anzi di tutti i caratteri artistici di
singolarità e di potere celeste".
Le
incoronazioni
Maria
Vergine possiede anche l'attributo di Incoronata.
Fra le più note chiese dedicate all'Incoronata
sono quelle di Foggia e di Lodi. Il tema iconografico dell'incoronazione,
ispirato al quinto mistero glorioso,nel quale si contempla l'esaltazione della
Vergine incielo, incoronata Regi-
na dei Santi, fu trattato nella pittura da Ciotto, Beato Angelico, Pinturicchio,
Raffaello, Veronese, Moretto daBrescia, Pietro Negroni, detto lo Zingaro
giovane, Rubens, Velàzquez, Pascaletti ecc.
Il
17 aprile 1607, per andare incontro alle espressioni di pietà popolare, che
all'epoca s'innestavano con pratiche di magia, Mons.Giovan Battista Costanze,
arcivescovo di Cosenza, fece la prima
incoronazione della Madonna del Pilerio, dal volto bruno, con il Bambino che
succhia al petto. In pompa magna, fra uomini anche di altra fede, egli impose la
corona aurea sul capo della Madonna, simbolo dell'autorità di Regina.
Il
Papa Gregorio XVI, con Breve del 22 marzo 1836, autorizzò la seconda
cerimonia d'incoronazione, che si tenne a Cosenza, preceduta da tre giorni
di festeggiamenti, nella domenica del 19 giugno dello stesso anno. I cittadini
fecero la santa comunione e le più disparate promesse alla Madonna, che consola
gli afflitti: per scampati pericoli, per guarigioni avute o da ottenere, per
conservare la fede e la salute. L'Arcivescovo di Cosenza, Lorenzo Pontillo,
nativo di Casagiove, comune in provincia di Coserta, depose sul capo della
Madonna del Pilerio due corone d'oro
incastonate di gemme, come si legge nell'atto notarile, che si conserva
nell'Archivio di Stato di Cosenza, rogato dal notaio Carmine Mazzei.
Il
18 gennaio 1918, mentre ancora si combatteva la prima guerra mondiale, Tommaso
Trussoni, Arcivescovo di Cosenza, ottenne il decreto con cui si confermava alla
Madonna del Pilerio il titolo di Protettrice di Cosenza; il 7 maggio dello
stesso anno la Congregazione dei Sacri Riti approvò la messa e l'Ufficio, in
tutta l'Arcidiocesi, con rito doppio di prima classe, con ottava comune; il 30
giugno Mons.Trussoni iniziò, con le prediche, il triduo di ringraziamento alla
Madonna del Pilerio, la cui icona fu portata in processione, per le navate del
Duomo, e collocata, per alcuni minuti, sul pilastro, tra la generale commozione
dei fedeli e il festoso suono di campane.
Il
sacrilego furto della corona indusse i Cosentini a stringersi attorno
all'Arcivescovo Trussoni per la celebrazione della terza incoronazione della
Madonna del Pilerio, autorizzata dal Capitolo Vaticano con decreto del 4
maggio 1922.
L'atto
pubblico,rogato dal notaio Giovanni Rosario Sprovieri, il 4 dicembre 1922,
ricorda la solenne cerimonia. La Messa pontificale fu officiata da Mons. Carmelo
Puja, Arcivescovo di Santa Severina, e da altri Presuli concelebranti: Mons.
Trussoni; Mons. Giovanni Fiorentino, Arcivescovo di Catanzaro; Mons. Salvatore
Scanu, Vescovo di S. Marco Argentano e Bisignano; Mons. Felice Cribellati,
Vescovo di Nicotera e Tropea; Mons. Giovanni Mele, Vescovo della Diocesi
Lungro, di rito greco. I fedeli accorsero con gioia, per rendere omaggio alla
Madonna del Pilerio e all'assoluta e imprescindibile centralità di Gesù
Salvatore del mondo.
Il
12 aprile 1943, Cosenza subì i primi bombardamenti, che provocarono feriti e
danni agli edifici. Gli abitanti trovarono rifugio fuori della città. La sera
del 6 settembre 1943, don Carlo Berardelli, il P.Superiore del Convento di
Pietrafitta, P. Pio Viafora, P. Placido Telese e i militari Vincenzo Parise e
Salvatore Scalzo, autorizzati dell'Arcivescovo di Cosenza Mons. Aniello Calcara,
trasportarono l'ancona della Madonna del Pilerio nella chiesa di S. Antonio di
Padova, annessa al convento dei Frati Minori di Pietrafìtta. La sera del giorno
seguente, quando si seppe, per via radio, della firma dell'armistizio, i
Pietrafittesi si riunirono nella chiesa conventuale per ringraziare la
Madonna del Pilerio dello storico annunzio. Un triduo sacro fu predicato da P.
Alfonso Liguori e la Messa solenne fu celebrata, con processione, dal canonico
Eugenio Caruso, cappellano del Pilerio. I
Pietrafittesi regalarono alla Madonna un cuore d'argento, come simbolo d'amore e
di devozione. Il giorno 11 dicembre 1943, la tavola fu trasferita nella cappella
del Duomo, dove si venera la Madonna del Pilerio, che apre le sue mani al
bisognoso e al misero.
La
devozione oggi
Nel
Novecento la devozione alla Madonna del Pilerio, la via che conduce a Cristo,
non viene ridotta a memoria di pura emozione, ma è
impegno di carità. Il titolo appropriato della pubblicazione di Don Giacomo
Tuoto è: Maria icona della carità.
Quando
i fucili al fronte sparavano in continuazione e commettevano una inutile strage,
l'arcivescovo di Cosenza, Tommaso Trussoni spedì al papa Benedetto XV, il 22
maggio 1917, domandando, con insistenza, di approvare la Messa e l'Ufficio
propri della Madonna del Pilerio e adducendo queste motivazioni: "La città
di Cosenza riconosce come sua principale Patrona la B. V. Maria sotto il titolo
del Pilerio, ossia del Pilastro,così detta, perché in un quadro della B. V.,
che era appeso ad un pilastro del Duomo, si verificarono dei fatti prodigiosi.
Alla Madonna del Pilerio i
Cosentini ricorrono con grande fiducia nei pubblici e nei privati bisogni, e la
fiducia loro è bene spesso coronata da lieto successo, tanto che più volte
l'anno nella Metropolitana si celebrano anniversari e funzioni di ringraziamento
per pubblici favori di preservazione ottenuti in occasione di
La
Congregazione dei Sacri Riti approvò e confermò che la B. V.Maria sotto il
titolo del Pilerio si dovesse avere come la Patrona principale della città, e
che se ne dovesse celebrare la festa il giorno 12 di febbraio sotto il rito
doppio di prima classe coli'ottava. E la festa si celebra ogni anno, "con
grande pompa e accorso di popolo". Inserita nei drammi quotidiani, ma anche
nella gioia, Maria SS. ricevette le lodi dell'arcivescovo di Cosenza Aniello
Calcara, poeta della vita cristiana e cantore del "Serafico amore",
che pregava per ottenere sollievo e aiuto nell'aspro cammino:
Che la mia caduta/ non faccia ferita e
che la ferita/ non spicci sangue;/reggi sempre il tuo fedele,/prima che egli
cada,/ o Benedet- ta!/ Che agli stanchi òmeri/spuntino l'ali/per l'ultimo
volo:/ nello slancio, oltre gli astri,/ in Dio:/ sorreggimi, o Vergine ".
Nello
spirito del Concilio Vaticano II, l'arcivescovo di Cosenza, Dino Trabalzini, si
rivolgeva, il 10 maggio del 1981, alla Madre di Dio, sorgente di bellezza, di
grandezza e amore, dichiarando Santuario
Mariano il Duomo di Cosenza, e auspicando che datale atto venisse
incrementato il culto della Madonna del Pilerio e si producesse un profondo
rinnovamento dell'archidiocesi: "Eleviamo a Santuario della Vergine S S.
del Pilerio la nostra Cattedrale di Cosenza, Chiesa Madre della Diocesi, perché
diventi luogo privilegiato di fede e di speranza, di conforto e
di rifugio, di benedizione e di grazia, d'intimo incontro tra la Madre e i
figli, e quanti, attraverso Maria, siano condotti a Cristo e, in Cristo, siano
congiunti al Padre nell'amore dello Spirito Santo, per una fedeltà sempre più
piena verso la Chiesa e per un impegno sempre più fattivo e generoso
verso i fratelli". L'attuale arcivescovo
metropolita, Giuseppe Agostino, trova singolare e
commovente che Maria sia onorata, a Cosenza come a Crotone, con lo stesso titolo
del Pilerio, e invocata da tutti come
creatura da Dio eletta, affascinante nella sua simbologia e nelle sue altissime
virtù. Nella pubblicazione dell'Opera
omnia, il Presule, fra i tanti compiti, sceglie il dovere
(munus) d'insegnare ai fedeli la
ricerca di Cristo come via, verità, vita. Egli ha riordinato, quindi, le feste
religiose, che stavano degenerando nel rituale pagano e consumistico, per
spalancare le porte del cuore alla divina Trinità e chiedere a Maria SS. del
Pilerio di mirare il suo popolo al bivio tra tribolazione e speranza.
L'icona
all'esterno del Duomo
Agli
inizi del Seicento, Don Pietro Antonio Frugali scrisse nella sua Cronaca: "A'
18 Aprile 1603 si pose la Madonna secondo l'immagine di S. Maria Maggiore di
Roma, che uscì dalla chiesa e la
portò Frabrizio Maccharone e Antonelli, tutt'e due orefici; ed il Capitolo la
condusse al luogo dove ora si ritrova, cioè allo pontone della chiesa,
all'incontro alii detti orefici".
Eugenio
Galli, che ha avuto il merito di pubblicare l'opera manoscritta del Frugali,
annota il suo disorientamento: "Intanto non mi fermo sulla similitudine con
l'Immagine di S. Maria Maggiore di
Roma, perché non capisco, a questo punto, il suo pensiero". Da questo
limite bisogna partire per distinguere la tavola
della Madonna del Pilerio, che fu collocata nella cappella dentro il Duomo,
di Cosenza, e la tela della Madre di
Dio (Theotòkos), posta nel tabernacolo sul muro esterno, di
fronte alla via del Seggio. E' una copia della tavola originale della Madonna
"Salus Populi Romani", che si venera nella cappella paolina della
basilica di S. Maria Maggiore di Roma.
Carlo
Cecchelli, studioso dell'icona bizantina, in contrasto con l'ipotesi di Justo
Fernandez-Alonso, segnala: " E' questa senza dubbio una delle due più
belle immagini di Maria dipinte su tavola (l'al-
tra è la "Madonna della Clemenza" di S. Maria in Trastevere) che Roma
possiede. S'erge solenne la Madre stringendo fra le braccia il Figlio. E' una
matrona del tempo antico. Fu da tutti invocata come
"Salus Populi Romani". E'immagine di Santa Maria, venuta dall'Oriente,
o dipinta in Roma sul tipo orientale, divenne presto il nuovo palladio
dell'Urbe.
Fu
San Francesco Borgia (Gandìa, 1510- Roma 1572) a fare copiare, per le missioni
estere, le immagini della "Salus populi Romani". La data della
riproduzione oscilla tra il 1566 (anno di elezione del papa Pio V Ghislieri) e
il 1569 (anno in cui il Borgia comunica alla Regina del Portogallo
"l'avvenuta riproduzione" dell'icona). Non si conosce il nome
dell'artista che eseguì su tavola l'immagine della Beatissima Vergine. Ea
mediocre copia della "Salus Populi Romani" arrivò a Cosenza all'epoca
dei Gesuiti. Ad ogni modo, non risale affatto "al flagello della peste, da
cui la città fu colpita".
Mario
Borretti e Padre Francesco Russo dicono che i Gesuiti, di cui il Borgia fu terzo
nella serie dei Generali della Compagnia, arrivarono in Cosenza nel 1560, ma il
tedesco Richard Bosel posticipa la
data all'anno 1589. C'è la difficoltà che l'arcivescovo di Cosenza,
Evangelista Pallotta, cardinale presbitero dal titolo di S. Matteo in Merulana
(vicina alla Basilica di S. Maria Maggiore) si mostrò contrario alla venuta in
Cosenza dei Gesuiti. Il problema è risolto dalla lettera di Sertorio
Quattromani, datata 10 maggio 1589, riportata da Walter Eupi, spedita a
Giammaria Bernaudo; in essa si rende noto: "Ch'Ella procacci di far venire
in Cosenza i PP. Gesuiti è opera santa e
buona, e non può se non lodarsi; ma vorrei che vi venisse tutto un Collegio, e
non due o tre Padri, e che le cose si facessero dolcemente e non conforza e con
dissensioni".
Ea
costruzione della Chiesa, della residenza e dell'edificio scolastico fu avviata
dall'architetto gesuita P. Giuseppe Valeriano, che lavorava in Napoli, ma egli
passò ad altra vita il 15 luglio 1596.
La
pianta dell' edificio, attribuita a Padre Pietro Provedi, architetto della
Provincia, è del 1619; si conserva nella Biblioteca di Parigi. I lavori di
ricostruzione, dopo il terremoto del 1638, furono ripresi nel 1645. L'ampia
navata della Chiesa, come precisa Bosel, fu portata a termine tra il
1696 e il 1702. L'altare maggiore fu dedicato a S. Ignazio di Loyola, uno dei
capi della Controriforma; un altare minore a S. Maria di Costantinopoli (la città
che si consacrò a Maria nell'anno 330) e l'altro a S. Francesco Saverio (un
altro fondatore della Compagnia di Gesù). Furono costruite sei cappelle
sfondate e furono istituite, nel Collegio, due Congregazioni: quella
della"B. Vergine Annunziata dall'Angelo" era dei Nobili; Paltradella"Vergine
Assunta" era degli Artisti; Puna e l'altra erano a finissimo stucco e
"di bellissimi quadri ornate". Il primo rettore della comunità
cosentina fu il P. Fulvio Butrio, a cui successe il P.Giovanni Camerata, che
mandò una lettera, il 1 ° luglio 1595, al Generale, con disegni della città
di Cosenza, per la scelta del sito ove fondare il Collegio. I primi Gesuiti
alloggiarono nel palazzo arcivescovile. La Compagnia di Gesù fu sciolta nel
1773, ma ritornò a Cosenza nel 1853. Le suore di S. Chiara, disturbate dalla
vicinanza della costruzione, costrinsero i Gesuiti, nel 1604, a demolire le
parti edificate. Il 18 aprile 1603, il solerte arcivescovo Giovanni Battista
Costanze aveva benedetto la tela con
l'immagine della Theotòkos, per farla
collocare sul costolone del Duomo di Cosenza. L'iscrizione sulla cornice
superiore dell'edicola, in pietra tufacea, non precisa la data di esecuzione
della tela, ma solo i committenti e l'anno del suo trasferimento all'esterno del
Duomo:
DEIPARAE VIRGINIAURIFICESEREXERE 1603.
Il
cosiddetto tabernacolo fu restaurato dal pittore Pasquale Volpe e, com'è
attestato sulla faccia del davanzale, "A devozione di Giuseppe Picciotto A.
D. 1863". Un altro restauro fu eseguito dai tecnici della Sovrintendenza
dei Beni culturali, in occasione della visita del papa Giovanni Paolo II, a
Cosenza, il 6 ottobre 1984. In
basso, ma in posizione centrale, dentro la piccola targa sta scritto:
" Restaurata a cura della F.I.D.A.P.A. Anno 1990", per il fattivo e
competente interessamento dell'archeologa
Donna
Beatrice Quintieri.
Tutti
questi particolari denotano il magnifico sviluppo della pietà mariana dei
Cosentini, specialmente della Congregazione degli Orefici, che hanno quasi del
tutto abbandonato il centro storico di Cosenza; ma resta, in tanta rinuncia,
contro cui combattono le più illuminate amministrazioni della città, il culto
della Theotokos, conforto e luce senza tramonto.
Note
G
TUOTO,IL Duomo di Cosenza,Cosenza,Leggenda,1998,p.88
M.P.DIDARIOGUIDA,Icone.di.Calabria_e_altreIcone..Meridionali,Soveria.Mannelli,Rubbettino,1992,p.143;G.LEONE,Sulle.Iconografie.bizantine.della.Madonna.in.Calabria,in"Calabria
Mobilissima,a.XL-XLI(1988-1989),n.88-91,pp.22-23;G.CIMINO,Leicone,OggiFamiglia,Cosenza, Aprile 2001, p. 12.
D.
ANDREOTTI, Storia dei Cosentini, II,
pp. 293-294.
F.GOZZETTO,Leggendole.realtà.nel.culto.della.Madonna.del.Pileria.Atti.dell'Accademia.
Cosentina(1987-1990),Cosenza,Di.Giuseppe,1992,p.
155.
D.
ANDREOTTI, II, p. 318.
SACRARITUUM.CONGREGATIO,Consentin.concessioniset.approbationis.Officii.et.Missae
propriae in
Pesto Patrocina B. M. V.
vulgo"del Pileria", Romae, Typis Polyglottis Vaticanis, 1918, pp.
3-5.
M.P.DIDARIOGUIDA,L'icona.della.Madonna.del.Pileria.nella.Cattedrale.di.Cosenza,in"Rivista-Storica.Calabrese",a.IX"(1988)Tn7l-4,p.348;
IDEM,
Icone di Calabria e altre Icone
Meridionali, pp. 71-72.
L.
BILOTTO, // Duomo di Cosenza, pp. H
8-121.
S.NACCARATO,Cosenza_nel.terremoto.del.1638,Cosenza,Satem,1977,
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G.LEONE,Sulle.iconografie.bizantine.della.Madonna.jn.Calabria,in"CalabriaNobilissima",1989
(ed. 1994),
nn. 88-91, pp. 7-62.
D.G.
Donato,Chiese di Cosenza,L'eta' barocca,Cosenza,Effesette,1982,p.40.
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G.TUOTO,La
Madonna del Pilerio,Cosenza,Leggenda,2001p.63
P.V.Donnarumma
O.M.,Cosenza mariana,Cosenza,Chiappetta,1951 p.33